Anche questa torrida estate 2023 si sta tristemente caratterizzando per atti di violenza e femminicidi. E proprio in questi giorni l’ISTAT ha pubblicato il Report “Il sistema della protezione per le donne vittime di violenza. Anni 2021 e 2022”, dal quale si evince come la rete di protezione sia di fondamentale importanza per le donne vittime di violenza: prima di iniziare il percorso di uscita dalla violenza, il 40% delle donne si è rivolta ai parenti per cercare aiuto, il 30% alle forze dell’ordine, il 19,3% ha fatto ricorso al pronto soccorso e all’ospedale. “Un nodo sentinella– sottolinea l’ISTATè rappresentato dalle Forze dell’Ordine che indirizzano al CAV (Centro Anti Violenza) il 13,6% delle donne. Nel Lazio emerge anche l’apporto della rete dei servizi specializzati nell’intercettare e indirizzare i casi ai CAV. In Campania, Puglia e Umbria arrivano al CAV quasi due donne su 10 attraverso i servizi sociali”.

Secondo i dati Istat, oltre alle forze dell’ordine anche i servizi sociali e sanitari hanno un importante ruolo nell’orientare le donne verso i Centi Anti Violenza: il 26,8% delle donne si reca ai CAV autonomamente e il 17,5% con l’aiuto di parenti e amici, ma il 32,7% è guidato dagli operatori sul territorio (oltre alle forze dell’ordine, servizi sociali e presidi della salute). CAV che non sono ormai soltanto luoghi di protezione per le donne (le cui operatrici che vi lavorano ricevono una formazione annuale, quasi nel 90% dei casi), ma si fanno carico di formare a loro volta anche altre figure professionali all’esterno del CAV (71% dei casi) e si  occupano di prevenzione sul territorio conducendo attività di vario tipo, fra le quali iniziative nelle scuole (nell’85,7% dei CAV).

Il numero 1522 svolge ormai un ruolo fondamentale: spesso le donne sono indirizzate verso i CAV e le Case rifugio proprio dagli operatori del numero 1522: specificatamente, il 73,5% delle donne vittime di violenza è indirizzato ad un servizio territoriale di supporto. Di queste, il 94,4% è stato inviato a un CAV, il 2,4% alle forze dell’ordine e l’1,1% alle Case rifugio. Compito del numero 1522 è, infatti, anche quello di segnalare casi di urgenza. “ Nel 2022 -sottolinea l’ISTAT si registra un calo del 10% delle chiamate valide al 1522 rispetto al 2021 (da 36.036 a 32.430). La diminuzione delle chiamate valide è in parte legata al periodo contingente di analisi: il 2021 aveva infatti risentito dell’effetto della pandemia e dei lockdown. Il numero delle chiamate nel 2022, anche se in calo rispetto all’anno precedente, risulta comunque molto più elevato rispetto ai periodi pre-pandemia (nel 2019: era pari a 21.290, registrando quindi un aumento del 52,3%) e inizio-pandemia (nel 2020 31.688; +2,3%). In diminuzione anche le chiamate da parte delle vittime tra il 2021 e il 2022 (11.909; -26,6%)”.

Nel 2022 le vittime segnalate al 1522 sono donne nel 97,7% dei casi (11.632 sul totale delle 11.909 vittime). Il 38,3% ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e il 15,7% tra i 25 e i 34 anni. Nell’80,9% dei casi sono italiane e nel 53% dei casi hanno figli. La violenza riportata è soprattutto la violenza psicologica (9.048, 77,8%), seguita dalle minacce (6.342, 54,5%) e dalla violenza fisica (6.083, 52,3%). Nel 66,9% dei casi vengono segnalate più tipologie di violenze subite dalle vittime. La violenza riportata alle operatrici del 1522 è soprattutto una violenza nella coppia: il 50% da partner attuali, il 19% da ex partner e lo 0,7% da partner occasionali. Dalle informazioni raccolte dalle operatrici del numero 1522 risulta che la maggior parte delle vittime donne dichiara di non aver denunciato la violenza subita (8.056, 69,3%) per paura della reazione del violento (20% dei casi), o per non compromettere il contesto familiare (18,5% dei casi). Ma persiste una parte consistente (7,1% dei casi) che non procede alla denuncia perché non ha un posto sicuro dove andare.

Ma quanti sono i CAV e le Case rifugio?

I Centri antiviolenza sono 373 e 431 le Case rifugio, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, così come è in aumento la loro utenza: 34.500 donne si rivolgono ai CAV e 21.252 di queste ha figli (61,6% del totale). Figli che quasi sempre sono purtoppo spettatori di violenze, quando non addirittura vittime: su un totale di 15.248 figli minorenni, la percentuale di quelli che hanno assistito alla violenza del padre sulla madre è pari al 72,2% e il 19,7% l’hanno anche subita.

Nei CAV operano 5.416 figure professionali e 3.219 nelle Case rifugio. Si tratta di personale che nella maggior parte dei casi viene regolarmente retribuito. Tante sono le figure professionali che vi operano, dalle operatrici, alle educatrici, alle psicologhe ed avvocate; sono di meno le mediatrici. C’è però spesso un problema di sostenibilità. I finanziamenti con i quali i CAV e le Case rifugio (strutture che comunque in generale sono poche, soprattutto le Case rifugio) vanno avanti sono sostanzialmente pubblici. Alcuni CAV hanno anche altre fonti di finanziamento grazie alle quali riescono a garantire maggiori servizi e numeri superiori di accoglienza. Uscite ed entrate sono simili, ma non sono poche le realtà che faticano a sostenersi, presentando bilanci negativi, soprattutto i CAV e le Case che spesso dispongono di entrate scarse (fino a 10mila euro). Qui il Report ISTAT: https://www.istat.it/it/files//2023/08/2023-03-08-statreportprotezione-Istat-Dpo.pdf.

Nei giorni scorsi anche D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), una delle più importanti realtà associative impegnate contro la violenza sulle donne, ha presentato il proprio report: nel 2022 sono state accolte da D.i.Re complessivamente 20.711 donne, di cui 14.288 sono “donne nuove”, numeri sostanzialmente stabili rispetto all’anno precedente che erano state 14.565 (https://www.direcontrolaviolenza.it/pubblicazioni/). E nel presentare questi dati la presidente di D.i.Re, Antonella Veltri, ha efficacemente sintetizzato “lo stato delle cose”, dichiarando: “I Centri antiviolenza continuano a essere punto di riferimento fondamentale per migliaia di donne che decidono di intraprendere il loro percorso di uscita dalla violenza, in Italia. Il lavoro è continuo, anche se l’attenzione delle istituzioni preposte si concentra su azioni securitarie pressoché inutili e sull’incremento dei fondi ai Centri per uomini maltrattanti. Questa scelta ci lascia ancora più perplesse, soprattutto dopo gli ultimi, tragici, fatti di cronaca, mentre i fondi per i Centri antiviolenza continuano ad essere scarsi e irregolari. Abbiamo bisogno del sostegno di tutte e tutti per continuare a lavorare per la libertà delle donne e per una società più equa”.