L’ex candidata presidenziale ha dimostrato che fare opposizione con politiche di cambiamento dell’attuale regime è un tabù che la classe dominante non è disposta a tollerare

La rapida trasformazione di Tulsi Gabbard da stella nascente dei Democratici a reietta demonizzata – culminata questa settimana con la sua decisione di lasciare il partito – ha dimostrato l’unica cosa su cui chiunque abbia un certo potere a Washington riesce ad essere d’accordo: che la guerra è buona.

È infatti l’unica cosa su cui tutti devono essere d’accordo, se vogliono raggiungere il potere e avere una lunga e fortunata carriera nella politica americana. Chi non è d’accordo rimarrà ai margini, nel migliore dei casi. Se si esprimono in modo troppo eloquente, verranno bollati come traditori. Come è stato per l’ex deputato Ron Paul e per suo figlio, il senatore Rand Paul, essi non saranno mai presi sul serio come candidati alla presidenza, nè potranno mettersi in lizza, indipendentemente dal numero di dibattiti che vinceranno.

Gabbard ha interpretato questa realtà meglio di chiunque altro. Si pensi al rilievo che le venne riconosciuto quando fece il suo ingresso al Congresso nel 2013, a come venne presentata come la grande novità di lì in poi; e poi si guardi a quanto poco è bastato perché venisse sostanzialmente scomunicata. La sua caduta in disgrazia è stata sorprendentemente rapida e illuminante.

A soli 31 anni, proveniva da uno degli Stati più affidabili per i democratici, le Hawaii, ed era la più giovane legislatrice ad aver mai rappresentato il suo distretto. Non è di pelle bianca. In effetti, ha spuntato un paio di caselle identitarie predilette dai Democratici, diventando il primo membro indù e il primo membro del Congresso proveniente dal territorio americano delle isole Samoa ad avere diritto di voto. È una veterana di guerra. È molto articolata e si presenta come una persona che crede appassionatamente in ciò che dice.

In breve, era una versione di gran lunga migliore di Kamala Harris. Provate a immaginare l’attuale vicepresidente più giovane, più intelligente, oltre che simpatica e di solidi principi. Aggiungete qualche punto in più per il servizio militare e la capacità di sembrare umana, senza ridere in modo incontrollato nei momenti più inopportuni. Questa è Tulsi Gabbard.

Non è stato difficile per i leader del Partito Democratico capire il potenziale di Gabbard quando ha vinto le sue prime primarie nel 2012. Il presidente Barack Obama l’ha appoggiata e Nancy Pelosi, allora leader della minoranza della Camera, l’ha invitata a parlare alla Convenzione Nazionale Democratica. Subito dopo il suo arrivo al Congresso, nel 2013, è stata nominata vicepresidente del Comitato Nazionale Democratico (DNC).

Subito dopo, la CNN e altri media mainstream hanno iniziato ad adulare Gabbard come “la prossima superstar”, come “una da tenere d’occhio”. Secondo il canale MSNBC, sarebbe stata il personaggio ideale per un film di Hollywood e la commentatrice della CNN Ana Navarro è arrivata a dire: “Per quel che ne so, in caso di attacco vorrei averla nella mia trincea”.

Ma poi, quasi all’improvviso, nessuno di quei commentatori ha voluto Gabbard nella propria trincea. Dopo la scioccante vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2016, ha avuto l’ardire di incontrare il presidente eletto. Il problema non è stato il fatto che avesse avuto una conversazione con quel ‘pessimo individuo arancione’. Imperdonabile era l’argomento oggetto dell’incontro: la campagna per un cambio di regime degli Stati Uniti in Siria.

“Ho ritenuto importante cogliere l’opportunità di incontrare il Presidente eletto adesso, prima che i tamburi di guerra battuti dai neoconservatori ci trascinino in un’escalation della guerra per rovesciare il governo siriano”, dichiarò la Gabbard all’epoca. Settimane dopo, si recò in Siria per verificare le terribili condizioni sul terreno e per incontrare il presidente siriano Bashar al-Assad.

A tutti gli effetti, il periodo di Gabbard come beniamina del Partito Democratico era finito. In realtà, è stato peggio che essere rimossa dalla lista di favoriti. Agli occhi di chi conduceva il gioco è ormai considerata una traditrice della nazione. Hillary Clinton, la candidata del partito alle presidenziali del 2016, si è spinta a suggerire che la Gabbard fosse stata addestrata come pedina russa, bollandola come “la preferita dei russi”.

Quando Gabbard si candidò alle presidenziali del 2020, reiterò il suo messaggio contro la guerra nei dibattiti più importanti, umiliando la Harris come un’ipocrita sulla giustizia penale. Dopo il suo primo dibattito, è diventata la candidata più seguita online, ma Google ha sospeso la pubblicità del suo account, impedendole di sfruttare l’aumento dell’interesse degli elettori. Ha accusato il DNC di averla tenuta fuori da alcuni dei più importanti dibattiti successivi, in un caso cambiando le regole per farlo, e infatti di lì a poco Gabbard ha abbandonato la corsa.

Con i media che la dipingevano come una bigotta anti-LGBTQ e una “pedina dei russi”, anche la carriera di Gabbard al Congresso ha avuto rapida fine. Lei stessa scelse di non chiedere la rielezione ed è stata l’unica democratica che non si è unita ai membri del partito alla Camera per votare l’impeachment di Trump.

Tuttavia, Gabbard ha continuato a parlare contro coloro che vogliono la guerra a tutti i costi, soprattutto dopo che la Russia ha iniziato la sua offensiva militare contro l’Ucraina a febbraio, scatenando l’indignazione sia dei Democratici che dei Repubblicani. È diventata ancor più un paria politico quando ha fatto notare che la politica di Biden di combattere una guerra per procura contro la Russia stava spingendo gli americani verso un disastro nucleare. Dopo aver espresso preoccupazione per le affermazioni sui laboratori biologici finanziati dagli Stati Uniti in Ucraina, il senatore Mitt Romney l’ha accusata di aver detto “menzogne degne di venir considerate tradimento”.

Quando l’11 ottobre scorso Gabbard ha annunciato la sua uscita dal Partito Democratico, ha parlato di “vigliaccheria”, di divisione razziale, di ostilità verso le persone di fede e di armamento delle forze dell’ordine contro gli avversari politici. Ma l’unico vero problema, l’unica differenza veramente inconciliabile, è stata la guerra.

“Non posso più rimanere nel Partito Democratico di oggi, che è sotto il completo controllo di una cabala elitaria di guerrafondai”, ha dichiarato.

Purtroppo, avrebbe potuto dire la stessa cosa del Partito Repubblicano. Come ha sottolineato l’economista e analista politico Jeffrey Sachs in un’intervista pubblicata il giorno prima.

“Questo Paese ha ai suoi vertici una macchina da guerra”. E ha aggiunto: “Siamo uno stato di sicurezza. Abbiamo un governo segreto che gestisce la maggior parte della nostra politica estera e militare”.

Tutti i giochi su questioni di razza, genere e altre strombazzate problematiche sociali sono solo teatro politico. Ciò che conta davvero per Washington è la guerra e l’eloquenza della Gabbard come comunicatrice la rende pericolosa per la macchina bellica. La Gabbard afferma chiaramente che le politiche degli Stati Uniti non hanno nulla a che fare con i reali interessi economici e di sicurezza del popolo americano.

Abbiamo troppe persone a Washington che sono guerrafondaie, asservite al complesso militare-industriale e che continuano a mettere al primo posto i propri egoistici interessi e gli interessi dei loro finanziatori, senza curarsi dei costi e delle conseguenze che le loro decisioni hanno sul popolo americano“, ha dichiarato in un’intervista a Fox News.

“Questo è esattamente ciò che stiamo vedendo in questo momento con il Presidente Biden e i leader del Congresso, le cui decisioni ci stanno inesorabilmente spingendo sull’orlo di un olocausto nucleare, in vista del quale hanno già previsto i loro bunker, dove loro saranno al sicuro, mentre noi, il popolo americano, non avremo alcun riparo, nessun posto dove andare, nessun posto dove nasconderci, e ci troveremo ad affrontare le conseguenze che potrebbero distruggere l’intera umanità e il mondo che abbiamo conosciuto fino ad ora”.

Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi. Revisione di Filomena Santoro.


Di Tony Cox, un giornalista statunitense che ha scritto ed è stato redattore per Bloomberg e per diversi importanti quotidiani.

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