Ci troviamo al Calvairate, storico complesso di case popolari alla periferia sud di Milano, che ogni tanto fa notizia per le solite ragioni: alloggi occupati abusivamente, crescente microcriminalità tra gli adolescenti, all’interno di quel più ampio fenomeno delle cosiddette Baby-Gangs che riguarda ormai tutta la cintura esterna di Milano.

Il portone che sto per varcare si affaccia su Piazza Martini. Subito dopo una breve discesa di scalini, eccomi all’interno di uno spazio che non saprei immaginare più accogliente, un po’ scuola (per via dei banchi), ma soprattutto casa, con più stanze e tutto quel che serve per imparare anche giocando. Appesi ai muri disegni, foto e non pochi riconoscimenti.

E’ la sede dell’Associazione Allons Enfants, che si avvia a festeggiare il decimo anno di attività nell’ambito della cosiddetta povertà educativa, ovvero del sostegno a una ventina di minori, tra i sette e i tredici anni, che vengono segnalati da UONPIA (Unità operativa di Neuropsichiatria per l’Infanzia e l’Adolescenza) per bisogni educativi speciali (BES) o per disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), dislessia, discalculia, disortografia. Ma è chiaro che la povertà non è solo educativa e va ben oltre gli acronimi, come mi spiegherà Rosanna Romano, ideatrice e principale coordinatrice di questa bella impresa.

Racconta dall’inizio…

Potrei dirti che è iniziato tutto con uno scivolone. Era il 2012, lavoravo già con un bambino che aveva difficoltà di apprendimento. Un giorno sono caduta, mi sono rotta un ginocchio e in quei sei mesi di immobilità ho capito che se rimani fermo per troppo tempo… ti viene la depressione. E così ho partorito Allons Enfants. All’inizio eravamo solo io, mio marito, un gruppo di amici… e nessuno ci dava retta. Ma fin da subito ci siamo affidati a UONPIA, l’unità di neuropsichiatria infantile che ci segnala i casi di particolare bisogno. Ovvio però che alla povertà educativa si associa una povertà molto più concreta: i bambini che seguiamo sono magari nati e cresciuti in Italia, ma le famiglie da cui provengono, sebbene in qualche modo ‘inserite’ perché almeno un genitore lavora, soffrono di una condizione di esclusione tipica dalla migrazione.

Bambini e ragazzini affetti quindi da un senso di grande inferiorità, rispetto a tanti loro coetanei, che li rende psicologicamente fragili: nel migliore dei casi li isola, più spesso li spinge ad abbracciare modelli negativi di ‘autoaffermazione’ – ed ecco spiegata la ‘piaga’ delle Baby Gangs di cui ci si accorge solo ogni perché ne parlano i media, ma che in effetti rappresentano la normale socializzazione di quartieri come questo. Per cui il doposcuola diventa un modo per toglierli dalla strada, o per tirarli fuori da quelle quattro mura in cui tenderebbero a rinchiudersi. Il primo problema che ci siamo trovati ad affrontare infatti, è stato quello di una sede adeguata, di uno spazio fisico che potesse contenerci tutti, per quanto pochi: con i banchi, le sedie, i tavoli per le attività…

Problema risolto brillantemente, a giudicare da questa sede bellissima!

Sì, ma questi locali ci sono stati assegnati dopo anni e anni di richieste all’ALER (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) durante i quali è stato un continuo trasloco! C’è stato un periodo in lavoravamo in una specie di portineria, 40 metri quadrati in tutto: essendo all’interno di un co-housing, fungeva anche da foresteria, e poi da lavanderia, con via vai di trolleys per i panni sporchi e le mensole occupate dai detersivi. Una situazione impossibile.

Abbiamo quindi chiesto ospitalità a un’altra associazione di zona, qui al Calvairate… in attesa dell’assegnazione dell’appartamentino di Via Tommei, che ci era stato promesso dall’ALER, troppo piccolo pure quello… Finché è saltato fuori questo spazio, che era una ex palestra, chiusa da anni. Peccato che fosse già fine febbraio 2020, in pieno Covid: abbiamo fatto in tempo a inaugurare la nuova sede, che eravamo già chiusi. Puoi immaginare lo sconcerto…

E come avete affrontato la situazione?

In quel momento il problema principale era non mollare i ragazzi, che soprattutto in regime di Didattica a Distanza non potevano essere abbandonati a se stessi: bella trovata, ma per chi, e come? Perché è vero che le scuole fornivano i tablet, ma sulla base di procedure e requisiti che non tutte le famiglie erano in grado di affrontare. Ci siamo trovati a fare i compiti su whatsapp, immagina la difficoltà! Ma chiaramente il problema dei tablet andava risolto e così, nel giugno 2020, ci siamo lanciati in una raccolta fondi sulla piattaforma gofundme che è andata benissimo: nel giro di pochissimo tempo siamo riusciti a raccogliere una bella sommetta, sufficiente perché tutti avessero il loro tablet. Grazie al particolare impegno di una nostra volontaria nel giro di un paio di mesi siamo riusciti ad alfabetizzare digitalmente tutti i bambini, perché avere un tablet non basta, devi anche saperlo usare! Ce l’abbiamo fatta, in tempo per il secondo lockdown…

Mi stai raccontando un’impresa… epica!

Ti sto raccontando la realtà che non vediamo. Di case minime, sovraffollate, incasinate, nelle quali non oseremmo entrare. E noi ci siamo entrati eccome, prima attraverso il telefonino e poi grazie ai tablet. Li abbiamo visti quegli spazi, abbiamo visto come facevano DAD i nostri bambini: sul tavolo di cucina perché la cameretta te la sogni, con i fratellini o gli stessi genitori che magari litigano… E quando mi trovo a confronto con delle maestre che ci criticano perché secondo loro i bambini ‘si abituano troppo bene’, facendo tutti i compiti da noi, io vorrei chiedere loro dove dovrebbero farli i compiti, se non da noi: in un luogo tranquillo, normale, seguiti individualmente da non meno di due persone; non tutti i volontari sono sempre disponibili, ma noi dobbiamo esserci tutti i giorni.

Come reclutate i vostri collaboratori?

In parte grazie all’ottima relazione con il CSV (Centro Servizi per il Volontariato delle città di Milano) oltre alla collaborazione con Milano Altruista, un portale che cura la ricerca di volontari per i più vari settori di intervento. Funziona come sempre il passaparola, oppure ci trovano su internet. La nostra è una squadra eterogenea: oltre a una volontaria che ci segue da quando siamo nati e che consideriamo ‘storica’, abbiamo giovani anche diciottenni, o studenti universitari, soprattutto ragazze orientate e proseguire professionalmente in questo ambito e per le quali un’esperienza come la nostra rappresenta una valida opportunità formativa.

Da qualche tempo abbiamo infatti inaugurato una consulenza con l’Associazione Jonas fondata da Massimo Recalcati, presso la quale i nostri volontari hanno modo di acquisire degli strumenti specifici per rispondere alle svariate difficoltà di apprendimento dei nostri bambini. Difficoltà che non possono essere affrontate con la semplice buona volontà, bisogna capire che cosa blocca quel particolare bambino, essere in grado di affrontare la complessità anche sociale oltre che psicologica, che è all’origine della difficoltà – e per far questo bisogna attrezzarsi. Una consulenza che per noi è un costo (perché gli psicologi dell’Associazione Jonas, in particolare del Centro Gian Burrasca concepito apposta per le problematiche dell’età infantile, non sono certo gratuiti) e che per i volontari rappresenta un valore aggiunto. E i problemi che caratterizzano questa fascia di età si sono acutizzati parecchio, durante e dopo la pandemia.

Che cosa è cambiato, dal vostro punto di osservazione?

Il lockdown stato un periodo difficile per tutti e soprattutto per i minori, di ogni estrazione sociale, ma il disagio che tocchiamo con mano ogni giorno in questo particolare contesto di periferia e povertà si è acutizzato: ci sono reazioni di rabbia, comportamenti e atteggiamenti, anche di bambini delle elementari, che corrispondono a vissuti molto problematici, che non puoi limitarti a osservare e che vanno accolti, elaborati. Per esempio, questa storia della Baby Gangs: ci vuol poco a capire che non si tratta solo di crisi di valori e degrado sociale. E’ chiaro che durante quel periodo di isolamento per tutti, i più fragili, in un’età critica come il passaggio all’adolescenza, hanno trovato una qualche rassicurazione nel confronto con modelli vincenti, con chi bene o male emerge e si impone con prepotenza… Ma a un bambino di 8 o 9 anni che magari ti racconta una storia pazzesca, tu cosa gli dici? E’ già bello che abbia voglia di aprirsi, che abbia fiducia in te, ed è lì che si può intervenire, per creare quel cambiamento di prospettiva che può sbloccare tante altre difficoltà… ma per farlo, devi sapere come rispondere, devi saperle intercettare. Ed è proprio in questa chiave, di lavoro su di noi, che stiamo perfezionando la nostra collaborazione con il Centro Gian Burrasca di Recalcati: abbiamo capito che intorno a ogni bambino o ragazzino con difficoltà di apprendimento c’è un contesto di difficoltà e come operatori non possiamo sottrarci alla costante supervisione del nostro stesso operato, capacità di lettura e risposta.

Per arrivare a tutto questo non bastano quelle poche ore pomeridiane per fare i compiti e infatti organizziamo spesso i laboratori creativi, presto riprenderemo anche le visite ai musei e magari qualche uscita fuori porta, come quella volta che siamo andati fino a Torino per visitare il Museo del Cinema. E c’è la continua attività di raccolta fondi e mercatini, soprattutto adesso che ci stiamo avvicinando al Natale, grazie alle donazioni di libri, litografie, oggetti anche di pregio che spesso riceviamo dai nostri sostenitori.

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