L’umanità è sull’orlo di un baratro: sarebbe la prima specie vivente a preparare la propria autodistruzione, che fra l’altro sta comportando anche l’estinzione di altre innumerevoli specie viventi. Sono due le minacce epocali, entrambe opera della società umana.

La minaccia di annientamento nucleare grava sull’umanità dal 1945: se Prometeo ruba il fuoco degli Dei per darlo agli uomini per il loro progresso, invece l’utilizzazione dell’energia nucleare fu realizzata durante la II guerra mondiale per sviluppare l’arma “fine di mondo” (per usare un termine del capolavoro di Stanley Kubrik, Il Dottor Stranamore). La demenza di questa scelta risulta evidente dal momento che essa ha realizzato la possibilità dell’annientamento della civiltà umana!

La crisi climatica si aggrava in modo sempre più allarmante, ma 27 vertici internazionali, detti COP (acronimo di “Conferenza delle Parti”, cioè dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) non hanno trovato un accordo per affrontare in modo radicale ed efficace la crisi climatica: troppi e troppo forti gli interessi in gioco, che vedono contrapposti, grosso modo, i paesi ricchi più inquinatori, e i paesi poveri. Da molti anni sono personalmente convinto che il Vertice della Terra di Rio del 1992 poteva essere il momento per affrontare seriamente la crisi climatica (nella sostanza tutto era praticamente previsto dal rapporto del Club di Roma del 1972, I Limiti dello Sviluppo1, se non si vuole risalire a 10 anni prima con Primavera silenziosa di Rachel Carson), oggi il rischio di perdere il treno aumenta esponenzialmente col tempo: la prima COP (COP1) si è tenuta a Berlino nel 1995, come risultato dei negoziati di Rio del 1992. Ai tempi del protocollo di Kyoto (COP3, 1997) i paesi firmatari erano 84, oggi sono 197, in pratica quasi tutto il mondo.

Passo a trattare separatamente lo stato delle due minacce.

1. A volte ritornano: la minaccia nucleare

A me appare singolare che lo spettro di una guerra nucleare si sia ripresentato nella pubblica opinione in occasione della guerra in Ucraina. Personalmente non credo che Putin userà armi nucleari tattiche: ma ovviamente non ho ho prove certe, e l’evoluzione del conflitto è imprevedibile!

In ogni caso, questa minaccia di Putin può essere fermata da un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati. Assai più difficile invece fermare minacce nucleari che gravano sull’umanità da molti anni, ma sembrano allarmare molto meno l’opinione pubblica. Ecco un sintetico elenco, soprattutto degli eventi più recenti:

Gli allarmi annuali sempre più gravi del Doomsday Clock (v. per il 2022: https://www.pressenza.com/it/2022/01/doomsday-clock-2022-a-che-punto-e-la-notte-lalba-sembra-ancora-lontana/): il rischio di una guerra nucleare è il più alto in tutta la storia dell’era nucleare, dal 1945.

Il 27 ottobre è stata finalmente resa pubblica la Nuclear Posture Review di Biden, la quale tradisce tutti gli impegni che egli aveva dichiarato in campagna elettorale: evidentemente le pressioni dell’establishment militare hanno avuto il loro effetto. La Postura conferma tutti i programmi nucleari degli Stati Uniti: per dirla con un commento lapidario pubblicato dal Bulletin «traccia la rotta per un lungo futuro dell’arsenale nucleare statunitense». Fra l’altro, conferma l’allerta dei missili intercontinentali, lo stato di Launch on Warning, residuato della Guerra Fredda: permane così il rischio gravissimo di una guerra per errore. Una ricetta per il disastro!

Tanto più che l’ossessione di evitare l’«errore umano» porta ad affidare il controllo e comando degli armamenti nucleari ad automatismi: in realtà un’ossessione per l’automatizzazione di tutti i sistemi d’arma, dietro la quale ci sono anche i colossali interessi dell’industria militare, ed è questa che in definitiva predispone gli armamenti più sofisticati con i quali i militari programmano le strategie per le nuove guerre. Ma mentre l’uomo ha la facoltà di riconoscere e rettificare gli errori, un automatismo agisce confrontando la situazione reale con una serie enorme, ma finita, di immagini modello, può essere ingannata o confusa da malfunzionamenti o variazioni dell’ambiente esterno: la macchina agisce in maniera automatica. Come recita appunto l’articolo del Bulletin del gennaio 2022 “Se l’Intelligenza Artificiale controllasse le armi nucleari potremmo essere tutti morti”.

La sostituzione (“modernizzazione”) delle testate nucleari B61 schierate in Europa con le più efficienti B61-12 era prevista nel corso del 2023, ma è stata anticipata a fine 2022.

Il 29 ottobre la Polonia si è offerta di ospitare testate nucleari USA. Una disponibilità che, ancor più dopo il missile della contraerea ucraina caduto in Polonia, si inquadra nella scelta che si sta delineando chiaramente di fare della Polonia lo Stato europeo con l’esercito più numeroso e meglio equipaggiato, capace di rispondere a qualsiasi provocazione russa. Varsavia ha aumentato il budget militare da 2,4% al 5% del Pil, bypassando la UE per l’acquisto di armi ricorrendo alla Corea del Sud oltre che agli USA. Così, dopo la guerra in Ucraina, Varsavia supererebbe Berlino come testa di ponte delle forze NATO in Europa.

Quanto agli USA, un articolo del 27 ottobre di Thomas Mahnken sull’autorevole Foreign Affairs, che riflette opinioni dell’amministrazione, titola «Può l’America vincere una nuova Guerra Mondiale?»: Mahnken traccia un programma preciso della prossima IIIa guerra contro Russia e Cina, sul teatro europeo e del Pacifico. Questo si pensa nei circoli militari USA! (Baracca e Cacopardo, https://www.pressenza.com/it/2022/11/washington-si-prepara-alla-guerra-mondiale-per-configgere-cina-e-russia/).

Intanto la spesa mondiale da anni sta aumentando alla cifra record di 2.113 miliardi di dollari, una corsa al riarmo generalizzata. Che vede in testa come sempre gli Stati Uniti con 801 miliardi, l’Italia 11sima con 32 miliardi. Le armi sono fatte per usarle in guerre, e la guerra in Ucraina è un’occasione d’oro per sperimentarle (e, svuotando gli arsenali, per rinnovarli).

Per dirla in termini crudi ma chiari: siamo seduti su una polveriera, come appunto ricorda Noam Chomsky. Vi è una sola strada che può garantire realmente la scomparsa dell’incubo nucleare: l’eliminazione definitiva di tutte le armi nucleari! Ma questo obiettivo non sembra davvero nell’agenda delle potenze nucleari, le quali all’opposto sviluppano programmi triliardari (!) di modernizzazione di tutti gli armamenti nucleari: sommergibili, vettori, bombardieri, testate.

È interessante a questo proposito registrare che la Dichiarazione finale del G20 di Bali del 15-16 novembre usa il termine «L’uso o la minaccia dell’uso delle armi nucleari è inammissibile», un termine che suona più categorico di “inaccettabile” che era stato utilizzato finora, e che sembra adeguare il linguaggio a quello proposto dal TPNW: potrebbe essere interpretato come un segnale di apertura, dopo che anche molti stati della NATO stanno mostrando aperture al trattato. Del G20 fanno parte sei delle nove potenze nucleari.

Un articolo del 26 ottobre del Bulletin di Franziska Stärk e Ulrich Kühn, contiene un’affermazione interessante che getta un parallelo con il prossimo tema che affronterò: «le armi nucleari sono per la sicurezza globale ciò che i combustibili fossili sono per un’economia verde: una costosa eredità delle generazioni passate che ostacola gli sforzi per la giustizia e la sostenibilità a lungo termine».2

2. La catastrofe climatica incombe

Mi sembra singolare che per quanto riguarda la crisi climatica tutto il mondo penda dalle labbra dell’IPCC (International Panel on Climate Change), i suoi Rapporti siano considerati “Vangelo”: ma l’IPCC non è un organismo indipendente, bensì un Comitato “intergovernativo”, cioè finanziato dai governi, e ovviamente i più ricchi, e che inquinano di più, pagano di più. Appare difficile che l’IPCC possa dire “Il tempo è scaduto”: rimane sempre un pugno di anni prima che sia troppo tardi. Il mio parere è modesto, ma giudico le sue conclusioni parziali.

Il fatidico limite di riscaldamento di 1.5°C a me sembra un “numero magico”. Accomuna situazioni diversissime: foreste, deserti, ghiacciai o ghiacci polari, zone agricole e zone urbanizzate, ecc. Ciascuna situazione, o regione può avere soglie di non ritorno diverse.

Una testata non certo ambientalista come The Economist titolava il 5 novembre, alla vigilia della COP27: “The world is going to miss the totemic 1.5°C climate target”: «This year, as the climate world meets in Sharm el-Sheikh for COP27 it would be far better to acknowledge that 1.5 is dead. … Most in the field know this to be true; those who do not, should. Very few say it in public, or on the record. An activist movement based on galvanising enthusiasm is hard put to admit defeat on its chosen goal. Doing so can also feel, to those who care, like giving up on the poorest, who will suffer more than any others after the threshold is breached. But the truth needs to be faced, and its implications explored.»

Per la discussone che segue riassumo cose che ho scritto più volte in questi anni (per esempio, dal 2018: https://www.pressenza.com/it/2018/10/lallarme-sul-riscaldamento-globale-potrebbe-essere-piu-grave-di-quanto-viene-valutato/#sdfootnote1anc).

L’atmosfera terrestre è un sistema estremamente complesso, altamente non lineare: i termini tecnici che ricorrono sono caos, frattali, ecc., qui cerco di riassumere alcuni concetti fondamentali.

L’evoluzione dello stato di un sistema complesso può variare radicalmente se si modifica, o si perturba, anche impercettibilmente il suo stato. Si usa la metafora dell’«effetto farfalla»: una farfalla batte le ali, poniamo, in Maremma, e qualche settimana dopo avviene un ciclone nei Caraibi. Può esserci un nesso causale, ma il termine giusto è l’imprevedibilità.

Un sistema complesso può incontrare nel corso della sua evoluzione delle biforcazioni, imboccando strade evolutive estremamente diverse (qui può agire l’effetto farfalla) o divergenti: una rappresentazione efficace è il “paesaggio epigenetico” che venne introdotto dal genetista Wallace (1823-1913).

E in questa evoluzione imprevedibile possono presentarsi punti di non ritorno (tipping points), superati i quali il sistema non ritorna allo stato iniziale (non perturbato) anche se si spengono del tutto le perturbazioni che ne hanno innescato l’evoluzione.

Personalmente reputo (pur non avendo modo di dimostrarlo) che vi siano delle situazioni ambientali nelle quali sono già stati superati punti di non ritorno. Anche perché un’ulteriore caratteristica dei sistemi non lineari è la presenza di meccanismi di retroazione (feedback), i quali possono essere sia positivi (forzanti) che negativi. Anche con effetti sinergici.

Nell’atmosfera è facile riconoscere l’azione di feedback forzanti: se anche si spegnesse immediatamente la perturbazione, il sistema non tornerebbe alla condizione imperturbata, ma continuerebbe ad allontanarsene.

Vediamo succintamente qualche esempio:

I ghiacci possiedono un’albedo maggiore delle superfici che lasciano scoperte sciogliendosi – mare, terra, roccia – le quali quindi assorbono maggiormente la radiazione solare incrementando così il riscaldamento; per di più lo scioglimento del permafrost polare rilascia metano che ha un potere climalterante molto superiore alla CO2.

Un effetto analogo hanno la deforestazione, e gli incendi boschivi: all’emissione di CO2, e la distruzione di polmoni verdi, si aggiunge la distruzione di biodiversità (è stata avanzata l’ipotesi di una sesta estinzione di massa), nonché l’aumento dei rischi di zoonosi.

Anche l’inarrestabile cementificazione dei territori, urbanizzazione, desertificazione, incrementano le caratteristiche di feedback e irreversibilità, generando trappole di calore, inversioni termiche, ed aggravando la riduzione della biodiversità.

L’agricoltura e l’allevamento intensivi, con l'(ab)uso di pesticidi, provocano gravi danni alla salute, e minacciano gli insetti impollinatori; una conseguenza indiretta che raramente si riporta è l’aumento di suicidi di agricoltori danneggiati.

Sempre più evidenti e allarmanti sono i fenomeni di siccità, carestie, nonché l’aumento delle disuguaglianze.

Si sta verificando un indebolimento della Corrente del Golfo, e in un futuro il suo flusso potrebbe addirittura invertirsi. La Corrente del Golfo è uno dei principali regolatori del clima, essa mantiene per esempio un clima mite sulle coste atlantiche dell’Europa. Per chi pensa che la crisi climatica comporti solo riscaldamenti, l’indebolimento della Corrente del Golfo provocherebbe un raffreddamento sulle coste atlantiche dell’Europa, ad esempio un aumento nel numero e nell’intensità delle tempeste e degli uragani che colpiranno l’Europa. Stefan Rahmstorf, del Potsdam institute for climate impact research, afferma “se continua così potremmo avvicinarci lentamente a un punto di non ritorno, dove questa circolazione si destabilizza del tutto”.

L’inesorabile innalzamento del livello dei mari renderà inabitabili zone costiere molto popolate e provocherà masse di migranti climatici obbligati.

È particolarmente attuale aggiungere che le guerre provocano non solo vittime e distruzioni, ma anche danni ambientali.

Giusto una notizia fresca del Washington Post sulla Florida: l’uragano Ian avvenuto circa due mesi fa ha lasciato montagne di detriti. Per rimuoverli ci vorranno mesi. L’ammasso di detriti potrebbe riempire 22 Empire State Building. “Dove troveremo mai spazio per tutto questo?”, si chiede un esperto.

C’è da aggiungere che tutti i processi responsabili di alterare lo stato del clima interagiscono fra di loro, con forti effetti sinergici.

Siamo seduti non solo su una polveriera, ma anche su una vera bomba sociale innescata: e non sappiamo quanto sia lunga la miccia.

Si potrebbero citare anche esempi di contro-effetti provocati da provvedimenti “verdi”, a dimostrazione che in un sistema complesso (ancor più per la presenza della società umana) i processi possano propagarsi:

La direttiva UE sui biocarburanti ha avuto l’effetto della deforestazione del’Indonesia per fare spazio alle coltivazioni di palma da olio.

I sussidi degli USA ai produttori di bioetanolo sono andati a vantaggio solo dei coltivatori di mais.

È poi il caso di ricordare che i modelli per quanto sofisticati dell’atmosfera sono insufficienti per la compresenza di troppe variabili, interconnesse fra di loro, per i feedback, le sinergie, ecc.

C’è da aggiungere che le risorse sono limitate, e distribuite in modo ineguale sul globo e fra le popolazioni: valga l’esempio dei minerali strategici, la cui necessità per la transizione energetica comporterà prevedibilmente un aumento dell’estrazionismo, e dello sfruttamento neocoloniale, e probabilmente di nuove guerre (rimando a Giorgio Ferrari, https://www.labottegadelbarbieri.org/tag/minerali-strategici/).

Può apparire massimalista un’affermazione che mi risulta inevitabile: se non verrà messo in discussione il sistema di produzione e di consumi del capitalismo (profitto sfrenato, sfruttamento dell’uomo e della natura), il disastro innescato dalla società umana non potrà essere arrestato.

E siamo immersi in una raffica selvaggia di pubblicità e propaganda con corredo di algoritmi, piattaforme, e via dicendo in gran parte fallace e scientificamente infondata, che ci spinge al consumismo: per dirne solo una, i veicoli per essere “ecologici” dovrebbero crescere sugli alberi! Ma chi ci fa caso? C’è un effetto di assuefazione, ed anche un effetto subliminale della pubblicità.

Sarò preso come “vetero”, ma credo oggi più che mai all’affermazione di Rosa Luxemburg, Socialismo o Barbarie.

1. Si veda Giorgio Ferrari, “L’ultimo rapporto sul futuro”, La Bottega del Barbieri, 2 dicembre 2019, https://www.labottegadelbarbieri.org/lultimo-rapporto-sul-futuro/.