Il 3 ottobre di dieci anni fa 368 migranti persero la vita al largo di Lampedusa. Erano le 03.15 di notte quando, a poche miglia dalla costa dell’Isola dei Conigli, un’imbarcazione con 500 persone a bordo prese fuoco e si capovolse, inabissandosi con bambini, donne, uomini, mettendo la parola fine alla traversata nel Mediterraneo e alla loro speranza di una vita migliore.

Era il 2019 quando don Mattia Ferrari si è imbarcato sulla Mare Jonio come cappellano della Mediterranea Saving Humans , che presta soccorso ai migranti dispersi in mare sulle rotte della Libia.
Ora la Mar Jonio si sta preparando per salpare di nuovo ma don Mattia, classe 1993, non potrà essere a bordo: è sotto scorta perché ha ricevuto minacce da parte della mafia libica.
Infatti, il sacerdote è in prima linea non solo nell’aiuto dei migranti ma anche nel denunciare le infiltrazioni criminali che determinano il traffico di esseri umani.

L’intervista a don Mattia Ferrari

Cosa ti ha spinto a diventare cappellano di Mediterranea Saving Humans?
“Mediterranea è una piattaforma che unisce persone, diverse realtà associative e anche la Chiesa Cattolica.
Alcuni dei fondatori sono miei amici e mi hanno chiesto di partecipare.
Il mio diventare cappellano di questa realtà è stato solo l’inizio, ora sono molte le diocesi e le parrocchie che partecipano in vari modi alla missione. Papa Francesco è uno dei nostri sostenitori, più volte ci ha incontrato e ha espresso gratitudine e sostegno verso Mediterranea. Ci ha ricevuto in udienza diverse volte”.

Come andrebbe affrontato il tema delle migrazioni?
“Come prima cosa bisognerebbe assumere il paradigma della complessità, comprendere che non esistono soluzioni semplici.
La migrazione è un diritto umano e come tale va rispettato. Oggi molte migrazioni sono forzate a causa della crisi della giustizia globale.
Molte persone non hanno la possibilità di avere una vita degna nelle loro terre natie e la responsabilità è nostra, del nostro sistema di colonialismo economico.
Inoltre, si tende a gestire questo problema come se i migranti fossero un oggetto e non un soggetto. Si parla dei migranti, ma loro non vengono mai coinvolti. Solo nell’incontro tra oggetti è possibile la fraternità e solo quest’ultima può portare alle soluzione di sfide grandi come il fenomeno migratorio”.

Come operate?
“La nostra nave fa poche missioni, non operiamo solamente in mare. Lavoriamo anche come supporto a Refugees Lybia, il movimento di migranti in Libia.
Non siamo d’accordo con la politica dei respingimenti, è disumana e viola i diritti umani internazionali che stabiliscono, in particolare l’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati stabilisce che l’obbligo del non refoulement: ‘Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche’. Come Mediterranea condanniamo totalmente i respingimenti”.

Puoi raccontarci una storia di uno dei migranti che hai conosciuto?
“Noi siamo in contatto con diversi ragazzi che si trovano in Libia che sono stati respinti. Due storie le abbiamo raccontate pubblicamente. Due ragazzi sono stati catturati in mare dopo un respingimento e messi nei lager libici. Sono stati sottoposti a quelli che l’Onu ha chiama ‘orrori indicibili’ fino a che la loro vita non si è spenta. Siamo testimoni diretti di questo. La storia di Mohamed, che si è suicidato in un lager libico, l’ha raccontata anche Papa Francesco tornando da Marsiglia. Alcuni di loro sono cattolici, ci chiamano perché vogliono la benedizione. Mi è capitato di darla ad alcuni ragazzi, in videochiamata, perché erano in fin di vita a causa delle torture”.

Con Nello Scavo hai scritto un libro “Pescatori di uomini”. Perché questo titolo?
“ E’ l’esperienza continua che fa Mediterranea. Ma anche noi veniamo ‘pescati’: non stiamo solo facendo un’opera di salvataggio, ma ci salviamo veramente insieme. La carica umana che ti restituiscono queste persone è fortissima e davvero noi ci sentiamo salvati da loro: ci si salva solo insieme. Quello che noi dobbiamo comprendere è che tutte le crisi sono connesse: da quella migratoria a quella ambientale. Sono tutte frutto di un sistema che noi esseri umani abbiamo costruito, un sistema che è diventato insostenibile. Solo unendoci concretamente in una vera fraternità possiamo scrivere un altro sistema”.
(Intervista realizzata da Interris.it)