Si stima che 325 milioni di cristiani siano nel mondo discriminati. Forme di persecuzione o discriminazione su base religiosa  che avvengono in oltre 60 Paesi nel mondo e nella maggior parte di questi Stati la situazione nel 2022 è peggiorata rispetto all’anno precedente.  È quanto emerge dal  XVI rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, presentato di recente a Roma. Uno studio  che viene pubblicato ogni 2 anni,  che copre il periodo compreso tra gennaio 2021 e dicembre 2022 e rappresenta l’unico Rapporto non governativo che analizza il rispetto e le violazioni del diritto alla libertà religiosa sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Il Rapporto certifica che sono 61 i Paesi su 196  nel mondo ove il diritto umano fondamentale alla libertà di religione è violato. Si tratta di un Paese su tre (31%), di quasi 4,9 miliardi di persone, pari al 62% della popolazione mondiale, che vivono in nazioni in cui la libertà religiosa è fortemente limitata. Una situazione complessivamente peggiorata e  che fa registrare una diffusa impunità dei persecutori. Inoltre, in 49 Paesi dove si registrano violazioni, a perseguitare i propri cittadini per motivi religiosi sono addirittura i governi. E ciò avviene senza la dovuta reazione da parte della comunità internazionale. <<La risposta estremamente silenziosa –si legge nel rapporto– della comunità internazionale alle atrocità commesse da regimi autocratici “strategicamente importanti” (Cina, India) ha dimostrato una crescente cultura dell’impunità. Paesi chiave (Nigeria, Pakistan) sono sfuggiti a sanzioni internazionali e ad altre condanne in seguito a segnalazioni di violazioni della libertà religiosa ai danni dei loro stessi cittadini>>. Aggiungendo che: <<Nessun Paese occidentale può affermare con onestà di non essere a conoscenza degli abusi che si verificano nella Penisola Arabica, in Cina, in Pakistan e in Nigeria. Con l’Occidente che guarda dall’altra parte, spesso motivato dalla necessità di garantire la fornitura di risorse naturali ed energetiche, i responsabili diventano più assertivi e rendono la legislazione locale più restrittiva. In questo modo, l’impunità dei colpevoli viene tacitamente garantita dalla “comunità internazionale”>>.

E’ l’Africa il continente più violento, con un aumento degli attacchi jihadisti che rende ancora più allarmante la situazione della libertà religiosa. Quasi la metà dei “Paesi caldi” presenti nel planisfero del Rapporto, cioè 13 su 28, sono africani. La concentrazione dell’attività jihadista è particolarmente evidente nella regione del Sahel, intorno al lago Ciad, in Mozambico e in Somalia e si va estendendo ai Paesi vicini. Cina e Corea del Nord rimangono invece i due Paesi asiatici ove si registrano le peggiori violazioni dei diritti umani, inclusa la libertà religiosa. Lo Stato vi esercita un controllo totalitario attraverso la sorveglianza e misure estreme di repressione contro la popolazione. Anche in India i livelli di persecuzione sono in aumento, attraverso l’imposizione di un pericoloso nazionalismo etnico-religioso, particolarmente dannoso per le minoranze religiose. Leggi anti-conversione che sono state approvate o sono allo studio in 12 dei 28 Stati dell’India prevedono pene fino a dieci anni di reclusione e includono vantaggi finanziari per coloro che si convertono o ritornano alla religione maggioritaria. Gli episodi di conversioni religiose forzate, rapimenti e violenze sessuali (inclusa la schiavitù sessuale) non sono diminuiti nel biennio in esame, anzi rimangono largamente ignorati dalle forze dell’ordine e dalle autorità giudiziarie locali, come accade in Pakistan, dove giovani cristiane e indù vengono spesso rapite e sottoposte a matrimoni forzati.

Un’altra forma di violenza religiosa si sta verificando in America Latina e in altre regioni in via di sviluppo: l’identificazione delle religioni tradizionali come nemiche delle politiche pro-aborto e di altre norme che riguardano le donne. In Messico, Cile, Colombia, Argentina, così come in diversi Paesi occidentali, si verificano manifestazioni sempre più violente, come ad esempio quelle organizzate in occasione della “Giornata internazionale della donna” dell’ONU (8 marzo), che hanno registrato aggressioni ai danni di fedeli e danneggiamenti degli edifici religiosi. Le persone non hanno ricevuto alcun aiuto dalla polizia e da altri servizi di emergenza, mentre cercavano di difendere le loro chiese, i loro templi e altri edifici religiosi, mettendo a rischio la propria incolumità. Inoltre, in seguito alle violenze, le sanzioni penali per i responsabili sono state scarse o inesistenti, il che ha dato loro un certo senso di impunità.

Nel planisfero del Rapporto, 28 Stati sono contrassegnati in rosso come “Paesi caldi”, indicanti persecuzione. Essi denotano i luoghi più pericolosi al mondo per praticare liberamente la religione. Altri 33 Stati sono in arancione, e indicano alti livelli di discriminazione. In 47 di questi Paesi la situazione è peggiorata da quando è stata pubblicata la precedente edizione del Rapporto, mentre le cose sono migliorate solo in nove di essi.

Una delle principali conclusioni del Rapporto di ACS è che le comunità religiose minoritarie si trovano in una situazione sempre più drammatica e in alcuni casi sono addirittura  a rischio estinzione a causa di una combinazione di azioni terroristiche, di attacchi al patrimonio culturale e di misure più subdole come la proliferazione delle leggi anti-conversione, la manipolazione delle regole elettorali e le restrizioni finanziarie.

Qui la sintesi del Rapporto: https://acs-italia.org/sites/default/files/2023-06/sintesi%20rapporto%20liberta%20religiosa%202023.pdf.