La “resa dei conti” con il clima è ormai in pieno corso su tutto il pianeta. La documentano dati incontestabili, la lettura che da anni ne fanno gli scienziati dell’IPCC e soprattutto l’accelerazione dei fenomeni connessi: scioglimento di ghiacciai, permafrost e calotte polari, frequenza di eventi estremi – uragani, grandinate, alluvioni, siccità, ondate di calore, incendi indomabili, turisti e residenti in fuga come quelle colonne di profughi che non vogliamo vedere. Tutti fenomeni che in Italia – “nell’occhio del ciclone” – si presentano più accentuati, come hanno dovuto sperimentare milioni di abitanti delle zone colpite. Molti ormai hanno tra i propri parenti, amici o conoscenti – donne, bambini, anziani compresi – persone finite sotto grandinate di palle di ghiaccio grosse come arance, o sommerse dal fango, o minacciate dal fuoco, o rimaste senza casa. In attesa che succeda anche a noi, perché nessuno sarà risparmiato…

Ma il negazionismo climatico continuerà a imperversare nonostante queste evidenze. Insieme alla persecuzione dei migranti – due modi di pensare e di agire connessi – è diventato uno dei cavalli vincenti delle destre in tutto il mondo e in Italia più sfrontatamente che altrove. Basta una scorsa alle prime pagine dei giornali di destra, tutti filogovernativi, dove gli allarmi per il clima vengono trattati come stupidaggini dei “gretini”, o fake news, o complotti della sinistra (“i comunisti”?) per aprire le porte all’invasione delle merci cinesi, o alle trame di Soros. Mentre, dopo anni di inutili denunce, sui “giornaloni” mainstream il nesso tra disastri locali e crisi climatica del pianeta fa solo ora una timida comparsa, ma senza mai trarne le conseguenze. Non bisogna disturbare il manovratore (the show must go on), oggi impersonato dalla fantomatica “agenda Draghi” fatta propria dal governo Meloni, che della crisi climatica non reca tracce. Come non se ne trovano nel PNRR (versione italiana del NextGeneratioEU, piano varato per “mettere in sicurezza” le prossime generazioni), che si è tradotto in niente altro che un gigantesco spreco di risorse (a debito) per finanziare un coacervo sconclusionato di obiettivi, nessuno dei quali ha la minima connessione con il clima.

Ma che cosa dà alle destre di tutto il mondo la possibilità di cavalcare il negazionismo climatico, anche in presenza di tanti disastri? E’ la difesa e l’adesione, più che agli interessi, alla cecità di singole categorie che in gran parte si sovrappongono: agricoltori e allevatori industriali che non vogliono ridurre la produzione, per poi vedersela distrutta in pochi attimi da grandinate sempre più frequenti, o dalle siccità; automobilisti che non concepiscono strade e città liberate dal traffico; vacanzieri soffocati dal caldo o costretti a fuggire dagli incendi;  consumatori compulsivi che comprano per buttare e buttano per comprare; operai e impiegati di imprese inquinanti o nocive, a partire dalla produzione di armi, che temono di perdere il lavoro; petrolieri, con tutte le relative appendici nel tessuto di un’economia fossile, ecc.

Sono tutte persone che si sentono minacciate dalle tante piccole e per di più inutili misure messe a punto – e sistematicamente derogate – da un establishment che non sa e non vuole affrontare di petto la crisi climatica e che elude sia l’obiettivo della mitigazione (ridurre la CO2) sia quello dell’adattamento: nessuno di loro osa veramente fare i conti con il contesto in cui ci si troverà comunque a vivere di qui a qualche decennio anche se improvvisamente si cessasse di fare uso e abuso dei fossili, il che comunque non è. Basta moltiplicare per cento quello che già adesso è sotto i nostri occhi. Chi sta veramente pensando non alle evanescenti “future generazioni”, ma anche solo ai nostri figli e nipoti, a partire da ora? Bisogna cominciare a gridare forte e chiaro che sia i negazionisti conclamati che i “negazionisti di fatto” (quelli che riconoscono la crisi climatica, ma non fanno niente per sventarla) sono responsabili di un crimine contro l’umanità: non un reato di opinione (proporlo è stata una sciocchezza), ma un genocidio da denunciare, perché stanno condannando la gente a una vita di inferno senza fine, sapendo che a ogni nuovo bambino che nasce, da ora in poi le cose andranno sempre peggio.

Le misure prospettate per la cosiddetta “transizione ecologica” sono concepite per non incidere sul nostro stile di vita e sul sistema di potere vigente, come se per evitare la catastrofe imminente bastasse sostituire – poco per volta, beninteso… – petrolio e carbone (ma non il metano) con fonti rinnovabili – e magari con un fantomatico nucleare di nuova (?) generazione. Pensiamo alle automobili. Sono già quasi un miliardo e mezzo: troppe. Nessuno pensa a ridurne il numero, ma nessuno pensa che possa toccare un’auto elettrica a ogni abitante della Terra. Si pensa solo a sostituire quelle che già ci sono o poche più. Un ambientalismo “de noantri”. Ma se tra gli abitanti del pianeta senza auto ci finissimo anche noi, avremo a disposizione sistemi di mobilità alternativi per tutti? O eviteremo con l’auto elettrica la congestione di strade e città? E non sottrarremo forse risorse scarse e indispensabili (le fatidiche terre rare) a usi più urgenti e importanti nella generazione elettrica da fonti rinnovabili?

Questa miopia nell’affrontare un problema planetario riguarda un po’ tutti gli ambiti: agricoltura, allevamento, turismo, produzioni che fanno danno ma “creano lavoro” e tante altre cose. Nessuno pensa veramente a fermare il consumo di suolo e a ridurre le produzioni per lasciar respirare la natura, i campi, le città, le spiagge, per avere cibo, acque e aria migliori per tutti. Ma se tutti perseguono le stesse cose, continueranno a prevalere le destre e la loro difesa di ciò che c’è già. Né c’è da sperare che con l’aggravarsi della situazione i negazionisti climatici si ricredano o perdano il loro seguito. E’ più probabile che si instauri una “eco-dittatura” che di ecologico avrà ben poco e di dittatura tutto: fino a che la residua umanità sarà tornata all’età della pietra, proprio ciò di cui hanno sempre accusato gli ecologisti.

La transizione – o, meglio, conversione – ecologica deve essere una rivoluzione culturale che non può essere intrapresa senza coinvolgere fin dall’inizio i destinatari rendendoli protagonisti. Con poche regole, enunciate con chiarezza da Extinction Rebellion:

  1. Dire la verità: chi lo ha mai fatto veramente? Non i governi e meno che mai i media. Addirittura, nel Paese con uno dei consumi di suolo più alti del mondo si sono accusati “gli ecologisti” di essere la causa dell’allagamento della Romagna! Ma anche il mondo accademico e della cultura è assente o reticente in tutto il mondo, come denunciato da Amitav Ghosh nel suo libro La Grande Cecità, persino ora che la verità della catastrofe viene portata a galla dai fatti.
  2. Agire subito: nessuno potrà mai operare in modo efficace se non riconosce in un cambiamento radicale la possibilità di migliorare la propria condizione: non nel mondo della competizione, dei consumi, delle merci, della carriera, dell’affermazione a spese di altri, dello sfruttamento della Terra fino al suo esaurimento, bensì in quello di una riconquistata amicizia con il proprio territorio, la propria comunità, il resto del vivente, e in quello della solidarietà, della condivisione, di una sobrietà resa desiderabile dalla ricchezza delle relazioni personali. Ma per far questo occorre che tutti abbiano la possibilità di confrontarsi, di discutere, e di conoscere i pochi ma importanti esperimenti di successo e i molti tentativi già in atto di vivere in modo diverso.
  3. Convocare le assemblee: cioè rivalutare gli incontri faccia a faccia e l’incrocio degli sguardi dai quali soltanto possono nascere vere amicizie e impegni comuni, quelli che le solitudini imposte dal nostro sistema di vita stanno cancellando dalla faccia della Terra, condannando tutti a un senso di impotenza. Il PNRR avrebbe potuto e dovuto finanziare innanzitutto questo: una grande campagna di discussioni pubbliche sulle alternative che abbiamo di fronte: per smascherare le posizioni negazioniste e, soprattutto, per pronunciarsi sull’uso delle risorse che ogni comunità potrebbe avere a disposizione se non venissero sperperate nelle tante iniziative uscite dalla mente malata di Draghi, che mai prima di essere nominato capo di un governo aveva speso una sola parola sulla crisi climatica…

La conversione ecologica – lo aveva già detto Alex Langer – potrà realizzarsi solo ricostituendo desiderio e piacere di vivere in comunità legate – ma non vincolate – al proprio territorio e in grado di affrontare in relativa autonomia la riorganizzazione su nuove basi della vita associata. Sempre però restando aperte a ogni possibile apporto esterno, a partire da quello dei milioni di migranti che la crisi climatica sta scagliando lungo le rotte della sopravvivenza. O si pensa che ci si possa riconciliare con la Terra facendo annegare o abbandonando nel deserto quel popolo di diseredati che il sistema considera superflui?

Certamente un cambiamento del genere non può avvenire di colpo e meno che mai essere realizzato nella stessa misura o nelle stesse modalità ovunque e da tutti; la crisi ambientale, di cui quella climatica è solo un aspetto, sta marciando a velocità maggiore di quanto si prevedeva anni fa e anche di quanto è necessario per invertire veramente la rotta prima di doverne risentire tutti in modo irreversibile Anche se venissero rispettati gli accordi di Parigi del 2015, di per sé già insufficienti, ma continuamente violati e ora sottoposti a deroghe per dare la priorità alla guerra, alle sue devastazioni, alle sue ripercussioni in tutto il mondo: riarmo, bellicosità, rivincita dei fossili e ancora più fame. Ma è solo da comunità, o gruppi, o contropoteri locali impegnati in scelte che prefigurino l’adattamento alle condizioni di un futuro molto più ostico, ma ormai prossimo, che può venire l’esempio che dimostri o faccia intravvedere a chi è fermo o in ritardo che un altro mondo, molto migliore, è non solo necessario, ma anche possibile.