In questa nuova società contemporanea, colpita dalla crisi economica e climatica, dall’au­mento delle diseguaglianze, dalle guerre e dalla sempre maggiore sfiducia verso le istituzioni democratiche, la cultura laica, vista la sua profonda crisi, non riesce a rilanciarsi ed ad affrontare e risolvere queste nuove sfide. Proprio per questo, Andrea Billau, giornalista di Radio Radicale, ha chiesto a varie persone che lui definisce “spiriti liberi” di scrivere in merito al loro rapporto con la religiosità e il sacro. Così è nato il libro “Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica” edito da Castelvecchi nella collana Nodi, e curato da Andrea Billau con i contributi dello stesso giornalista e di: Michele Bonmassar, Tano D’Amico, Stefano D’Errico e Danilo Di Matteo. Vista la profondità e l’importanza della tematica trattata nel libro, abbiamo deciso di intervistare il suo curatore.

Partiamo da lei. Qual è il suo rapporto con la religiosità?

Il mio rapporto con la religiosità deriva dall’osservazione della presenza nel mondo del dolore e della morte e della relativa incapacità umana di porvi rimedio, se non relativo: con la sua attività l’essere umano può ridurre solo il danno che, permanendo nella sua fattualità come orizzonte ineludibile, segna la prevalenza della regola del male nel funzionamento del tutto qui e ora.

La possibilità però per l’essere umano, unico in natura, di porre un rimedio relativo a questa situazione segnala anche la presenza di una regola del bene, che è minoritaria si ma comunque efficace a suo modo.

Quello che manca è il compimento di questa regola nella vita terrena e segnala come questa realtà sia incompiuta e abbisogni di un’evoluzione ulteriore che può solo inverarsi in un futuro altro, in un altrove, che sconfiggendo la morte diventi un passaggio ad un’altra dimensione in cui tutti noi, vittime in questa vita della regola del male, saremo definitivamente riscattati.

Questa dimensione altra è quella che appartiene alla sfera del sacro e che è stata incarnata nella storia umana dalle religioni e dalla filosofia, con la sua riflessione, fin dagli esordi, sull’Essere del mondo; ed è proprio a quest’ultima che io mi rivolgo non potendo, essendo figlio della modernità, aderire a religione rivelate basate su assunti mitici e in cui prevale la fede sulla razionalità.

Come si è arrivati dal concetto di “secolarizzazione” alla visione politica del “secolarismo”, e perché quest’ultima ha fallito?

Il mondo moderno nasce dalla messa fuori gioco dell’assetto medioevale in cui il sapere umano era sottomesso alla fede nella religione rivelata e siccome di religioni rivelate ce ne sono molte ed ognuna aspira all’assolutezza della sua verità, inevitabilmente si è arrivati alle guerre di religione, che la modernità laica ha voluto superare.

Da qui nasce la secolarizzazione che però si è trasformata in secolarismo quando, con l’acqua sporca dell’assetto teocratico della società, si è buttato il bambino della “istintuale religiosità della specie umana”(come la definisce Jung). La si è sostituita prima con la dea ragione illuminista, anche se Kant, lui stesso illuminista, aveva ammonito a riconoscere i limiti della ragione stessa, poi con le religioni secolari ideologiche che volevano portare il paradiso in terra, il cui fallimento ha portato ad affidarsi a una nuova religione terrena, quella della scienza, nelle sue efficaci applicazioni tecnologiche. Il panorama che ne è derivato è una società appiattita su un eterno presente che emargina dal suo orizzonte di senso l’aspetto intrinsecamente tragico dell’esistenza, in particolare di quella umana, che con la sua capacità autoriflessiva è stata l’unica in grado di problematizzare il suo destino; ebbene la dimensione tecnologica attuale, preso atto che qui e ora non si può intervenire su questo problema lo elide dalle possibilità di riflessione e azione, colpendo e abbattendo la sapienza più antica dell’umanità, la filosofia.

Può esserci una via di mezzo tra un ritorno alla religiosità fanatica, estremista e fondamentalista e un ateismo sempre più materialista e capitalista, quando entrambe queste strade sembrano aver perso la capacità di provare empatia e di mettersi nei panni degli altri al fine di creare una società più tollerante e pluralista?

La sconfitta delle ipotesi di palingenesi terrena del comunismo ha portato al prevalere di un modello unico di funzionamento della società, quello capitalistico che ha provocato una precarizzazione delle condizioni degli individui sia  a un livello materiale che esistenziale e per molti questo ha segnato una condizione che in sociologia viene definita di anomia. Contro questa condizione si è sviluppato un bisogno di protezione che non avendo più a disposizione una filosofia della storia rivoluzionante l’assetto dato si è rivolto all’indietro nel tempo recuperando assetti di pensiero solamente reattivi: il nazionalismo e il fondamentalismo religioso, da cui lo scontro di civiltà in corso nella contemporaneità.

Contro questa prospettiva, nichilista da ambo i lati, si colloca la nostra proposta, che intravede la possibilità di una nuova universalità che vede la laicità recuperare la sua dimensione più profonda legata alla riflessione filosofica; ciò potrebbe dare, finalmente, un orizzonte di unione delle individualità separate e permettere a queste di risollevarsi attraverso un progetto comune animato non dalla reattività ma da una reale propositività: la vita, nonostante la prevalenza ontologica della regola del male, è animata anche da scintille di bene che possono essere esperite con alla vista una finalità ulteriore di cui si può individuare, attraverso l’uso non ristretto della ragione, una ragionevole ipotesi di realtà, dandoci così(aggiornando il detto gramsciano) un ottimismo della ragione sul nostro destino finale.