“Un uomo ha bussato alla finestra, vorrebbe entrare!”, ci dicono mentre eravamo alle prese con le varie peripezie del Centro Studi Sereno Regis. Lucrezia apre la porta, lui ci saluta e raggiunge Enzo al piano di sopra. Dopo pochi minuti, compare Ilaria e ci dice che quell’uomo con la barba bianca, i sandali, la camicia blu a quadri e una sciarpa rossa con le tartarughe marine, è Turi Vaccaro. Specialista della nonviolenza e pacifista radicale, arrestato per le sue azioni contro gli aerei da guerra e la parabola del MUOS, si è seduto al tavolone bianco con noi, per mangiare un piatto salatissimo di farro e zucchine e bere un bicchiere di vino rosso.

Domenica scorsa ha ritirato il premio “Torinese dell’anno” ricevuto dagli amici del Concerto del balconcino. È di passaggio a Torino per pochi giorni, giusto il tempo di partecipare al solstizio in Val di Susa. Poi, per le feste, raggiunge la figlia e la nipote a Rotterdam. “Mia figlia mi ha appoggiato in ogni azione, ma non quando volevo andare in Afghanistan a piedi, c’era anche la guerra”. Dopo pranzo, ci ha raccontato come ha conosciuto la madre di sua figlia, “un’attivista femminista, ma non molto nonviolenta… anche come carattere”. Sono ancora in buoni rapporti, si sostengono quando hanno bisogno l’uno dell’altra. E l’unica condizione che lei ha posto al loro rapporto è che lui non entri in casa sua dopo aver girato scalzo per strada. “Quando eravamo ancora innamorati, camminavamo scalzi insieme!”.

Prima di andar via, mi lascia il numero di telefono di una persona che custodisce le sue ultime strofe scritte in carcere, “una specie di autobiografia poetica”. Tazza di orzo caldo tra le mani, borsa di tela arancione in spalla, Turi ci saluta e va alla ricerca di un paio di scarponi da neve con cui sostituire i sandali marroni.

L’articolo originale può essere letto qui