Per il terzo anno consecutivo, dal 1° al 6 agosto, si è svolto a Cala dei Ginepri, Costa Merlata (Brindisi), l’Ostuni Climate Camp: una iniziativa promossa dalla Campagna nazionale Per il Clima Fuori dal Fossile, una rete che comprende associazioni e comitati che da anni si battono per la salvaguardia dell’ambiente e contro i cambiamenti climatici. Al Camp hanno preso parte, in presenza o in collegamento video, e con la partecipazione di esperti, molte realtà italiane e straniere. Ogni sera, inoltre, hanno avuto luogo spettacoli ed eventi culturali a cura dei Teatri Urbani Organizzati e Lavoratori Autorganizzati dello Spettacolo Cobas Puglia. Tante le  tematiche affrontate: dalle nuove opere fossili alle trivellazioni in mare e sulla terraferma, dalle comunità energetiche alle connessioni tra acqua, deforestazione e riscaldamento globale, dal nuovo Piano italiano per l’energia e il clima (PNIEC) al rapporto con l’Europa.

Un filo rosso lega i tre temi che, in particolare quest’anno, sono stati al centro dei dibattiti: le fonti fossili, la guerra e le grandi opere inutili. La guerra in Ucraina ha fornito alle grandi compagnie del settore fossile l’occasione per rilanciare a tutti i livelli gli investimenti in infrastrutture gasifere destinate a gravare sui bilanci pubblici e sulle bollette dei cittadini per i prossimi 40/50 anni. E questo in una fase in cui la crisi climatica, prodotta soprattutto dall’uso dei combustibili fossili, ha assunto proporzioni mai registrate prima. Ciò che sta accadendo in Italia avviene in tutta Europa, come hanno spiegato in video conferenza Frida Kieninger di Food and Water Action Europe,  Diego Pedraza Lahoz, Marina Gros Breto e Joao Camargo dei movimenti ecologisti e per la difesa del clima di Germania, Spagna e Portogallo. Si sta assistendo ad una sconsiderata corsa al gas per cui è quasi certo che tra pochi anni la gran parte di tali nuovi impianti si riveleranno stranded assets, ovvero investimenti a perdere. Questo, però, significa che enormi quantità di risorse economiche saranno state sottratte agli investimenti nelle fonti pulite e rinnovabili, rendendo molto difficile, se non impossibile, raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

In Italia, dietro l’accorta regia di ENI e Snam, il governo Meloni ha varato l’anacronistico “Piano Mattei” tutto incentrato sull’incremento delle fonti fossili con lo scopo di trasformare la nostra penisola in un fantasioso hub del gas: nuovi gasdotti di importazione e di trasporto interno, nuovi rigassificatori, nuovi depositi di GNL in ogni autorità portuale e progetto CCS (cattura e stoccaggio della CO2) nel mare di Ravenna. Si tratta di impianti che non hanno alla base nessuna logica se non quella di rimpinguare le casse delle multinazionali del settore, dal momento che continua il crollo dei consumi di metano e tutto lascia prevedere che al 2030 essi faranno registrare una diminuzione di circa il 40 per cento non solo nel nostro Paese ma nell’intero continente europeo.

“La rimodulazione del Pnrr da parte del governo ha portato a cambiare 144 obiettivi su 349 per un totale di 16 miliardi di euro – dice Angelo Gagliano del movimento No Tap-No Snam di Brindisi – ; è un’ Italia che va all’incontrario: escono i progetti di resilienza ai cambiamenti climatici, quelli per la riduzione del rischio idrogeologico, per la valorizzazione del territorio,  per l’efficienza energetica e per la decarbonizzazione dell’ex Ilva ed entrano quelli per inutili e dannose opere fossili come il gasdotto Linea Adriatica della Snam, mentre restano i vecchi grandi progetti indebitati e mai finiti come la TAV Torino-Lione e il Ponte sullo Stretto”.

Il nesso strettissimo tra guerra e fonti fossili viene messo in evidenza da Antonio Mazzeo: “Se proviamo a mettere delle bandierine nei luoghi in cui sono scoppiate o sono in corso delle guerre e poi nelle aree ricche di combustibili fossili, o in cui vi sono le rotte di trasporto degli stessi, notiamo che le bandierine si sovrappongono, cioè in grandissima parte le aree coincidono. Le fonti fossili non sono soltanto fonti di guerra, ma le stesse infrastrutture fossili, come grandi metanodotti e centrali energetiche sono obiettivi strategici di primaria importanza in caso di guerra o di attentati terroristici, come dimostra la distruzione del gasdotto Nord Stream nel mar Baltico. Ciò porta ad una crescente militarizzazione dei territori e delle aree marine, come è evidente dalla operazione Mediterraneo sicuro a protezione dei gasdotti sottomarini provenienti dall’Africa e dall’Azerbaigian”.

“Gli sconvolgimenti climatici – aggiunge Renato Di Nicola della Campagna Per il Clima Fuori dal Fossile – produrranno effetti talmente drammatici, come innalzamento dei mari e desertificazione di intere aree del mondo, da provocare grandi migrazioni di massa, assolutamente non paragonabili a quelle odierne. Tali migrazioni daranno origine a conflitti che sarà estremamente difficile poter governare. Perciò il tempo di agire è ora, se vogliamo preservare un pianeta vivibile, non solo per noi ma soprattutto per le future generazioni. La battaglia per il clima e quella per la pace sono due aspetti della stessa lotta”.

Ma la necessità di aumentare la consapevolezza dei cittadini su questi temi si scontra con la disinformazione sistematica  e il negazionismo, neanche troppo velato, di ampi settori che sostengono l’attuale governo. “Dopo la grande manifestazione di Roma del marzo 2019 – dice Vincenzo Miliucci, ambientalista e attivista  antinucleare storico – il movimento ha perso la sua capacità di aggregazione e non è stato più in grado di esprimere un livello di dissenso che sia all’altezza della gravità della situazione. Dobbiamo lavorare ad un percorso che porti a saldare le lotte contro il cambiamento climatico e le grandi opere inutili con quelle contro la guerra e per il disarmo.  Sappiamo che la maggioranza dell’opinione pubblica è contro tutto quello che sta succedendo. E’ perciò necessario fare rete per ricostruire un vimento oggi disperso in tanti rivoli, un movimento che sia espressione di quella sovranità popolare sancita dalla nostra Costituzione e che abbia la capacità di contrastare ad ogni livello le potenti lobby che impongono le loro sciagurate scelte ai decisori politici”.

Uno dei primi banchi di prova di questo percorso unitario sarà la manifestazione nazionale che si terrà a Pisa il 21 ottobre contro il riarmo e l’escalation bellica.