In tempi così duri e spietati a causa delle ingiustizie sociali, del clima di violenza diffusa e del germe patogeno dell’odio che ci tolgono il respiro si avverte la necessità di scorgere e rendere visibili nuovi sentieri tornando a interrogare non solo le leggi, gli ordinamenti giuridici, le istituzioni, la politica, ma anche e soprattutto il  modo concreto di vivere e di convivere che ciascuna/o di noi mette in atto nella quotidianità. Un contributo notevole a questo proposito ci viene offerto dallo studioso Tommaso Greco, professore di Filosofia del diritto e direttore del Centro Interdipartimentale di Bioetica presso l’Università di Pisa, il quale nel libro Curare il mondo con Simone Weil (Laterza, 2023) si cimenta nell’impresa di riesaminare lo spinoso problema del come essere giusti e di ridisegnare l’idea di giustizia.                                                                                                                                            

Convinto assertore della ripercussione positiva sul piano politico che le riflessioni di Simone Weil su diritto, diritti e giustizia potrebbero avere se fossero prese in seria considerazione, l’autore rende esplicita fin dalle prime pagine la questione che lo occupa da più di un decennio: è possibile tenere insieme la cura del mondo e l’essenza della giustizia? La sua risposta è decisamente affermativa, come si evince dal percorso che ci propone e che si staglia nell’immagine «che campeggia nell’aula di giustizia del Tribunale di Milano, raffigurante una madre con in braccio il proprio bambino e uno sventurato che chiede soccorso […] collocata proprio sopra la scritta “La legge è uguale per tutti”» (p. XVI).                                                                                                                                

Nella prima parte di Curare il mondo con Simone Weil si disamina in modo accurato il rapporto tra diritto e giustizia nell’itinerario della pensatrice e se ne individuano i passaggi fondamentali. Secondo l’autore, Weil all’inizio della sua ricerca inclina verso il riconoscimento di una funzione equilibratice del diritto nel porre un limite alla forza che i potenti di turno esercitano sui più deboli, e celebra la forza della legge in contrapposizione alla legge del più forte. In seguito, come si evince dallo studio sulle origini dello hitlerismo rintracciate nello spirito di conquista dei Romani, la filosofa propende per una visione totalmente negativa del diritto in quanto «“maschera” della forza stessa» e ridotto a mera «funzione ideologica»: i governanti investiti di un’autorità che si presenta come legittima esercitano il potere servendosi del diritto al fine di costringere e obbligare i dominati a compiere determinate azioni. 

                                                                                                                                                                          

Dato che per Weil nel mondo la forza è sovrana, la sua logica cattura tutti, sia che la si subisca sia che la si eserciti; ma anche il/la più potente sarà costretto/a prima o poi a esserne piegato/a; si può tuttavia scegliere individualmente di non esercitare la forza spogliandosi di ogni potere, sottraendosi alla legge meccanica e naturale della potenza, non commettendo ingiustizia, rinunciando  a ogni forma di pretesa e di prestigio – per essere giusti, in definitiva, occorre «non fare uso di alcuna specie di costrizione né verso altri né verso sé stessi fuori del campo dell’obbligo rigoroso», scrive Weil (p. 20). C’è dunque uno spazio in questo mondo per la giustizia? Essa può essere cercata soltanto in condizioni di disparità delle forze in campo – allorché ad esempio si fronteggiano un uomo dotato della propria personalità e un uomo ridotto a cosa inerte, a carne invisibile –  e si realizza soltanto se si ristabilisce l’uguaglianza tra i due, creando così un equilibrio che è contrario alla legge di natura.                                                          

Per realizzare un simile atto di giustizia, che è l’esito di un abbassamento da parte di chi occupa nella scala gerarchica un gradino superiore e di un innalzamento dell’inferiore – si pensi al buon Samaritano che vede la sventura dell’altro, ne ascolta il grido muto e lo soccorre –, per rendere efficace questa giustizia, che è tutt’altro dalla rivendicazione di un diritto, è necessario saper prestare attenzione, una nozione chiave del pensiero di Simone Weil: «Essendo legato alla forza, il diritto può trovare un suo spazio quando si tratta di mettere in relazione persone che si equivalgono e che si muovono su un medesimo piano», ovvero in una contesa dettata da Perché lui ha più di me?, ma allorché tra esse vi sia una distanza incolmabile, non ha senso fare appello alle regole giuridiche, perché il solo rimedio che conduce alla giustizia dipende «dalla capacità di attenzione nei confronti di chi è talmente sventurato da non avere nemmeno la voce necessaria per rivendicare i suoi diritti» (p. 34).                                                                                                                                                   

Tommaso Greco legge a questo punto nelle proposte politiche dell’ultima Weil «una celebrazione – non sappiamo quanto voluta e sicuramente sui generis – del diritto costituzionale e della sua capacità di tenere sotto controllo il potere» (p. 44), una sorta di  recupero della funzione del diritto. Egli non manca tuttavia di  avvertire che non si tratta di «un’apologia del potere legittimo di carattere tradizionale», bensì di «un invito a concepire la legittimità come prova ultima dell’assolvimento del difficile compito assegnato al radicamento», ovvero la possibilità di «partecipare realmente, attivamente e naturalmente “all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro”»(p. 46). Amara nondimeno appare la conclusione dello studioso che riconduce la giustizia concepita da Weil a puro gesto individuale, perché essa sarebbe un’illusione e, ciò nonostante, una volta acquisita questa consapevolezza, «siamo chiamati più direttamente a realizzarla» (p. 47). Si veda a questo proposito la parte terza del volume in cui si scandaglia la nozione di legittimità in rapporto sia al radicamento sia alle istituzioni e nella quale sembra aprirsi uno spiraglio là dove se ne coglie lo scaturire dal «libero consenso del popolo all’insieme delle autorità alle quali è sottomesso» (p. 111) e si propugna il riconoscimento pubblico degli obblighi corrispondenti alle aspirazioni essenziali del popolo da parte dei pubblici poteri.

Ha perfettamente ragione Tommaso Greco nel dichiarare che la visione della giustizia da parte di Simone Weil sovverte l’immagine consegnataci dall’iconografia tradizionale: «la sua è una giustizia senza benda e senza spada, e che non usa la bilancia per produrre l’equilibrio nei rapporti sociali» (p. 48). La giustizia senza benda non è infatti il risultato di regole generali e norme astratte da applicare meccanicamente; essa tiene conto di ogni essere umano nella sua singolarità fisica-mentale-sociale, risponde ai suoi bisogni concreti e ne rispetta le esigenze materiali e spirituali. Quanto alla bilancia, Simone Weil propone di «uscire  dalla logica della misurazione e della negoziazione ed entrare in quella della rinuncia» da parte del forte a esercitare sul debole il  potere di cui dispone, una logica della rinuncia, o decreazione, racchiusa nell’immagine della bilancia a bracci disuguali, che permette al grammo di prevalere sul chilo e a chi è schiacciato di innalzarsi su chi schiaccia. La giustizia senza spada equivale al rigetto della forza in ogni ambito della vita individuale e della comunità, con conseguenze in materia di diritto penale che continuano a fare molto discutere. Occorre tuttavia tenere presente, come sottolinea l’autore di Curare il mondo con Simone Weil, che la concezione sostenuta dalla filosofa è del tutto estranea alla giustizia repressiva e che essa coincide per molti versi con la giustizia riparativa o rigenerativa, nella quale l’essere umano non è più visto come mezzo, ma come fine.                                                                                                                             

Certo, è indubbio che ogni essere umano è istintivamente portato a comportarsi in modo violento, anche se «non per cattiveria, ma per effetto del ben noto fenomeno che spinge le galline, quando ne vedono una ferita, a gettarvisi addosso a colpi di becco», si tratta di una necessità meccanica, alla quale è possibile sottrarsi «proporzionalmente al posto che il soprannaturale autentico detiene nella sua anima», scrive Weil (p.127).  Non posso dunque che concludere questa recensione del libro di Tommaso Greco – che invito a leggere per l’intrinseca capacità dell’autore di mostrarci sotto altre angolazioni i dilemmi dell’oggi alla luce del pensiero radicale di una filosofa che ha contribuito a sgretolare la logica della forza e del dominio e nello stesso tempo a dissotterrare tesori, a ridare fiducia nelle relazioni umane, ad avere cura di ogni essere umano e del mondo intero – con il monito racchiuso in un frammento del 1939 e più che valido nella situazione attuale:

«Non dobbiamo credere che, poiché siamo meno brutali, meno violenti, meno disumani di coloro che abbiamo di fronte, vinceremo. La brutalità, la violenza, la disumanità hanno un prestigio immenso, che i libri di scuola nascondono ai bambini, che gli adulti non si confessano, ma che tutti subiscono. Le virtù opposte, per avere un prestigio equivalente, devono essere esercitate in maniera costante ed effettiva…» (p.134). 

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1)  Cfr. a questo proposito il volume a cura della Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti. La generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne (Rosenberg&Sellier, 1987), una pietra miliare nel percorso inventivo delle pratiche politiche del movimento delle donne che si ispirano al pensiero di Simone Weil.
2) Si veda in particolare T. Greco, La bilancia e la croce. Diritto e giustizia in Simone Weil, Giappichelli, 2007  e, riguardo al recupero della dimensione relazionale necessaria alla costruzione di una cultura giuridica responsabile, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Laterza, 2021.
recensione a ‘Curare il mondo con Simone Weil’ (Laterza, 2023) di Tommaso Greco