Dal Trentino dell’inizio millennio, l’impegno per la pace in Medio Oriente.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con il suo spaventoso carico di morte e distruzioni, la politica rassicurante attualmente sostiene che non ci possiamo lamentare in quanto il mondo ha vissuto oltre settant’anni di pace, proprio grazie al cosiddetto ‘equilibrio nucleare’.

La deterrenza nucleare è sempre usata dalle superpotenze in termini ricattatori e assurdi per tutta l’umanità soprattutto nell’attuale guerra in Ucraina. Ma si dimentica di dire che dal 1945 ai giorni attuali, i conflitti armati veri e propri sono stati più di ottocento e che nel mondo permangono numerosi, endemici focolai di guerra che hanno fatto decine di milioni di morti e fanno tuttora la fortuna dei produttori di armi e del complesso militare e industriale e fossile ed energetico.

Uno dei punti più caldi è rappresentato dal Medio Oriente, una regione per molti aspetti strategica, in primis per il fattore energetico, nella quale negli ultimi decenni la crisi si è ancora più aggravata con le due guerre contro l’Iraq e quella in Afghanistan, la mina dell’Iran e l’irrisolto problema israelo-palestinese e la attuale e gravissima guerra in Ucraina.

L’irrisolto problema tra Israele e Palestina rappresenta senza dubbio l’elemento più emblematico e drammatico di questa situazione geopolitica dai connotati tragici.

Lo stesso dramma della Siria va inserito in questo contesto con il rischio già attuale di un’estensione della guerra civile nell’intera regione. Pare che il nodo vero, il terreno sul quale misurare la possibilità reale di una prospettiva di pace, convivenza e cooperazione in quella terra di conflitto, resti senza dubbio alcuno quello dei rapporti tra Israele e Palestina. E non è certo a caso che sin dall’ultimo decennio del secolo scorso e anche nei primi anni del nuovo millennio, proprio in quell’area mediorientale si è manifestato un forte e prioritario impegno della Regione Trentino, nelle sue componenti istituzionali e nella complessa articolazione delle associazioni e della società civile.

Ecco la ragione per la quale sembra opportuno, e forse necessario, ricostruire, sia pure sommariamente, il senso e la portata di un impegno che ha visto esprimersi la generosità e la disponibilità di centinaia di donne e di uomini, di decine di istituzioni locali, di numerose associazioni che, generazione dopo generazione, hanno seminato nella terra culla delle religioni monoteiste la cultura della pace e della convivenza. Sarebbe troppo lungo ricordare le innumerevoli iniziative lungo le quali si è dispiegato questo impegno, dal “Times for Peace” che nel Natale e Capodanno del 1990 ha circondato con una catena umana di italiani, europei, israeliani e palestinesi le mura di Gerusalemme, fino ai progetti di concreta solidarietà con la comunità della cittadina di Rafha nel sud della striscia di Gaza e con la cittadina di Beit Yala alle porte di Betlemme, solo per ricordare i più significativi, oltre all’impegno di più di cinquanta Comuni del Trentino sul terreno della cooperazione, nel tentativo di mettere assieme, far parlare, far interagire, far cooperare i rappresentanti di questi due popoli: Israele e Palestina.

La Provincia autonoma Trentino fa parte degli Enti locali per la pace e i diritti umani.  Infatti domenica 21 maggio alla Perugia Assisi straordinaria hanno partecipato molti enti locali per la pace che dal 1986 hanno dato vita a un coordinamento nazionale.

Un’esperienza unica in Europa e nel mondo. Dal 1986 il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani promuove l’impegno dei Comuni, Province e Regioni italiane per la pace, i diritti umani, la solidarietà e la cooperazione internazionale. Tra le sue principali attività ci sono: la promozione dell’educazione permanente alla pace e ai diritti umani nella scuola, l’organizzazione della Marcia per la pace Perugia-Assisi e delle Assemblee dell’Onu dei Popoli, la promozione della diplomazia delle città per la pace, il dialogo e la fratellanza tra i popoli, lo sviluppo della solidarietà internazionale e della cooperazione decentrata contro la miseria e la guerra, la promozione di un’informazione e comunicazione di pace, la campagna per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, l’impegno per la pace in Medio Oriente e nel Mediterraneo, la costruzione di un’Europa delle città e dei cittadini, strumento di pace e di giustizia nel mondo.

Ma nello stesso tempo sarebbe sbagliato anche non cogliere oggi i segni di una sorta di arretramento di queste tematiche nella coscienza diffusa che pure, sul piano della concreta solidarietà, scrive giorno dopo giorno pagine mirabili di tante parti del mondo, a tutela dei più poveri e dei diseredati, attraverso ad esempio la rete dei missionari che dall’Africa all’America Latina riscattano con il loro esempio di vita i ritardi e le contraddizioni di una chiesa sin troppo ingessata nella sua dimensione gerarchica. Certo, sarebbe del tutto illusorio ritenere che le dinamiche di una società orientata fondamentalmente sul feticcio del consumismo ad ogni costo possano essere invertite solo attraverso i pur necessari richiami di ordine etico, ma il perdurare dell’economia che tende, alla lunga, a mettere inesorabilmente in discussione certezze e abitudini consolidate può paradossalmente rappresentare un’occasione per stabilire, nella coscienza di ciascuno di noi e nelle politiche concrete delle istituzioni, la consapevolezza del rapporto inscindibile che esiste tra quello che sino ad alcuni anni orsono veniva definito come il nostro modello di sviluppo e le condizioni di disagio, povertà, miseria che pesano quotidianamente sull’esistenza di centinaia di milioni di essere umani e che, assieme all’egoismo di un ceto finanziario del tutto insensibile ai richiami etici e morali, sono alla base, la causa primaria delle stesse situazioni di crisi in varie regioni del mondo, del nostro pianeta.

Non appaia quella che segue una disinvolta provocazione, ma sono profondamente convinta che l’avvio del superamento, certo su un periodo non breve, delle ingiustificate e ingiustificabili ingiustizie non passi tanto attraverso una drastica riduzione, per intenderci, del nostro e dell’altrui spread, ma su un reale orientamento degli obiettivi e delle finalità di una politica che torni, o decida di farlo per la prima volta, a rappresentare per davvero gli interessi dei nostri cittadini e con quelli connessi di tutti i cittadini del mondo.

Anche l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, con i suoi 17 obiettivi globali, in questo quadro umanitario e planetario e geopolitico internazionale, sembra oramai del tutto disattesa. Ancora una volta un’emanazione dell’Onu come Agenda 2030 che doveva essere un grande punto di riferimento umanistico e umanitario per il pianeta sembra aver perso di validità. Comunque Agenda Onu 2030 in molti istituti scolastici italiani è stata individuata come unità didattica e soprattutto come tema di riferimento per i docenti che all’interno dei 17 Obiettivi dell’Agenda hanno sviluppato il loro programma di educazione civica.

Bibliografia di approfondimento:

Bobbio Norberto, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 2009

Mastrolilli Paolo, Lo specchio del mondo. Le ragioni della crisi dell’ONU, Laterza, Roma 2005

Mini Fabio, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Un generale della Nato racconta, Chiarelettere, Milano 2012

Pugliese Francesco, Abbasso la guerra. Persone e movimenti per la pace dall’800 a oggi, Grafiche futura, Mattarello – Trento

Pugliese Francesco, In cammino per la pace. Persone e movimenti contro la guerra. Assessorato Istruzione Provincia autonoma di Trento, 2013

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