La presidente Meloni stringe la mano al sanguinario Erdogan che inasprisce la guerra contro il popolo curdo e la repressione contro i democratici e antifascisti in Turchia. Non dimentichiamo il Kurdistan

Approfittando del fatto che i riflettori dell’opinione pubblica mondiale sono attualmente accesi sulla strage nella striscia di Gaza, il governo reazionario turco sta inasprendo l’offensiva bellica contro le città e i villaggi curdi del nord Iraq e della Siria. Mentre Erdogan tuona contro il genocidio perpetrato dall’esercito di Tel Aviv nella striscia di Gaza, lo stesso è artefice diretto del massacro delle popolazioni curde.

Caccia, droni e artiglieria colpiscono città, villaggi e campi profughi, con un’attenzione particolare alle installazioni economiche e alle infrastrutture. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani sono state colpite 700 località nel Nord Est siriano. Gli attacchi hanno danneggiato centrali elettriche e raffinerie petrolifere, gettando tutta la zona in un buio completo e causando l’interruzione delle forniture idriche. Le devastanti operazioni militari turche hanno provocato distruzioni ed effetti permanenti sulla vita quotidiana della popolazione. Tutte le città della regione amministrata autonomamente sono senza elettricità, senza rifornimenti di cibo e di acqua potabile.

A fianco dei raid contro le infrastrutture civili, che si configurano come azioni di guerra, vengono compiuti attacchi terroristici contro dirigenti del movimento popolare curdo. Hulia Morgiani, dirigente politica curda, è stata uccisa nel Nord iracheno.

In questa fase di guerra contro la resistenza curda l’esercito turco è alleato, di fatto, con le milizie jihadiste dell’ISIS. Nei territori del Rojava, nel Nord Est della Siria, fino a Deir el-Zor i, jihadisti dall’inizio dell’anno hanno compiuto più di 160 attacchi terroristici, contando sulla copertura turca. Dalla base turca di Ras Al-Ayin sono partiti i colpi di artiglieria che hanno colpito le zone rurali della città curda siriana di confine di Hasaka con gravi danni materiali. I bombardamenti turchi si sono estesi fino alla provincia di Raqqa (ex capitale siriana dell’ISIS, liberata dalle YPG , YPJ e dalle Forze Democratiche Siriane a guida curda) causando la morte di donne e bambini. I jihadisti, incoraggiati dagli attacchi dell’esercito turco all’autonomia curda, hanno rialzato la testa. Nel campo di El-Hol sono in corso movimenti di protesta. Gruppi di donne sono scese per strada al grido “Allah Akbar”, e azioni sono diventate sempre più violente fino a degenerare in attacchi contro gli operatori umanitari. La direttrice del campo, Jihan Hanan, sostiene “la situazione è pericolosa. La presenza di 60 mila familiari dei jihadisti è una scuola di terrorismo. I bombardamenti turchi hanno dato alle cellule dormienti il coraggio di alzare la testa”.

Mentre si inasprisce la pressione militare contro il popolo curdo, non si allenta la stretta repressiva contro le migliaia di attivisti democratici e antifascisti rinchiusi nelle carceri turche. Il 16 e 17 febbraio sarà celebrata in tutta Europa la giornata per la liberazione del presidente Abdullah Öcalan (leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan), rinchiuso nella prigione di massima sicurezza dell’isola di İmralı nel mar di Marmara da ben 25 anni.

Fra le migliaia di attivisti democratici privati della libertà, nelle galere turche c’è Selahattin Demirtas, presidente dell’HDP e deputato al parlamento di Ankara, in carcere dal 4 novembre 2016 imputato nel maxi processo Kobane, dove figura come uno dei 108 incriminati.

La detenzione di Demirtas rappresenta uno dei processi più singolari nella storia della Turchia. Nel 2020, la Corte Costituzionale turca ha affermato che nel processo a carico dell’ex parlamentare sono stati violati diversi diritti. Nello stesso anno, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha definito “politica” la sua detenzione, chiedendo immediatamente il suo rilascio. Questa decisione è stata confermata alla fine del 2020 anche dalla Grande Camera della Cedu. Tuttavia, nonostante queste decisioni siano vincolanti anche a livello costituzionale, esse sono state ignorate dalla magistratura turca che non ha mai smesso di criminalizzare Demirtas, definendolo un “terrorista”.

Nel corso degli anni, Selahattin Demirtas è stato assolto diverse volte o condannato a breve detenzione. Nonostante avesse potuto essere scarcerato, dopo ogni decisione a suo favore, il collegio dei giudici avanzava sempre nuove accuse, aprendo così un nuovo processo e confermando la sua detenzione.

In quest’ultimo procedimento che riguarda gli scontri (46 morti) avvenuti dal 6 al 7 ottobre del 2014, in diversi angoli della Turchia, durante le manifestazioni in solidarietà con la resistenza di Kobane contro i jihadisti tagliagole dell’ISIS, Selahattin Demirtas è sotto processo con l’accusa di “incitamento all’odio”, e non solo. Demirtas è sotto processo anche per via dei discorsi pronunciati all’interno del parlamento nazionale, dove teoricamente era protetto dall’immunità parlamentare.

Durante il processo a suo carico Demirtas ha fatto il seguente appello: “Mi trovo qui sotto processo a causa delle mie idee. Potete criticare le mie idee, ma non potete processarle. Negli anni, decine di sindaci eletti del mio partito sono stati sospesi e sostituiti da commissari straordinari, che ho definito figure antidemocratiche e simbolo di un colpo di stato. Oggi mi si sta processando per queste parole, e io mantengo la stessa opinione anche oggi.”

“Rivolgo il nostro appello principalmente ai nostri fratelli turchi di Edirne, Izmir, Samsun, Adana, Kırşehir e soprattutto di Ankara. Noi curdi sosteniamo la convivenza in tutte le 81 province. Vogliamo solo garanzie politiche attraverso il rispetto della nostra lingua, cultura e volontà politica. Questi sono i nostri diritti più naturali, fondamentali e umani. Se il popolo turco si considera fratello, dovrebbe difendere i diritti del popolo curdo più fortemente di noi. Ora dobbiamo risolvere i nostri problemi di identità e fede, lottando insieme contro la povertà e la disoccupazione. La vera lotta di classe è la lotta per il lavoro e per il pane. Finora abbiamo cercato di portare avanti entrambe le lotte intrecciate, ma se risolviamo i problemi legati all’identità nazionale e alla fede, la lotta di classe può essere condotta con maggiore forza.”

“Noi, il popolo curdo, cerchiamo una soluzione da 150 anni, pagando un prezzo alto per questa soluzione. Questo processo è uno di questi. Giunti alla fine di questa seduta, vorrei dirlo ancora una volta con tutto il cuore: lasciamo che il prezzo che paghiamo porti alla pace; rinuncerei persino alla mia vita per questo. Spero che tutti traggano la giusta lezione da tutto questo. Ritorniamo al tavolo delle trattative. Raggiungeremo la pace che abbiamo promesso al nostro popolo.”

“È un onore essere processato. Ci vediamo nei giorni liberi. Viva la nostra lotta per la libertà.”

Mentre l’esercito turco prosegue imperterrito la campagna militare genocida contro le popolazioni curde, mentre si inasprisce la repressione contro i democratici in Turchia, la prima Ministra Giorgia Meloni è giunta a Istanbul dove ha stretto la mano al sanguinario Erdogan con l’obiettivo di raggiungere un interscambio Italia/Turchia di 30 miliardi di euro entro il 2030.

Secondo i dati diffusi dall’Ice di Istanbul, nel primo semestre del 2023 l’interscambio fra Italia e Turchia è aumentato del 3,1% rispetto a 12 mesi prima, pari a 15,9 miliardi. L’Italia inoltre è il quinto partner commerciale della Turchia, con mezzi di trasporto e macchinari; è il sesto fornitore dopo Russia, Cina, Germania, Svizzera e Usa; il terzo cliente dopo Germania e Usa. Nell’area euro l’Italia è al secondo posto nella classifica dell’interscambio, preceduta da Berlino con 28,7 miliardi e seguita da Parigi con 13, mentre nell’area mediterranea Roma è primo partner commerciale di Ankara. La Turchia importa prodotti di eccellenza italiani come autoveicoli, trattori, parti di ricambio, metalli e pietre preziose, strumenti ottici, fotografici e per cinematografia, macchinari e apparecchiature meccaniche, che sono in crescita del 24,2% rispetto al primo semestre del 2022. Un ambito che da solo vale più di 2 miliardi di euro.

Numerose sono le imprese italiane in Turchia, fra di esse i colossi dell’economia nazionale. Spiccano nell’elenco delle imprese l’Ansaldo Energia, BH-Nuovo Pignone, Sicim, Eni, Saipem e Tenaris nel settore energetico; Alstom, WeBuild, Ansaldo e Fsi nel settore ferroviario; Ferrero nell’agroindustria; Intesa Sanpaolo, Generali Assicurazioni nel comparto bancario e assicurativo; Astaldi, Cementir, Gruppo FS, Gruppo Trevi e WeBuild in quello infrastrutture e trasporti; Danieli in quello industriale e Stellantis alla voce automotive.

Il settore infrastrutturale è molto attenzionato dal governo turco che ha dato vita al “Transportation and Logistics Master Plan, 2053 Vision”, un progetto che vede 200 miliardi di dollari di investimenti per potenziare la rete ferroviaria (inclusa l’alta velocità) e quella autostradale. Quest’ultima dai 28.647 chilometri attuali verrà portata a 38.060 chilometri: settore dove l’Italia vanta un expertise oggettivo.

Da non dimenticare l’impegno dell’italiana Leonardo spa nel settore bellico e in particolar modo in quello missilistico e informatico fornito all’esercito turco.

Il profitto per milioni di euro non si ferma nemmeno davanti alla negazione dei diritti democratici elementari e al sempre più spietato intervento bellico in Medio Oriente da parte del regime di Ankara.