Link alla prima parte del rapporto.

Rimpatrio delle salme

Come già riportato i primi giorni 5, anche per quanto riguarda le procedure di rimpatrio delle salme, le autorità attive sul territorio hanno dimostrato di essere impreparate a gestire simili procedure. Le bare delle vittime – identificate e non identificate – sono state disposte nel Palamilone che ha funzionato e funziona tutt’ora da camera mortuaria.

Le famiglie delle persone scomparse hanno dovuto attendere settimane per poter conoscere l’effettivo luogo di destinazione e sepoltura dei loro cari, sottoposte all’incompetenza della Prefettura di Crotone che – quasi del tutto assente, soprattutto nella prima fase dell’emergenza – non ha saputo dare risposte certe, confondendo i familiari con illusioni e promesse che tardavano a realizzarsi.

Mem.Med e Sabir, le uniche realtà volontarie attive all’interno del Palamilone, hanno supportato in questa fase gli interessati nel riempimento dei moduli e nella compilazione delle documentazioni utili al rilascio dei certificati di morte, all’ottenimento dei nulla osta da parte delle Ambasciate e alla predisposizione dell’invio delle salme nei Paesi di origine.

La maggioranza delle famiglie ha scelto il rimpatrio in Afghanistan e in Pakistan, nelle città di origine e di vita delle persone defunte. Tra l’arrivo di nuove salme e le fotografie dei morti, le famiglie e i superstiti racchiusi in quel palazzetto – senza alcuna assistenza psicologica – hanno resistito all’ennesima inadeguatezza nella gestione delle vite e delle morti. Gli slittamenti per le partenze delle bare sono andati avanti per giorni, nella rabbia e nello sconforto delle famiglie provate da tanta confusione. Finché l’8 marzo, il giorno precedente al Consiglio dei Ministri (CDM) e all’arrivo a Cutro del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la Prefettura ha predisposto con urgenza il trasferimento dei corpi verso Bologna, per la sepoltura presso il cimitero musulmano locale. Un ulteriore atto di violenza e sopraffazione da parte del governo che ha scavalcato la decisione dei familiari di rimpatriare le salme nei luoghi di origine. Uno Stato che ha tentato di agire come fosse proprietario di quei corpi, ma pretendendo che fossero le famiglie a pagarne il trasporto, verso destinazioni non desiderate.

Crotone, protesta dei familiari per il rimpatrio delle salme. Foto di Silvia di Meo

E’ stata la protesta dei familiari fuori dal Palamilone, con il blocco della strada e del cancello, che ha permesso di evitare il trasporto dei feretri verso una meta non riconosciuta e accettata dai diretti interessati. La Prefettura, autorizzata dal governo allertato dalla rivolta in corso a Crotone, ha dovuto pertanto accogliere la richiesta delle famiglie di trasportare i propri cari nei luoghi natii.

Il Palamilone fatto di salme e di fiori, ha visto quel giorno uscire e rientrare decine di corpi, caricati e scaricati come pacchi, da istituzioni che hanno preteso di governarne gli spostamenti anche nella morte, così come le politiche di gestione dei confini avevano fatto quando erano ancora in vita, obbligandole a rischiare la vita in mare.

Crotone, le salme delle vittime al Palamilone. Foto di Silvia Di Meo

A un mese dal naufragio, 76 sono le salme rimpatriate, ancora circa 11 le salme abbandonate all’interno della palestra del palazzetto di Crotone.

Ciò nonostante, finita l’emergenza e spenti i riflettori, la Prefettura non ritiene urgente predisporre il trasferimento immediato delle salme, al fine di fornire loro degna e tempestiva sepoltura. Viceversa ha ritenuto opportuno indire una gara d’appalto volta a individuare l’ente che si occuperà del trasporto, comportando de facto lo stallo delle procedure di rimpatrio. In questa situazione, contraddistinta da gravi criticità di natura etica, oltre che evidentemente, di natura igienico-sanitaria, si consuma l’ennesimo oltraggio nei confronti le vittime di questa strage, dei loro familiari, e delle loro comunità di appartenenza.

La ricerca insieme ai familiari

Il primo caso comunicato a Mem.Med relativo a una donna tunisina 23enne, Siwar, e tutte le successive segnalazioni rivolte al nostro progetto, sono state seguite e trattate nella totale delicatezza, riservatezza ed attenzione nei confronti delle vittime e dei familiari. Ciascuna segnalazione è stata tempestivamente condivisa con la Polizia di Stato, secondo i canali da quest’ultima predisposti e diffusi.

Relativamente alla questione del soccorso e della ricerca dei naufraghi e alla luce dei fatti appurati e delle eventuali responsabilità penali venute meno, un esposto è stato raccolto e presentato da 43 organizzazioni italiane ed europee impegnate nella difesa dei diritti delle persone migranti, per la richiesta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone di rispondere del naufragio di Steccato di Cutro, costato la vita ad almeno 90 persone, l’ultima accertata in queste ultime ore di redazione.

Mentre si tenta ancora di appurare e contenere le informazioni frammentarie, le fake news e la speculazione attorno alla vicenda, il numero delle vittime e dei dispersi è ancora da definire con esattezza.

2. Frammenti di storie e promesse di memoria: Siwar, Zaman, Azan, Jawid, Sajad, Mina, Fereshthe, Atiqullah, Golsum, Ramih…

Nei primi giorni dall’emergenza sono state attivate a Crotone distinte figure professionali a carico del sostegno psicologico dei familiari e dei sopravvissuti, mediatori e mediatrici etnolinguistiche, insufficienti oltremodo, a colmare le richieste e le necessità di chi tra le famiglie è accorso in loco anche nei giorni e settimane successive per la ricerca dei propri cari, quando i suddetti professionisti avevano già terminato la missione di supporto.

Il promesso sposo di Siwar, la giovane 23enne tunisina, è accorso a Crotone non appena perduta la comunicazione con la donna, da solo e ignaro delle notizie che avrebbe appreso solo nei giorni successivi. Abbiamo accompagnato l’uomo, Shamo, nella complicatissima fase per il riconoscimento dei primi corpi recuperati dai pescatori e dai vigili del fuoco sin dalle prime ore.

Sollecitando il supporto psicologico per Shamo e un’adeguata attenzione per ogni familiare e persona coinvolta nella tragedia, non abbiamo mai perso di vista l’obiettivo e la missione che l’equipe di Mem.Med si prefigge in queste circostanze.

In una prima fase di ricerca della donna, Shamo non ha riconosciuto Siwar tra le persone sopravvissute ricoverate in ospedale né tra le vittime, ma i giorni a seguire l’aggiornamento che giungeva dal mare circa il recupero di altri corpi ha portato l’uomo a reiterare il crudele processo di identificazione; nonostante la donna fosse stata individuata dalla scientifica attraverso dettagli fisici da lui forniti, non l’ha sottoscritto. E’ stata la sua famiglia, dalla Tunisia, attraverso una video chiamata proprio con noi, a riconoscere il corpo della donna e ad attestare l’identità.

La medesima circostanza è accaduta per i familiari di Zaman, per cui la sorella arrivata anch’essa dalla Germania non ha concluso le procedure di identificazione, rientrando presso la residenza, provata dal trauma subìto e dal precario supporto in tal senso.

Tanti i familiari, che in questa immane strage, sul posto o addirittura distanti, dai loro Paesi di residenza, hanno sperimentato la rivittimizzazione del trauma tra disinformazione, confusione amministrativa e dolore.

E’ da questi esempi, delineati non solo dal trauma subìto, ma soprattutto dall’elevato grado di incertezza che comporta il processo di identificazione delle vittime esclusivamente attuato attraverso pochi e dubbi dettagli circa l’aspetto fisico, che Mem.Med, nel raccoglierli e condividerli con le autorità competenti, ha comunque insistito sin da subito sull’urgenza tempestiva di autorizzare da parte della Procura di Crotone il prelievo del DNA non solo dalle salme, come si è fatto fin da subito, ma anche dai familiari diretti delle persone disperse che si trovassero in loco. E’ questo l’unico elemento indispensabile a fornire certezza e dignità alle famiglie delle persone disperse, anche posteriormente al loro rientro, nell’eventuale possibilità di compararlo con i corpi che il mare anche in queste ultime ore continua a restituire in uno stato di decomposizione avanzata.

Sajjad, atteso dalla sorella in Finlandia, Azan dal fratello in Svezia, Siwar partita per raggiungere l’amato in Germania. Si sarebbero sposati di lì a breve una volta ricongiunti, con il sogno di una vita serena altrove, come per tutte le altre, che si è infranto quella notte, sulla spiaggia di Steccato di Cutro. E poi Amarkhail muto e solitario nel suo giubbotto verde, teso tra le porte dove si tenevano gli incontri con i parenti finalizzati al riconoscimento, continuamente in cerca di un pezzo di verità, giunta poi con un sussurro gelido. Safi appoggiato al suo amico, che lo ha accompagnato in un viaggio interminabile per riconoscere moglie e figli, che avrebbe sperato di abbracciare in una casa calda, con il regalo della libertà e di un futuro e non con l’urlo di Habe che inghiottì l’intero Palamilone in una mattinata senz’aria.

5. Cutro: 150 metri ed una strage di Stato.Un rapporto del progetto Mem.Med che sta operando in supporto dei familiari delle vittime e ai superstiti

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