Non capita spesso d’imbattersi in un libro che, pur presentandosi con le caratteristiche di un romanzo, riesca non solo a farci rivivere le travagliate vicende d’un periodo di grandi cambiamenti, ma anche a presentarci una sottile analisi psicologica e sociologica dei personaggi che ne incarnano vividamente dilemmi contraddizioni e conflitti.  “Come la luce dell’alba è la prima opera narrativa di Pio Russo Krauss, medico specializzato in medicina preventiva, con lunga esperienza professionale di educazione sanitaria, ma anche animatore di varie iniziative educative e socioculturali ed attivo in ambito ecopacifista. Potremmo definirlo un ‘romanzo storico’ dal momento che le storie che nei primi anni ‘70 s’intrecciano nel piccolo convento situato in un periferico quartiere napoletano s’inseriscono in una cornice più ampia di eventi cittadini e nazionali. Avendo vissuto anch’io quei difficili anni d’impegno socio-educativo, orientato in una prospettiva alternativa in ambito politico e religioso, leggendo il libro dell’amico Pio mi sono sentito coinvolto dalle storie narrate e dall’analisi della fase storica in cui sono immerse.

In ogni caso, il romanzo di Russo Krauss presenta vari piani di lettura, a partire da quello delle battaglie ambientaliste contro speculazione edilizia ed abusivismo imperanti di quel periodo, ma senza trascurare l’humus politico e culturale che aveva consentito alla classe politica di tollerare, se non assecondare, fenomeni di reale violenza contro persone e comunità più deboli e di scellerata devastazione ambientale.

Un’altra chiave di lettura è il conflitto generazionale, acuito in quella fase di transizione particolarmente aspra, in cui i giovani avevano preso coscienza dell’insostenibilità dell’assetto economico e sociopolitico, dando vita ad una stagione d’intransigente contestazione giovanile verso ogni forma di ipocrisia, formalismo, compromesso e opportunismo.

Ma il nervo scoperto in tutta la storia mi sembra il doloroso e lacerante conflitto tra fede e religiosità, la prima intesa in maniera aperta, comunitaria, impegnata ed eticamente radicale, e perciò antitetica alla seconda, intrappolata in una struttura istituzionale, ritualistica, verticistica, un po’ farisaica e di fatto funzionale alla conservazione del sistema di potere dominante. Padre Sergio lo vive sulla sua pelle, simbolo e incarnazione del travaglio spirituale ed umano che attraversa tutto il romanzo, echeggiando quello vissuto dall’autore in una difficile stagione per la Chiesa, a Napoli e non solo. Una fase divisiva, in cui tanti giovani credenti scelsero l’impegno per la giustizia sociale, mettendo in crisi anche la loro appartenenza alla struttura clericale, percepita come gabbia gerarchica ed ipocritamente estranea a contraddizioni e novità sociali degli anni ’70.

Da ambientalista, ho apprezzato la puntuale ricostruzione di quel periodo nero per la città di Napoli, in cui la pianificazione urbanistica ha ceduto più del solito al ricatto della criminalità organizzata, spesso fiancheggiata da una classe politica corrotta, pressata da ‘emergenze’ che offrivano occasioni di deroga ad ogni norma e programmazione urbanistica, agevolando di fatto l’abusivismo.

Da pacifista di matrice cattolica e nonviolenta, inoltre, ho apprezzato la profonda analisi del travagliato percorso pastorale di padre Sergio, sospeso tra la spiritualità contemplativa cui aveva aderito e l’impegno educativo e sociale ispirato alla ruvida ed impegnativa lezione di don Milani. La sua è la scoperta dello sconvolgente universo dei ‘vinti’ (miseri coloni, zingari emarginati, famiglie povere ma dignitose) e degli oppressori (camorristi, speculatori edilizi, intrallazzatori…). Ma tra oppressi ed oppressori egli verifica un vuoto preoccupante, in cui la ‘sua’ chiesa si guarda bene dall’intromettersi. Ma la questione che voleva racchiudere tali conflittualità – finendo invece col mistificarle – fu l’aspro dibattito per il referendum abrogativo della legge sul divorzio. Uno scontro che lacerò gli italiani, distogliendo l’attenzione da problemi più gravi e costringendoli a schierarsi, come se non ci fossero ben altre contraddizioni.  È così che il giovane prete si trova schiacciato nella morsa tra rispetto del voto di obbedienza e rifiuto schierarsi con i crociati della battaglia antidivorzista.  A ciò si aggiunge la sua presa di coscienza che il voto di castità non gli consente di vivere un cristianesimo integrale, altro dolente tema del ‘dissenso’ cattolico.

A Napoli Pio Russo Krauss ha vissuto intensamente la ‘nuova stagione’, delle comunità cristiane di base, cui si affiancarono altre innovative esperienze nel campo della salute, dei servizi socio-educativi ed educativi di base, ma anche dell’aggregazione giovanile e delle battaglie antimilitariste e pacifiste.  Una stagione ‘alternativa’ nei principi e nei metodi d’intervento, in cui fede e lotte proletarie spesso s’intrecciavano, seminando scompiglio nelle gerarchie ecclesiastiche e in una classe politica spaventata dal radicalismo di quel ‘dissenso’. Pio è riuscito però ad evitare la netta contrapposizione tipica di tutti i conflitti radicali, cogliendo piuttosto il conflitto interiore che agita l’animo dei personaggi. E, in effetti, il superamento nonviolento dei conflitti consiste proprio nella rottura della contrapposizione sterile, esaltando l’approccio empatico per ricercare soluzioni creative e costruttive.

Cone lo stesso autore ha giustamente affermato, il libro è sostanzialmente una storia d’amore, ma con la maiuscola, non trattandosi di molto più del romanzetto che d’un religioso che scopre la dimensione affettiva e fisica di questo sentimento. È l’Amore del precetto agostiniano “Ama e fa’ ciò che vuoi”, l’agàpe evangelica. È l’apertura incondizionata all’altro, scoperta del dolore e della lacerazione che c’è in ogni essere umano, non per soffrire insieme ma per provare ad essere, insieme, più felici. “Dio ci lascia liberi, non vuole niente da noi se non che ci amiamo come lui ci ha amati” – è la conclusione cui giunge padre Sergio, sconvolto dalla dirompente scoperta di come sia facile e lineare il messaggio di Cristo, troppo spesso travisato ed appesantito dal moralismo farisaico di chi giudica invece di amare. Risuona qui lo spiazzante monito di Gesù: “«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.” (Mt 11:25). La soluzione ai turbamenti ed alle crisi di coscienza di padre Sergio, insomma, non richiede un profondo sapere teologico, ma l’apertura mentale verso i ‘piccoli’: non solo i bambini in senso stretto ma i semplici, come quei contadini ignoranti da cui egli si sente attratto più che da una spiritualità quasi professionale. A quel punto non può non andargli stretta una chiesa che si limiti a proclamare ‘beati’ gli afflitti, gli affamati e i perseguitati, ma dimentichi di schierarsi dalla loro parte, con mitezza e spirito di misericordia. La seconda scoperta di padre Sergio è che cercare una mediazione tra esigenze apparentemente antitetiche, non significa cedere al compromesso, ma trovare la chiave per ‘trascendere’ nonviolentemente i conflitti personali e sociali, per non farli deflagrare.

L’ultimo aspetto è il piano propriamente letterario. Il libro di Pio Russo Krauss, oltre a farci riflettere su quel difficile periodo della nostra storia recente, è anche un bel romanzo, appassionato e appassionante. L’intreccio della vicenda col suo sfondo storico-sociale è equilibrato, e finemente delineati psicologicamente ne sono i personaggi, col loro linguaggio e la loro espressività. Il flusso del racconto è scorrevole, alternando dialoghi, parti narrative e descrittive. Tutta la vicenda narrata ci mette di fronte al fatto che ogni persona è sola coi suoi dubbi, i suoi fantasmi e le sue ferite. L’aspra contrapposizione tra soggetti provoca dolorose chiusure e risentimenti, mentre l’apertura dialogica ed empatica è medicina per tutti. Questo romanzo, infine, offre un po’ di sollievo alle delusioni di chi per decenni si è impegnato per un mondo nuovo, senza scorgere un autentico cambiamento. Il libro di Pio, come suggerisce il titolo, è quindi un invito alla speranza poiché: “la strada dei giusti è come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio” (Prov. 4:18). E però tocca a noi, col nostro fattivo impegno, evitare che quella luce si spenga in un inesorabile tramonto…