L’8 settembre di 80 anni fa, alle ore 19 e 42, il maresciallo Pietro Badoglio annunciava alla radio la firma dell’armistizio tra l’Italia e le forze armate anglo-americane. L’annuncio suscita smarrimento ma anche sollievo e speranza in un Paese che ormai è stanco della guerra. I comandi militari italiani vengono lasciati senza direttive, i soldati si sbandano e un milione di essi verranno disarmati dai tedeschi.  C’è chi indosserà la divisa della Repubblica Sociale Italiana e chi invece salirà in montagna per combattere a fianco dei partigiani. Altri, semplicemente, torneranno nelle loro famiglie per riprendere la vita di sempre. Intanto lo Stato non c’è più, dissolto come neve al sole. Il re Vittorio Emanuele III e il Governo si sono messi in salvo lasciando la capitale precipitosamente.

E’ in questo contesto che avviene l’eccidio di Acquappesa, in provincia di Cosenza: cinque soldati italiani, considerati “disertori”, vengono fucilati per ordine del generale Chatrian.

Tutto ha inizio il 5 settembre; gli alleati, sbarcati in Sicilia, stanno risalendo lo stivale e sono arrivati in Calabria, l’esercito tedesco è in ritirata.  Tra i militari italiani le notizie si spargono velocemente, c’è la sensazione che l’incubo della guerra voluta dal regime fascista stia per finire e che finalmente si torna a casa. Diciannove soldati, tutti calabresi, in servizio presso il 76° Battaglione di Fanteria Costiera di stanza ad Acquappesa, abbandonano la caserma e si dirigono verso i loro paesi di origine. Di quattordici si perderanno le tracce, ma cinque rimarranno uniti e proseguiranno il loro cammino insieme.  Sulla strada, però, a causa delle loro divise, verranno riconosciuti, ammanettati e arrestati. I cinque sono: Salvatore De Giorgio di Cittanova, Francesco Rovere di Polistena, Francesco Trimarchi di Cinquefrondi, Saverio Forgione di Sant’Eufemia d’Aspromonte e Michele Bonelli di Sinopoli. Quattro di essi hanno trentacinque anni, il quinto trentuno.

Il generale Luigi Chatrian, comandante della 227° Divisione con sede a Castrovillari, informato del fatto, ordina l’immediata fucilazione dei cinque soldati. Il generale Chatrian, che è stato anche comandante della Scuola militare della Nunziatella di Napoli, è uomo ligio ai codici e ai regolamenti militari. Egli non ha nessuno scrupolo morale, i cinque sono “disertori” e vanno passati per le armi senza processo e senza alcun indugio. Il colonnello Ambrogi viene incaricato di dar luogo alla esecuzione, ma il cappellano militare riesce a prendere tempo. La sera dell’8 settembre c’è il colpo di scena dell’armistizio, l’Italia non è più in guerra e i cinque soldati non sono più disertori. Le loro vite sembrano salve, ma non è così perché l’ordine della fucilazione non viene revocato.  Prima della mezzanotte i cinque giovani calabresi vengono portati al cimitero e poco dopo vengono assassinati dal plotone di esecuzione. Sono le ore 00.05 del 9 settembre 1943: l’esercito italiano ha fatto “giustizia”.

Dopo la guerra i quattordici “disertori” scampati alla morte vennero assolti perché, hanno scritto i giudici, “l’assenza dal servizio alle armi rientra nel quadro disastroso del generale sbandamento che avvenne a seguito degli eventi bellici verificatisi nel settembre 1943. (…) In quei momenti ed in quelle circostanze quel fatto non può costituire reato”.

Solo nel 1968 lo Stato italiano si pronuncerà sull’eccidio, ma non sarà un tribunale bensì la Corte dei Conti a farlo, quando riconoscerà il diritto alla pensione alla moglie di uno dei cinque fucilati. Scriverà la Corte che l’uccisione di De Giorgio e dei suoi quattro commilitoni è stato “un atto illegale grave”. Ma nessuno pagherà per questo atto. Sia la Magistratura militare che quella civile si guarderanno bene dal processare il generale Chatrian, il quale, dopo aver fatto la carriera militare sotto il fascismo, ha fatto anche una “onorevole” carriera politica nella nuova Italia democratica e antifascista. Egli, infatti, è stato deputato all’Assemblea Costituente e deputato alla Camera, nelle file della Democrazia Cristiana nella prima legislatura, ed ha anche ricoperto incarichi di Governo come Sottosegretario di Stato alla Guerra nel III Governo Bonomi, nel Governo Parri e nel I e II Governo De Gasperi, nonché come Sottosegretario di Stato alla Difesa nel III e nel IV Governo De Gasperi. Il pluri assassino di Acquappesa è stato anche indicato come “esempio di carità cristiana e maestro nella pratica al servizio dei bisognosi” da parte dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia.