Durante il suo ultimo messaggio di fine anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha detto, tra le altre cose, che “Partecipare significa farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte. Significa contribuire, anche fiscalmente. L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo. Contribuire alla vita e al progresso della Repubblica, della Patria, non può che suscitare orgoglio negli italiani.” Parole che al pari di tante altre pronunciate in questi anni sull’evasione fiscale rischiano di restare ancora una volta inascoltate. Nel recente documento che aggiorna la Relazione 2023 sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva per gli anni 2016-2021 a seguito della revisione dei Conti Nazionali apportata dall’Istat diffusi lo scorso mese di settembre, si certifica infatti che nel 2021 l’evasione fiscale ha “scippato” all’Italia, a tutti noi, ancora 83,6 miliardi di euro: 73,2 miliardi di mancate entrate tributarie e 10,4 miliardi di contributi evasi. Stiamo parlando di cifre enormi, di una somma che è 3 volte la  manovra economica per il 2024.

Il sommerso economico ritorna a correre, attestandosi a ben 173,9 miliardi di euro, con  le componenti più rilevanti rappresentate dalla correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto e dall’impiego di lavoro irregolare. Nel 2021 esse hanno generato, rispettivamente, il 52,6% e il 39,2% del valore aggiunto complessivo attribuito all’economia sommersa. Meno rilevante, ma comunque significativo (8,3%), è il contributo delle altre componenti (mance, fitti “in nero” e integrazione domanda-offerta). A livello settoriale, si registra una riduzione importante di 1,2 punti percentuali del peso del sommerso in Agricoltura, Costruzioni e Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione; mentre, si osserva un significativo incremento nei Servizi professionali, scientifici, tecnici e di supporto alle imprese (+1,2 punti percentuali), negli Altri servizi alle persone (+0,6 punti percentuali) e nei Servizi di informazione e comunicazione e Attività finanziarie e assicurative (+0,5 punti percentuali, in entrambi i settori).

Nel 2021 sono state 2 milioni e 990 mila le unità di lavoro a tempo pieno (ULA) in condizione di non regolarità (+2,5% rispetto al 2020), occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 177 mila unità). La dinamica dell’evasione IRPEF da lavoro dipendente irregolare registra un aumento pari a circa 101 milioni di euro rispetto al 2020. La stima per il 2021 per quanto riguarda IRPEF da lavoro autonomo e impresa e IRES evidenzia un aumento del gap complessivo delle due imposte. Più precisamente, nel caso dell’IRES tale aumento è determinato esclusivamente dalla componente dei mancati versamenti (si rammenta, tuttavia, che i dati relativi ai mancati versamenti non sono disponibili per gli ultimi due anni d’imposta e, pertanto, sono frutto di una previsione), mentre nel caso dell’IRPEF è trainato principalmente dalla componente del non dichiarato.

Rispetto all’IVA, inceve, la stima per il 2021 mostra un calo sostanziale del gap (lo scarto tra quanto doveva essere versato e quello che è stato versato effettivamente) rispetto al 2020 pari a 3,9 miliardi e corrispondente ad una riduzione del gap in termini di propensione pari a 4,8 punti percentuali, trainato, in entrambi i casi, dalla componente del non dichiarato. Tali stime indicano un miglioramento di compliance presumibilmente sospinto dalle varie misure adottate per rafforzare la tracciabilità delle operazioni. Inoltre, osservando la composizione settoriale dell’aumento degli importi dichiarati, si può desumere che un ruolo possa essere attribuito a quelli relativi al settore edilizio. L’andamento decrescente del gap IVA nel 2020 rispetto al 2019 conferma, rispettivamente, gli effetti dell’introduzione della fatturazione elettronica nel 2019 e della ricomposizione dei panieri di consumo in risposta alla crisi epidemiologica nel 2020.

Relativamente all’IRAP, infine, il dato complessivo del gap 2020 è leggermente inferiore a quello riflesso nell’edizione di settembre per effetto di una revisione marginale dei conti economici e di un aggiornamento dei dati sui mancati versamenti. Nel complesso, il tax gap si riduce quindi di circa 10 milioni rispetto alla versione precedente. In virtù di tale dinamica, la propensione al gap si conferma in calo rispetto al 2019 con un valore di 17,7% nel 2020. Le stime per il 2021 mostrano una potenziale stabilità nel valore del non dichiarato (solo 43 milioni in meno rispetto all’anno precedente), ma a ridursi è la propensione che scende al 16,2% in virtù dell’aumento del dichiarato. Quest’ultimo fenomeno è, presumibilmente, riconducibile alla generale ripresa dell’attività economica e risulta rafforzato dall’entrata a regime di provvedimenti mirati.

E’ vero che l’evasione, come si evince dalla Relazione, scende, seppur lentamente. Ma tale diminuzione  non cala per tutte le imposte: l’Irpef -per esempio- cresce di poco più di 2 miliardi di euro, in larga parte relativi ad autonomi e imprese in regime di tassazione piatta, la cosiddetta flat tax. E comunque il complesso della cosiddetta economia sommersa è aumentata di 16,5 miliardi di euro in un anno. C’è ancora tanto da fare, insomma, a partire  dalla “sotto fatturazione del valore aggiunto” e dall’impiego irregolare di lavoratori, i 2 fattori che pesano maggiormente sul sommerso, rispettivamente il 52,6% e il 39,2%.

Qui la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione: https://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/rapporti-relazioni/documenti/Aggiornamento_relazione_2023_finale_h1710.pdf.