In seguito all’adozione della definizione di “antisemitismo” dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) da parte dell’Amministrazione Comunale di Brescia, come Redazione Sebino Franciacorta ci sentiamo di indirizzare alcune lettere aperte a Laura Castelletti per raccontare pubblicamente le enormi problematiche emerse in questi anni con la promulgazione di questa definizione strumentale. Terza lettera.

Egregia Signora Sindaca Laura Castelletti,

Una definizione di “antisemitismo” non dovrebbe coinvolgere Israele, in quanto Stato che con l’ebraismo ha veramente poco a che fare, se non aver scelto di non avere una costituzione e di fondarsi sul teocon. Questo ce lo ricordano tutte le comunità ebraiche dei Neturei Karta, poiché l’autentica tradizione religiosa ebraica ritiene che non si debba stabilire uno stato senza aspettare che tale terra venga esplicitamente donata dall’Altissimo. È lo stesso Talmud Babilonese (Talmud Bavlì) che afferma che gli ebrei non possono utilizzare forze umane per stabilire uno Stato ebraico fino alla venuta del Messiah della casa di Davide. Quindi la giustificazione religiosa e biblica della “Terra Promessa” che il sionismo ha sempre cercato di estorcere non ha alcun fondamento. L’unico motivo è assolutamente politico, nato da un forte sentimento identitario, come ci ricordano anche grandi ebrei che sionisti non lo sono mai stati per esempio Primo Levi, Albert Einstein e Hannah Arendt. Ebrei che la Shoah l’hanno vissuta ed hanno fatto in tempo a denunciare politicamente l’assurdità del sionismo fino a paragonarlo al fascismo e al nazismo.

Molti ora lo dimenticano, ma il sionismo ha sempre costituito una posizione minoritaria tra gli ebrei. Quando Theodor Herzl organizzò il movimento sionista nel XIX secolo, incontrò un’aspra opposizione da parte dei leader ebrei di tutto il mondo. Il rabbino capo di Vienna, Moritz Gudemann, denunciò il rischio che intravedeva di un nazionalismo ebraico: “La fede in un solo Dio era il fattore unificante per gli ebrei”, dichiarò, e il sionismo era “incompatibile con gli insegnamenti del giudaismo”. Nel 1885, i rabbini riformati americani, riuniti a Pittsburg, rifiutarono il nazionalismo di qualsiasi tipo e dichiararono: “Non ci consideriamo una nazione ma una comunità religiosa, e quindi non ci aspettiamo né un ritorno in Palestina … né il ripristino di alcuna legge riguardante uno stato ebraico”. Furono proprio i rabbini a chiedersi che cosa significasse “popolo ebraico”. Fu solo l’avvento di Hitler, con l’incentivo dell’emigrazione ebraica in Palestina negli anni Trenta con gli Accordi di Haavara e l’aiuto dell’Agenzia Ebraica per l’immigrazione, le leggi razziali del 1938 e la Shoah a convincere molti ebrei che uno “Stato ebraico” fosse necessario. Oggi infatti molti stanno arrivando alla conclusione che questo è stato davvero un errore e una violazione dei valori morali ed etici ebraici. Il sionismo e lo Stato d’Israele ricevettero aspre critiche da numerosi illustri ebrei.

Hannah Arendt, morta nel 1975, grande studiosa delle cause dell’antigiudaismo in Europa, autrice de “la banalità del male” – in cui analizza il Processo Eichmann e fornisce una enorme approfondimento sui concetti di potere, violenza e forza nella Società della Tecnica di cui il nazismo è stata la massima degenerazione – è stata anche colei che più di tutti ha fornito una lucida analisi dell’incoerenza del sionismo e la conseguente certezza del suo crollo. Arendt oggi rimane tuttora il personaggio di cui meno gli israeliani vogliono parlare poichè rilevò che degli ebrei spesso si mantenevano separati moralmente, culturalmente e linguisticamente, dice la scrittrice Daphna Levit1, “al fine di preservare la loro identità, per non farsi influenzare dall’esterno”. Più precisamente, secondo Levit, Arendt ha riconosciuto la “tradizione ebraica di un antagonismo spesso violento con cristiani e gentili”2.

La critica che Arendt fa ad Israele è il fatto di dichiararsi “Stato ebraico” volendo creare un’oasi paradisiaca per soli ebrei, senza l’interferenza di nessun tipo. La “bestemmia” della Arendt contro i principi del sionismo è illustrata nel racconto del suo litigio con Gershom Scholem, un eminente studioso israeliano di misticismo ebraico. Scholem la accusò pubblicamente di non amare il “popolo ebraico”. E lei rispose: “Hai perfettamente ragione – non sono mossa da nessun ‘amore’ di questo tipo…. Non ho mai “amato” in vita mia nessun popolo o collettività, né il popolo tedesco, né i francesi, né gli americani, né la classe operaia o qualcosa del genere. Amo davvero “solo” i miei amici, e l’unico tipo di amore che conosco e in cui credo è l’amore delle persone. … Non amo gli ebrei, né credo in loro: semplicemente appartengo a loro come una cosa ovvia, al di là di ogni controversia o discussione.” Quando la premier israeliana, nonché icona del sionismo, Golda Meir disse ad Arendt che lei non credeva in Dio ma nel “popolo ebraico”, Arendt rispose seccamente da atea che la grandezza del popolo ebraico proveniva dall’essere “un popolo che credeva in Dio”. Il suo libro “Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, pubblicato nel 1963, non venne tradotto in ebraico per 36 anni. Nonostante non fosse amata dal sionismo, all’epoca era impensabile definire un’ebrea come “antisemita” solo perché non riconosceva i principi del sionismo. Oggi invece, per critiche molto meno pesanti, alcuni stessi ebrei antisionisti vengono definiti tali.

Un caso emblematico è quello del fisico tedesco Hayo Meyer, ebreo sopravvissuto alla Shoah, che fu un aspro critico dello Stato sionista d’Israele e dei governi Netanyau, oltre ad essere membro della International Jewish Anti-Zionist Network (IJAN)3. Meyer e Abraham Melzer, per le loro posizioni antisioniste, vennero pubblicamente accusati dal giornalista ebreo tedesco di origine polacche Henryk Broder per la loro presunta “capacità di giudeofobia applicata” (Kapazitäten für angewandte Judäophobie), ovvero di essere antisemiti pur essendo ebrei4 solo per aver paragonato la politica di occupazione israeliana alle misure adottate dai nazisti. Broder è stato condannato nel 2006 a una pena detentiva da un tribunale tedesco per queste accuse, il quale segnalò a Broder che non esisteva nessun “antisemitismo ebraico”.

I Neturei Karta, gruppo ebraico haredi dichiaratamente antisionista, sono definiti dalle comunità ebraiche aderenti al sionismo come «traditori del giudaismo» e, in quanto tali, già «esclusi da decenni dalle Sinagoghe e dalle comunità». Oggi, con la definizione di “antisemitismo” dell’IHRA moltissimi ebrei ed organizzazioni ebraiche in solidarietà con la Palestina sono vittime del linciaggio e dell’etichetta strumentale di “antisemita”.

Dopo la sparatoria di massa in una sinagoga a Pittsburgh e il mortale bombardamento israeliano a Gaza nel 2018, Students for Justice in Palestine and Jewish Voice for Peace hanno pianificato una veglia congiunta presso l’Università della California, nel campus di Berkeley. Gli organizzatori hanno dovuto affrontare una reazione ostile, tra cui una denuncia presentata al Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti sostenendo, tra le altre cose, che la veglia avrebbe ritratto Israele come una nazione razzista, azione che rientra nella definizione di “antisemitismo” dell’IHRA. Di fronte a questa pressione la veglia pubblica fu cancellata e l’evento si tenne privatamente fuori dal campus universitario.

In Germania, la Banca per l’Economia Sociale ha chiuso il conto di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East, un gruppo che sostiene il Movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) a sostegno dei diritti dei palestinesi. La banca aveva subito pressioni da parte del governo israeliano e dei suoi sostenitori locali, ritrovandosi nell’elenco dei “10 peggiori episodi antisemiti mondiali del Centro Simon Wiesenthal per il 2018” per aver inizialmente mantenuto il conto deposito di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East. Secondo Iris Hefets di Jewish Voice, la banca si è basata sulla definizione dell’IHRA nella sua decisione di chiudere il conto del gruppo: la prima chiusura di un conto appartenente a un’organizzazione ebraica nella Germania del dopoguerra. Questi sono solo alcuni esempi di ciò che la definizione dell’IHRA sta generando, addirittura finendo per mettere alla gogna organizzazioni ebraiche che al contempo sono obbligate a fronteggiare antisemitismo e sionismo.

1 Daphna Levit è stata professore di economia e finanza alle università di Tel Aviv e Gerusalemme, è stata attiva in gruppi pacifisti quali Gush Shalom, B’tselem, Windows, Physicians for Human Rights, Makhsom Watch, Ta’ayush. Autrice di “Wrestling with Zionism: Jewish Voices of Dissent”

3 International Jewish Anti-Sionist Network (IJAN) è una rete di ebrei antisionisti impegnata ad “opporsi al sionismo e allo Stato di Israele”. http://www.ijan.org/who-we-are/charter/