Alla ripresa dei lavori parlamentari la Camera dei Deputati dovrà esaminare il Disegno di legge n.1620 presentato il 18 dicembre 2023 contenente “norme per la Ratifica ed esecuzione del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria,
fatto a Roma il 6 novembre 2023, nonché norme di coordinamento con l’ordinamento interno”.

In un clima già fortemente compromesso dalla competizione tra i partiti in vista delle prossime elezioni europee, che si giocheranno sulla rincorsa delle destre verso norme sempre più repressive in materia di immigrazione ed asilo, mentre la Corte Costituzionale albanese ha imposto una sospensione delle procedure di ratifica, il Parlamento italiano si avvia ad approvare un provvedimento che appare in evidente contrasto con il quadro costituzionale, con l’ordinamento europeo ed con il diritto internazionale.

Di certo soltanto una piccola parte delle persone soccorse in acque internazionali potrà essere sbarcata in Albania. Non si comprende allora, in base al Protocollo ed alla legge di ratifica, quali saranno i criteri per “selezionare” i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo dalle navi militari italiane, e se queste attività di “trasporto” verso l’Albania riguarderanno anche le navi italiane impegnate nell’operazione europea Eunavfor Med- IRINI, ammesso che svolgano qualche volta attività di ricerca e salvataggio (SAR). Soprattutto non si comprende come le navi militari italiane possano fare fronte, dopo soccorsi di massa in acque internazionali, al trasporto di centinaia di persone verso l’Albania, che rimane alquanto decentrata rispetto alle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo centrale. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli esteri Tajani in visita in Albania alla fine dello scorso anno ,”Qui a Shëngjin attraccheranno le navi militari che porteranno i migranti soccorsi in acque internazionali. Verranno identificati prima a bordo, poi ci sarà un’altra identificazione albanese sul territorio”. Il ministro ha poi aggiunto :L’Albania aiuterà l’Italia a raccogliere i migranti che dovranno poi essere riaccompagnati nei loro Paesi di origine, tutti Paesi sicuri. Qui verranno solo coloro che hanno origine in Paesi sicuri. Sarà rispettato il diritto delle persone, tanto è che i centri saranno vicini a un ospedale, quindi anche per quanto riguarda gli aspetti sanitari gli immigrati che arriveranno in Albania saranno tutti tutelati nel miglior modo possibile”. Non si vede come si possa stabilire già a bordo delle navi militari italiane che operano i soccorsi in acque internazionali la provenienza da un “paese terzo sicuro”, e neppure in base a quali criteri e con quali garanzie saranno svolte le identificazioni a terra da parte delle autorità albanesi.

L’identificazione delle persone migranti e dei potenziali richiedenti asilo deve essere svolta in base alle norme dell’Unione europea (Direttive 2013/32/UE sulle procedure di asilo e  2013/33/UE sull’accoglienza) e alla legislazione italiana che le attua) a terra, dopo lo sbarco, in centri di primo soccorso e accoglienza, in centri hotspot , in centri di permanenza per i rimpatri (CPR) o nelle Questure. Tutti i migranti, indipendentemente dal loro status e dalla loro nazionalità, anche se provengono da paesi terzi ritenuti “sicuri”  hanno diritto di essere effettivamente informati dei loro diritti e doveri, inclusa la possibilità di presentare domanda di protezione internazionale, e nei centri di trattenimento hanno diritto di accedere organizzazioni nazionali e internazionali di tutela e avvocati per garantire informazione e diritto alla difesa. Tutti diritti inalienabili che a bordo di una nave militare non sarà certo possibile esercitare effettivamente. Per non parlare della impossibilità di fare emergere in prossimità dei soccorsi tutte le vulnerabilità e le vittime di tratta.

Il Protocollo Italia-Albania e il Disegno di legge di ratifica continuano a basarsi sulla totale discrezionalità del ministero dell’interno nell’assegnazione di un porto di sbarco, già manifesta nel caso delle navi del soccorso civile con il Decreto legge “Piantedosi” (legge n.15 del 2023) e con la prassi amministrativa dell’assegnazione di porti di destinazione sempre più lontani per le sole navi delle ONG (cd. “porti vessatori”). Con un carico inimmaginabile di sofferenze inflitte ai naufraghi e di costi insostenibili imposti alle Organizzazioni non governative. Adesso si moltiplicano gli impegni delle navi militari coinvolte nelle attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), se non si vuole parlare di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali, costrette a trasferimenti sempre più lunghi, riducendone ulteriormente la presenza nelle aree del Mediterraneo centrale nelle quali, dopo l’allontanamento delle navi del soccorso civile, è in gioco la vita umana per la carenza di mezzi di soccorso e di coordinamento tra gli Stati costieri. Esattamente l’opposto di quanto richiederebbero le Convenzioni internazionali di diritto del mare che impongono agli Stati l’organizzazione di un sistema di soccorso finalizzato prevalentemente alla salvaguardia della vita umana in mare con lo sbarco nel porto sicuro più vicino, e non ai respingimenti collettivi in alto mare o al rimbalzo delle competenze da uno Stato ad un altro. Le linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare prevedono infatti che “ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco” (par. 6.20, Risoluzione MSC.167(78) adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza insieme agli emendamenti SAR e SOLAS).

Come si vedrà meglio analizzando le singole norme di “coordinamento” contenute nel Disegno di legge di ratifica, si viola il diritto delle persone di chiedere asilo in frontiera indipendentemente dalle circostanze nelle quali abbiano raggiunto il territorio dello Stato o siano state soccorse in acque internazionali, si aggira il divieto di respingimenti collettivi, ribadito nella sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo sul “caso Hirsi” (verificatosi nel 2009), e si prefigurano trasferimenti forzati di persone in assenza di una valida base legale, che si possono definire come vere e proprie deportazioni, anche verso paesi terzi che non rispettano i diritti fondamentali della persona, al di là della loro eventuale inclusione in una lista di “paesi terzi sicuri”.

Allo scopo di dare maggiore effettività ai processi di esternalizzazione dei controlli di frontiera, già avviati da tempo con una serie di Memorandum d’intesa e di accordi bilaterali, si prefigurano procedure accelerate “in frontiera” che in Albania dovrebbero essere applicate al di fuori delle frontiere italiane ed europee, con una vera e propria finzione giuridica che dovrebbe assimilare le aree in territorio albanese concesse in uso alle autorità italiane ai centri di transito, di prima accoglienza ( e di trattenimento) ubicati alle frontiere italiane, all’interno delle quali dovrebbe esercitarsi soltanto la giurisdizione italiana, come se si trattasse di sedi diplomatiche italiane all’estero. Ma il contenuto del disegno di legge di ratifica e soprattutto i due allegati mettono in luce tutte le contraddizioni del Protocollo Italia-Albania che, al di là dei costi enormi che comporta, mette a rischio diritti fondamentali della persona anche se appare di dubbia, se non impossibile, realizzazione. Ma di sicuro effetto come arma di propaganda elettorale.

Secondo l’art. 6 del Protocollo tra Italia ed Albania firmato il 6 novembre 2023, “le competenti autorità della parte albanese assicurano il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica nel perimetro esterno alle aree e durante i trasferimenti via terra, da e per le aree, che si svolgono nel territorio albanese. Le competenti autorità della parte italiana assicurano il mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno delle aree. Le competenti autorità della Parte albanese possono accedere nelle aree, previo espresso consenso del responsabile della struttura stessa. In via eccezionale le autorità della parte albanese possono accedere nelle strutture, informando il responsabile italiano della stessa, in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento”.

Non si può trattare allora di una giurisdizione italiana esclusiva in territorio albanese, ma di giurisdizioni concorrenti, e dunque si configura il rischio di gravi violazioni dei diritti fondamentali a partire dal diritto di chiedere asilo e dalle garanzie di difesa della persona migrante, che sono previste a livello europeo con norme che non vincolano le autorità albanesi alle quali si trasferiscono rilevanti poteri in ordine ai trasferimenti dei migranti sbarcati dalle navi militari italiane ed al loro arresto in caso di fuga o di allontanamento dai centri di accoglienza/detenzione.

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