Alessandra Lavagnino studiava gli insetti – era entomologa e insegnante di parassitologia presso l’università di Palermo – e sapeva restituire la vita dei minuscoli fastidiosi esserini in affascinanti storie (Zanzare). Le piaceva anche ascoltare i ricordi soprattutto delle donne di famiglia, magari nei ritagli di tempo quando ciascuna, tra le mani un lavoro ad ago, confidava all’altra pensieri e ricordi che Alessandra appuntava nella mente per poi tessere saghe (I Daneu) e comporre racconti. 

L’intitolazione della Sala di lettura della Biblioteca centrale della Regione siciliana ad Angela Daneu Lattanzi, celebrata il 22 giugno scorso, trae origine proprio dalla salda memoria della Lavagnino e dalla capacità di restituire in romanzo la storia della madre ne Le bibliotecarie di Alessandria. Una storia che ha acceso l’attenzione sulla Lattanzi delle donne dell’Udipalermo, le quali nel 2019 hanno avviato una campagna affinché l’Amministrazione dei beni culturali della Sicilia le tributasse il dovuto riconoscimento pubblico per il valore della sua attività di bibliotecaria e funzionaria dello Stato.

Protagonista assoluta de Le bibliotecarie di Alessandria,  Angela (“Marta” nel romanzo) – bella, risoluta e sicura di quel che vuole, a costo di destabilizzare l’ordine attorno a lei – è  algida, riservata e riluttante a rivelare se stessa; la sorella Luigia Augusta (bibliotecaria anche lei, nel romanzo “Margherita”), piccola, debole e insicura, ama raccontare e infatti è lei che consegna alla nipote i ricordi suoi e le riporta confidenze avute da altre donne della famiglia. Brandelli di storie che la scrittrice ricuce insieme per ricomporre circa un secolo di vicende familiari, dall’Italia preunitaria alla fine della seconda guerra mondiale, e che si sviluppano in una ampia aria geografica: dal Lazio a Alessandria d’Egitto, da Ascoli a Roma, dalla capitale del Regno sino a Palermo dove, in ultimo, la giovane Lattanzi diventa la signora Daneu nel 1937 e prende servizio nella Biblioteca Nazionale della città:

“Un palazzo di tre piani e un cortile rettangolare, porticato su due piani. Di questi, il lato lungo sul corso è il Salone di Lettura” che oggi porta il suo nome. Nella penombra della Sala di Consultazione dove “i libri preziosi erano affidati in lettura (…) solo a studiosi noti alla direzione”, Angela godeva dello stesso silenzio della Biblioteca Casanatense di Roma, dove aveva iniziato la carriera di bibliotecaria. “Ma il silenzio della biblioteca palermitana era anche più prezioso perché isolato dalla luce troppo calda, salvato dall’aria polverosa, dalle sonorità eccessive di un’aria cittadina confusa e turbolenta (…). Somigliava quest’aria palermitana chiusa in un piccolo spazio salvato dalla luminosità dorata di fuori, a quella respirata” nella casa natale a Alessandria d’Egitto, invasa dalla selva dei “libri scritti in tutte le lingue del mondo” accumulati dal padre che aveva chiesto e ottenuto di insegnare italiano e latino presso il liceo classico per italiani di quella città, perché poteva imparare le parlate di genti diverse essendo Alessandria una città multietnica. E anche per questo aveva deciso di abitare nel quartiere arabo –  anziché in quello riservato ai facoltosi emigrati italiani che lui e la moglie sentivano estraneo e ostile  – dove le donne della famiglia Lattanzi si erano perfettamente integrate e parlavano l’arabo e il greco delle vicine di casa che, peraltro, avevano eletto la madre di Angela (nel romanzo “Antonia”) taumaturga della comunità  perché impartiva consigli e cure sulla base delle conoscenze di medicina popolare apprese nel suo paese in Ciociaria. E dire che quando aveva lasciato la cittadina di Alatri per l’Egitto si era detta “che tutto su quella nuova terra le sarebbe stato straniero, salvo i figli. Tutto privo di giustificazione oltre il proprio dovere di obbedienza al marito”, il quale, anche in quella circostanza, le era apparso straniero: sapeva, infatti, “troppe lingue per parlare”. 

Giunta a Palermo, dunque, Angela ritrovava sentori che le ricordavano l’infanzia magica e felice – quando aveva iniziato a studiare l’ordine alfabetico sul vocabolario di latino che le aveva regalato il padre e intrapreso gli studi musicali di pianoforte coronata dal canto degli uccelli colorati – e nella Biblioteca Nazionale della città iniziava a concentrarsi nello studio dei libri miniati lì custoditi, osservando le migrazioni degli elementi decorativi da un codice all’altro, da una scuola all’altra, dovute ai trasferimenti da un luogo all’altro di oggetti, di donne e uomini, di amanuensi e decoratori. Nella bella Sala della biblioteca di Palermo che le aveva assegnato il direttore a volte si imbatteva in sorprese che la commuovevano, come quando aveva ritrovato Due preghiere in volgare siciliano in un codice franco-fiammingo “scritte per essere dette da una donna! Scritte per una monaca o, più probabilmente, per una dama di condizione tanto alta da permetterle il possesso di un libro miniato, ma che non era in grado di leggere il latino?” Si trattava di due preci per la Comunione scritte “per una peccatrichi: una peccatrice”, così era scritto, mentre lei  era scomunicata e “non era degna neppure di leggerla e dirla, quella preghiera”. Infatti, per sposare Antonio Daneu aveva ottenuto l’annullamento civile del primo matrimonio con Emilio Lavagnino ma non quello religioso. Nonostante il dolore di essere colpita dalla scomunica, il lavoro in biblioteca le consentiva di tenere tra le mani, leggere e studiare “gli Uffizi della Beata Vergine, le Bibbie, gli Evangeliari manoscritti e miniati”  e anzi, con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre del 1939 e il conseguente richiamo alle armi del direttore della Biblioteca, si era ritrovata, “lei proprio lei la scomunicata”, a mettere in salvo i preziosi codici della Nazionale, provenienti da monasteri e conventi soppressi con le leggi eversive del Regno d’Italia del 1866. E così durante un primo sopralluogo a Polizzi Generosa, il luogo scelto per ricoverare il patrimonio raro e di pregio, lo spettacolo unico che le si era presentato dinanzi di “due città”, di cui una reale “alta nel sole” e l’altra riflessa “nella coltre di nebbia sotto quella”, le era parso un segno della benevolenza di Dio che l’aveva scelta “per poter salvare i suoi preziosi libri, in un luogo tanto bello”. E li salvò veramente quei volumi unici e pregiati, veri e propri gioielli d’arte, perché i bombardamenti anglo-americani del 1943 su Palermo arrecarono ingenti danni alla Biblioteca Nazionale e distrussero irrimediabilmente parte dei libri ivi conservati. 

Angela Daneu Lattanzi fu, dunque, tra le donne e gli uomini che ebbero l’opportunità di salvare il patrimonio artistico e culturale dell’Italia e scelsero di farlo. Tra questi anche il padre della scrittrice, Emilio Lavagnino, storico dell’arte e alto funzionario dell’Amministrazione delle Antichità e Belle Arti, che durante l’occupazione tedesca della Penisola contribuì a salvare dipinti, sculture e quanto di più prezioso vi fosse in musei, palazzi e chiese dell’Italia centro-settentrionale, trasportandoli sino in Vaticano – Stato non interessato direttamente dal conflitto – come racconta Alessandra nel romanzo Un inverno 1943-44. E per comprendere il valore delle funzionarie e dei funzionari che intrepidi svolsero il compito della tutela e della salvaguardia dei beni culturali nei tempi bui della guerra, sono illuminanti alcune pagine contenute ne Le bibliotecarie di Alessandria, in cui la scrittrice racconta del padre. Quando quest’ultimo, giunto a Perugia,  si vide negare dal soprintendente la consegna delle opere poste sotto la  tutela della Soprintendenza dell’Umbria, perché il Ministro aveva dato l’ordine che “le opere ricoverate nei depositi” non fossero “rimosse”. E dire che lo stesso soprintendente ammetteva che quadri e sculture sarebbero state più al sicuro in Santa Sede che a “Todi, Foligno e Spello”. Tuttavia, sprezzante aveva ribadito: “Queste (…) sono le disposizioni e io le osservo”.

Per fortuna ci furono soprintendenti pronti a obbedire alla propria coscienza, come Pasquale Rotondi a Urbino che “sorridente d’un gran sorriso”, alla richiesta del collega e amico Emilio aveva esclamato: «Finalmente! Sì: ti do tutto quello che vuoi».

All’indomani della guerra fu necessario ricostruire – materialmente e moralmente – l’Italia devastata dai bombardamenti e piegata dal ventennio della dittatura fascista. E Angela Daneu Lattanzi anche stavolta non si tirò indietro anzi, nella qualità di soprintendente bibliografica, costituì il sistema delle biblioteche della Sicilia occidentale e con il Bibliobus fece arrivare i libri anche nelle più sperdute contrade dell’Isola.