Ed eccoci ancora qua, a dover capire chi ha fatto cosa e perché.

Chi è il mandante del massacro di Kerman?

È chiaro che la risposta può avere conseguenze importanti, perché si tratta di un attacco terroristico in un paese sovrano che può provocare un’escalation nel conflitto, con la destabilizzazione di tutta l’area.
Sono gli Stati Uniti ?
È Israele ?
È un altro gruppo?
Effettivamente, una risposta dovremmo già averla : alle 19.30 ora di Teheran Daesh ha rivendicato l’attentato anche se, un’ora e mezza prima, Abu Hudhayfah Al-Ansari, suo portavoce, aveva rilasciato un lungo comunicato senza citarlo in nessun modo.
Questa stranezza ha rafforzato i dubbi sugli avvenimenti.

La rivendicazione mette ufficialmente fine alle attribuzioni dirette a Stati Uniti ed Israele, che peraltro erano già dubbie per lo stile dell’attentato: due bombe in strada, esplose a distanza per fare strage di soccorritori, sono veramente troppo old school per chi combatte con droni ed alta tecnologia.
Né rientra nella cultura bellica di entrambi l’attacco con kamikaze suicidi, come si vocifera sia avvenuto, ed invece rientra in quella dell’IS.

Esclusa l’azione diretta, resta però valida la domanda: IS ha ucciso da sola o per commissione?
Se la mano è islamica, la mente è americana/israeliana?

Effettivamente la vicinanza del massacro con l’assassinio di Al Arouri potrebbe far pensare ad un messaggio trasversale: dopo aver colpito la marionetta (Hamas), possiamo colpire anche il puparo (l’Iran).

Il piano sarebbe perfetto, con il contenuto che passa forte e chiaro, ma senza pericolo di escalation attribuibile ai mandanti.
Se è stata Daesh, Khamenei non può prendersela con Israele; se è stata Daesh, Khamenei non può invocare la “feroce vendetta” contro gli Stati Uniti.

Si, sembrerebbe un piano perfetto, eppure c’è qualcosa che stona: il bersaglio.
Infatti, qui non si tratta di un obiettivo politico/militare di un qualche significato, ma di 103 poveri cristi che facevano parte di una folla come tante.
Se un messaggio trasversale doveva passare, sarebbe stato opportuno scegliere una vittima prestigiosa e simbolica, come nel caso di Al Arouri.
In questo caso, quale sarebbe il senso della carneficina?
Provocare? Fare un dispetto? Creare terrore nella popolazione? Con quale prospettiva?

Ogni azione terroristica ha un costo in termini di fatica nella preparazione e di rischio, che va valutato congiuntamente con i risultati attesi.
In questo caso, con la condanna unanime del fatto e il compattamento del fronte interno, il rapporto costi/benefici è fortemente in negativo e, soprattutto, era prevedibile come fortemente negativo.
Non ne valeva la pena, e lo si poteva sapere.
La storia ci insegna che, in guerra, il fattore razionalità è molto disturbato, ma non quando si fanno mosse da guerra psicologica, come dovrebbe essere in questo caso: è quindi veramente possibile che gli Stati Uniti ed Israele ne siano estranei.