Nel corso delle estenuanti trattative per arrivare ad un accordo politico sul Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, raggiunto il 20 dicembre con grande clamore mediatico, ma senza l’emanazione di alcun atto avente immediata portata legislativa, le difese legali delle persone migranti e importanti decisioni degli organi giurisdizionali ponevano notevoli argini verso quella serie di provvedimenti di legge e degli organi amministrativi che, a livello nazionale, hanno costituito una rilevante rottura dei principi sui quali si basa lo Stato democratico, con particolare riferimento alla condizione giuridica degli immigrati costretti all’ingresso irregolare e dei richiedenti protezione internazionale.

Mentre in Europa, in vista delle prossime elezioni, dietro il fallimento delle proposte di modifica sostanziale del regolamento Dublino, si prefigura lo smantellamento del diritto di asilo, anche attraverso accordi con paesi terzi, ed una legislazione che criminalizza ulteriormente l’ingresso irregolare, arrivando a configurare, direttamente o indirettamente, vere e proprie deportazioni verso paesi di origine ritenuti “sicuri”, i giudici nei tribunali, fino alla Corte di Cassazione, sembrano riaffermare, non senza evidenti contraddizioni, soprattutto nel caso dei giudici non togati, principi cardine dello Stato di diritto in materia di uguaglianza di tutte le persone, di rispetto del principio di legalità e di garanzie della libertà personale, anche nei casi in cui questa viene limitata quando si verifica l’ingresso o il soggiorno irregolare nel territorio. Principi che trovano un fondamento nella Carta costituzionale, nella Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, nella Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e fino ad oggi nelle normative dell’Unione Europea che vi corrispondevano. Vedremo, quando a livello europeo si riuscirà ad adottare i nuovi Regolamenti in materia di immigrazione ed asilo con il voto convergente del Consiglio e del Parlamento. Se, e come, i legislatori nazionali, e soprattutto i governi e le autorità nazionali direttamente dipendenti dall’esecutivo, riusciranno a trovare l’ennesima “quadra”, ma si potrebbe parlare di un compromesso pre-elettorale, per aumentare l’efficacia, fin qui assai scarsa, della politica della deterrenza, attraverso rimpatri semplificati e sanzioni agli “agevolatori”, e la repressione nei confronti di migranti forzati, tra i quali diventa sempre più difficile distinguere tra richiedenti asilo e “migranti economici”. Mentre purtroppo aumenta il numero delle persone vittime di frontiera, non solo in mare, ma anche alle frontiere terrestri.

Recenti decisioni della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sulla possibilità di disapplicare norme interne in contrasto con il diritto dell’Unione europea e sulla necessità che i provvedimenti amministrativi, e quindi giurisdizionali, che limitano la libertà personale dei migranti, e in particolare dei richiedenti asilo, rispettino il principio di una completa motivazione, e la riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13 della Costituzione italiana. La materia sarà oggetto anche di una prossima pronuncia a Sezioni Unite da parte della Corte di Cassazione, sui ricorsi presentati dal governo contro le decisioni del Tribunale di Catania di non convalida dei trattenimenti di richiedenti asilo in “procedura accelerata in frontiera” detenuti nel centro hotspot di Modica-Pozzallo.

Come osserva Silvia Albano in un commento a tre sentenze del Tribunale di Catania, quel “Tribunale ha prima di tutto affermato due principi fondamentali che governano tutta la materia del trattenimento del richiedente asilo: il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda e il trattenimento deve considerarsi misura eccezionale, applicabile solo quando non ci siano altre misure idonee alternative al trattenimento, e limitativa della libertà personale ai sensi dell’art. 13 della Costituzione”.

Ha ribadito poi quello che le norme interne e le norme UE prevedono: che il provvedimento di trattenimento deve essere adeguatamente motivato in ordine alla situazione personale e concreta del singolo richiedente, non potendosi convalidare un provvedimento di trattenimento dotato di una motivazione solo apparente, essendo esclusa la possibilità di ogni automatismo.

Le decisioni del Tribunale di Catania rimangono dunque nell’alveo della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, senza avere quei caratteri “ideologici” che diversi esponenti di governo hanno attribuito ad una deliberazione che andava sottratta al linciaggio mediatico che ha subito. A meno che per “ideologico” non si intenda il rispetto del principio di gerarchia delle fonti e dei valori costituzionali, ed allora è un bene che le sentenze dei giudici siano improntate a questa “ideologia” della Costituzione, che evidentemente viene avvertita come un ostacolo da chi governa.

Inoltre, con riferimento ad un migrante trattenuto presso il Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) di Pian del Lago a Caltanissetta, che solo successivamente al provvedimento di respingimento aveva potuto presentare una domanda di asilo, come peraltro è prassi in diverse questure siciliane, la Corte di Cassazione ha cassato senza rinvio il decreto di convalida del trattenimento adottato dal Giudice di pace di Caltanissetta il 10 dicembre 2022. Si tratta dunque di un caso precedente al cd. “Decreto Cutro” (adesso convertito in legge), ed ai più recenti provvedimenti del governo, che hanno esteso il ricorso alle procedure accelerate in frontiera, limitando ulteriormente le possibilità di chiedere protezione e di esercitare i diritti di difesa dopo una misura di allontanamento forzato dal territorio nazionale (respingimento o espulsione). Una valanga di decreti legge approvati a colpi di fiducia che tuttavia non hanno risolto precedenti problemi applicativi ma ne hanno moltiplicato l’incidenza, soprattutto nella fase di trattenimento dopo lo sbarco, nel corso della cd. “preidentificazione”, e poi durante le “procedure accelerate in frontiera”.

I principi che afferma la Corte di Cassazione vanno ben oltre il caso che era venuto in esame, e continuano ancora oggi a costituire un argine contro prassi amministrative e riforme legislative che sembrano cancellare le garanzie costituzionali e il rispetto del principio gerarchico delle fonti.

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