pubblichiamo la recensione del libro “Sfruttamento e dominio nel capitalismo del XXI secolo” (Multimage, 2023), curato da Toni Casano e Antonio Minaldi. Il volume è stato recentemente presentato dallo stesso  Giovanni Di Benedetto, assieme a Pietro Maltese,  a “Una marina di libri –  Palermo, Giugno 2023”, sotto la regia organizzativa della Biblioteca Centrale della Regione Sicilia

 

C’è l’immagine di un evento della contemporaneità che può sintetizzare al meglio la cifra del bel volume curato da Toni Casano e Antonio Minaldi, intitolato Sfruttamento e dominio nel capitalismo del XXI Secolo (Multimage Firenze 2023). È l’evocazione del tragico disastro della diga di Nova Kakhovka in Ucraina, con il suo portato di distruzione di massa nei confronti dell’umanità e della natura. La responsabilità della tragedia di Nova Kakhovka va attribuita interamente alla guerra in corso e al suo carattere imperialista che chiama in causa gli effetti devastanti del modo di produzione capitalistico. Solo una lettura complessa e sistemica dell’accaduto permette di oltrepassare l’angusta visuale di chi si ostina a crogiolarsi sul ributtante balletto delle responsabilità.

Ebbene, la raccolta di saggi elaborata da studiosi e attivisti politici, confluita poi nel volume sul capitalismo del XXI secolo, offre la possibilità di affinare, per l’appunto, lo sguardo teorico e inquadrare in una prospettiva ampia e complessa le cause della catastrofe della congiuntura attuale, conseguenza della crisi in cui versa il sistema del capitale. A fronte di una narrazione dominante che si ostina, nonostante tutto, a esaltare le magnifiche sorti e progressive del capitalismo, la ricerca in oggetto si propone di indagare l’inaccettabile presente, fornendoci una fenomenologia del dominio del modo di produzione articolata in grandi sezioni che spaziano dall’indagine sul capitalocene alle ricerche sulle grandi piattaforme del digitale, dalle nuove forme di soggettivazione al rischio concreto di sorveglianza insito nell’uso dei mezzi informatici, dalle forme del lavoro e della finanziarizzazione dell’economia alla transizione in atto da un mondo unipolare a egemonia statunitense a uno multipolare che viene fuori gradualmente, e non senza traumi, dal tramonto del dollaro quale valuta internazionale di riserva. Alcuni degli interessanti saggi, addirittura, potrebbero fornire, e penso ai lavori degni di nota di Marco Pirrone su Antropocene o Capitalocene, di Maria Concetta Sala su Autodifesa e resistenza nell’epoca del digitale e di Domenico Moro sulla stagnazione secolare, il declino del dollaro e la guerra, utili riferimenti per lo studio della storia contemporanea a uso degli studenti dei licei e, più in generale, delle ragazze e dei ragazzi della scuola secondaria superiore.  

Il primo pregio del volume collettaneo risiede dunque nella capacità, pur partendo da punti di vista differenti, di offrire una lettura sistemica della congiuntura presente, tenendo insieme e mettendo in connessione aspetti della crisi che, solitamente, vengono indagati in modo unilaterale, secondo una prospettiva riduzionistica. Da qui l’interconnessione dell’indagine della sfera relativa alle problematiche ecologiche con quella relativa alle dinamiche economiche, di quella relativa allo studio delle cause pandemiche con l’ambito di studio relativo alle guerre e alle dinamiche imperialistiche. Va da sé che insieme a questo c’è il riconoscimento del fatto che solo un’intelligenza collettiva può oggi impegnarsi nell’arduo compito di cartografare, nel modo più esaustivo possibile, le differenti caratteristiche delle dinamiche di sfruttamento e dei dispositivi di dominio dell’attuale capitalismo. Collegialità, approccio transdisciplinare, messa in relazione: sono questi dunque gli ingredienti di una metodologia autenticamente sovversiva in atto nel lavoro di Casano e Minaldi. 

Ma non è tutto. Il proposito di chi ha elaborato una strategia di tal natura non si ferma al mero lavoro di erudizione teorica. Al contrario, il libro vuole essere un esempio di ricerca militante, si intesta consapevolmente l’obiettivo di coniugare teoria e pratica, ricerca e azione. Da questo punto di vista risulta condivisibile l’impegno di attiva partecipazione che anima lo spirito di tanti interventi. All’ipocrita neutralità e indifferenza tecnocratica, tanto di moda tra i papers di provenienza accademica, si preferisce, in alternativa, il reticolo di posizionamenti che rivendicano la propria partigianeria, in favore della ricchezza del conflitto e dei movimenti collettivi che lo incarnano. In questa scelta risiede anche l’assunzione di un principio di responsabilità che, contro le ingiustizie, le vessazioni e le prevaricazioni, si fa carico di difendere le ragioni degli sfruttati, degli ultimi e degli oppressi.

Lo sfondo teorico di questa importante impresa collettiva è dato dal riferimento, a volte implicito ma molto più spesso esplicitamente dichiarato, al magistero della critica dell’economia politica di Marx. La scelta di assumere una prospettiva di questa natura non va sottovalutata. Si tratta infatti di un riferimento che il pensiero dominante, soprattutto quello viziato dal senso comune più superficiale, continua a trattare come un cane morto. Il mainstream, incatenato agli interessi delle classi dominanti e delle grandi corporation, continua a negare legittimità e, addirittura, diritto di cittadinanza, al pensiero del grande teorico di Treviri. Eppure, la cassetta degli attrezzi, messa generosamente a disposizione da Marx, seguita ad essere di grande utilità se si vogliono decifrare le grandi tendenze di trasformazione, ma anche le grandi direttrici di continuità, del modo di produzione attuale. A patto che si sappiano cogliere adeguatamente i complessi problemi interpretativi che i testi marxiani pongono allo studioso, e anche al semplice lettore. Lo studio delle leggi di movimento del capitale si colloca ad un livello di estrema astrazione e molto spesso viene confuso con l’osservazione storiografica o sociologica delle trasformazioni delle differenti formazioni economico-sociali. È questo il caso, purtroppo, di alcuni, per altri aspetti pregevoli, contributi, che appiattiscono Marx su Ricardo, ancorandolo alla teoria del valore-lavoro, teoria di cui nei testi marxiani non sembra esservi univoca interpretazione. O di quei contributi che, troppo disinvoltamente, usano indifferentemente le categorie marxiane di concentrazione e centralizzazione. Si tratta, tutto sommato, di dettagli significativi ma secondari, a fronte della ricchezza di materiali, contenuti e spunti di indagine presenti nel testo. 

Se proprio si dovesse individuare un tema trasversale e presente in tutto il volume chi scrive opterebbe per quello, drammatico, della debolezza e della frammentazione del mondo del lavoro. La classe dei produttori sconta una condizione di sfinimento e demoralizzazione, soprattutto in Italia, frutto di errori storici della sinistra di classe e di una più generale sconfitta subita a partire dall’offensiva del liberismo capitalista che si è dispiegata negli ultimi trent’anni e che affonda le proprie radici già nella crisi degli anni ‘70. Occorre ripartire da questa condizione per cercare, con umiltà, caparbietà e ostinazione, momenti di unificazione e di rilancio del conflitto. Da questo punto di vista se è vero che le categorie del postfordismo e della finanziarizzazione dell’economia sembrano descrivere adeguatamente la fenomenologia dei cambiamenti intervenuti nella congiuntura presente, cogliendo il fatto che il dominio sembra essersi impadronito di ogni ambito e ogni aspetto della vita, non bisogna dimenticare che molto spesso l’infatuazione per le novità rischia di fare dimenticare quanto del patrimonio di esperienze e di lotte si sia radicato nella storia del movimento dei lavoratori. Casi economici come quelli della tendenziale crescita della finanza non sono del tutto nuovi, compaiono già nell’Ottocento se è vero che lo stesso Marx dedica una significativa parte del terzo volume de Il Capitale alla concorrenza, al credito e al capitale azionario. La memoria, che lega e sedimenta il tempo trascorso congiungendolo alla proiezione verso un futuro alternativo, richiede un lavoro di tessitura consapevole e accurato. Elaborare un immaginario antagonista a quello del dominio capitalistico è qualcosa di complicato e richiede il compito di interrogare, senza infingimenti, ciò che è stato, per evitare di correre il rischio di dovere ricominciare sempre da capo. C’è un campo di esperienze storiche e di riferimenti teorici non ortodossi ricchissimo e sterminato, che occorre esplorare e da cui è possibile trarre un fecondo insegnamento per il futuro.

È tempo di concludere. La polivocità del libro, i suoi preziosi contenuti e il successo dell’intrapresa impongono ai curatori di continuare lo sforzo teorico di ricerca e d’inchiesta. Il redattore di queste poche pagine può soltanto limitarsi a suggerire, umilmente, un paio di piste di indagine. La prima, che si configura quasi come un appello, riguarda la necessità di adoperarsi per individuare in forma stilizzata, ma al contempo nel fuoco del conflitto, esperimenti organizzativi che sappiano mettere a valore la, talvolta, vulcanica, inesauribile ed esplosiva potenzialità di conflitto dei movimenti e di tutte le soggettività collettive che, dal basso, lottano per un altro mondo possibile. Senza che questo protagonismo si esaurisca dentro forme di sclerotizzata burocratizzazione, ma tenendo ferma l’esigenza di darsi un’organizzazione all’altezza delle sfide imposte dall’avversario di classe. Provando a lavorare nel segno dell’unità ed evitando forme degeneri di settarismo e di autoreferenzialità. La seconda, anche questa nella forma della suggestione da approfondire necessariamente, riguarda un possibile orizzonte verso cui tendere e, al contempo, una possibile proposta da rappresentare. Ragion per cui, dopo trent’anni nei quali la parola d’ordine delle classi dominanti si è data nella formula del meno Stato e più mercato, forse è giunto il momento di capovolgere l’assioma per rivendicare la priorità inderogabile di ciò che è comune e la precedenza assoluta di ciò che rappresenta un bene pubblico. Magari facendo proprio l’imperativo spinoziano che, in forma lapidaria, recita l’assunto seguente: Omnia sunt communia.