Anche questo 4 novembre con il suo solito sovraccarico di retorica nazionalistica se non addirittura di apologia della guerra è passato.

Nell’imminenza delle solite cerimonie di una festa anacronisticamente militarista, Guido Crosetto -svestiti i panni di presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (AIAD) di Confindustria per indossare quelli di ministro della difesa -ha avvertito però l’urgenza di comunicarci come sarà la “nuova Difesa” che intende perseguire, riaprendo- per esempio- gli arruolamenti per rimpolpare le fila delle Forze Armate e ricorrendo di nuovo all’arruolamento dei giovani.

Il neo ministro nelle sue prime sortite dopo la nomina ha trascurato però di soffermarsi almeno un po’ sui gravi disagi che attraversano le forze armate unitamente alle forze dell’ordine. Disagi che non di rado arrivano a tragici epiloghi.

Nel nostro Paese si registra un suicidio in media ogni 16 ore che passano e un tentato suicidio ogni 14. Questi sono i dati allarmanti che emergono dall’Osservatorio permanente Suicidi della Fondazione BRF Onlus- Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze. Un Osservatorio nato per sopperire alla mancanza assoluta di dati aggiornati sugli atti suicidari e per monitorare, in base ad un’attenta analisi delle notizie di cronaca (locali e nazionali), gli atti suicidari tentati e quelli tragicamente conclusi. Qui i dati aggiornati: https://www.fondazionebrf.org/osservatorio-suicidi/.

Dal primo gennaio 2022 l’Osservatorio ha registrati 470 suicidi e 491 tentati suicidi. Un’emergenza che trova il suo punto più drammatico nelle carceri- ove la contabilità di Antigone è arrivata a quota 74- e nelle caserme. A certificare l’aumento dei suicidi e dei tentati suicidi tra le forze armate e le forze dell’ordine è l’Osservatorio Suicidi in Divisa, che ne ha registrati già oltre 60 tra gli appartenenti ai corpi militari e alle forze dell’ordine. Un triste fenomeno che coinvolge tutti i corpi in divisa: quest’anno si sono tolti la vita 12 carabinieri (di cui 5 carabinieri forestali); 7 guardie di finanza; 3 militari dell’Esercito; 4 della Polizia penitenziaria (più un tentativo di suicidio); 21 della Polizia di Stato, di cui uno da poco in pensione (più 3 tentativi di suicidio); 5 della Polizia locale; 4 guardie giurate; 2 Vigili del fuoco; 1 dell’Aeronautica militare. Nel corso del 2021 erano stati segnalati 57 suicidi, mentre nel 2020 erano stati 51. Qui i dati: https://www.facebook.com/groups/osservatoriosuicidimilitari/announcements.

Già nel 2014 l’Osservatorio Epidemiologico della Difesa indicava comunque il suicidio come terza causa di morte tra i militari, dopo incidenti e malattie (anche se i dati sul suicidio risultano difficili da raccogliere, poiché il ministero degli Interni e della Difesa conteggiano solo quelli avvenuti in caserma o in comando). Non sono pochi coloro che -pur consapevoli che il comportamento suicidario sia complesso e multifattoriale- legano un tale aumento di suicidi e tentati suicidi in divisa (anche) alle condizioni di lavoro, ad organizzazioni fortemente verticistiche e rigide, all’assenza di diritti e libertà sindacali e alla mancanza di presidi in grado di tutelare lavoratori e lavoratrici. Mancanze queste che lasciano i lavoratori in divisa soli di fronte a conflitti emotivi e sociali e a situazione di disagio psicologico e interpersonale. L’Osservatorio suicidi in divisa lamenta un silenzio assordante di fronte a tante morti e auspica che si possano finalmente accendere i riflettori su un fenomeno che non ha soltanto una matrice psichiatrica, ma anche elementi di disagio, da ricercare per esempio nella sfera familiare, nell’isolamento sociale, nelle precarie condizioni economiche ma anche- se non soprattutto- nella stessa sfera lavorativa, che quasi sempre viene sottovalutata perché si pensa che il sistema sia infallibile.

Il suicidio è senz’altro la risultante di molti fattori (genetici, biologici, individuali e ambientali) e, come indicato anche dall’OMS, la malattia psichiatrica non è l’unico fattore di rischio. Le politiche di prevenzione del suicidio non possono- di conseguenza- essere confinate al solo ambito sanitario, ma devono considerare anche i potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale del soggetto. E non vanno poi neppure trascurati gli effetti destabilizzanti sulle persone con le quali il suicida era in relazione. Coloro che sono stati colpiti da un lutto in seguito ad un suicidio presentano più frequentemente senso di colpa e sentimenti di rifiuto e abbandono rispetto a chi ha perso qualcuno per cause naturali.
Continuare- semmai rafforzandola- con la retorica militarista fatta di divise e disciplina, di muscoli e di volti cattivi, di violenza, di coraggio e di sacrifici umani, oppure nascondere, sminuire o eludere l’aumento dei suicidi e dei tentati suicidi in divisa, riducendoli semmai a mero problema dei singoli militari che non considera affatto le condizioni di lavoro e di vita del lavoratore in divisa, significa voler far restare il settore in una perenne e stucchevole retorica, significa non voler prendere coscienza dei problemi che l’attraversano e significa non comprendere la gravità e la complessità delle cause che concorrono all’aumento dei suicidi e dei tentati suicidi di militari. E significa -di conseguenza- non voler agire per superare le gravi criticità delle caserme e non voler contribuire a curare le ferite di chi resta a piangere morti premature.

Il sistema -in attesa di una difesa della Patria totalmente nonviolenta- avrebbe almeno bisogno di liberarsi di retorica e cliché, di avere una diversa narrazione e, soprattutto, caserme accoglienti, trasparenti, sicure e democratiche, nonché libertà sindacali e presidi di tutela dei lavoratori in divisa. Ma temiamo che tutto ciò non farà parte delle nuove linee guida delle cosiddette forze armate, così come ripensate dal neo ministro e grande esperto di “cose militari”, Guido Crosetto.