Per tutta una serie di motivazioni strettamente familiari ho intrapreso cammini di pace diciamo in età adulta. Una sera del 2008 ero presente alla presentazione della prima edizione della Marcia Mondiale per la Pace e per la Nonviolenza. Mi innamorai letteralmente di quelle due parole che portarono a un profondo cambiamento nella mia esistenza. In concreto ho iniziato a far conoscere questo percorso nel bresciano (le mie origini, ma il territorio dove si “presuppone” ci sia un imprecisato numero di testate atomiche). Scoprii che all’interno del giardino del Museo di Santa Giulia stanno crescendo due Hibakujumoku, uno di Hiroshima, l’altro di Nagasaki. Sono stata colpita dalla grande forza di rinascita di queste piante nonostante l’immensa distruzione provocata dagli ordigni nucleari sganciati il 6 agosto e il 9 agosto 1945. Ti insegnano quanto la Natura è capace di andare oltre e rigenerarsi. Nel suo “L’incredibile viaggio delle piante” (Editori La Terza) Stefano Mancuso (professore all’Università di Firenze, dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) scrive “Non sapevo dell’esistenza degli Hibakujumoku: ne venni a conoscenza del tutto fortuitamente qualche anno fa durante una delle mie periodiche visite a Kitakyyushu in Giappone. Quel giorno visitai molti Hibakujumoku Hiroshima, avvicinandomi via via al luogo dove per la prima volta un ordigno atomico era stato utilizzato contro una popolazione inerme. Ricordo un altro magnifico Ginkgo nel recinto del tempo di Hosenbo a 1130 metri. Un albero di canfora (Cinnamomum camphora) all’interno del quadrilatero del castello di Hiroshima a 1120 metri. Un agrifoglio di Kurogane (Ilex rotunda) sempre nel castello a 910 metri. Una meravigliosa peonia (Paeonia suffruticosa) nel tempio di Honkyoji 890 metri. Avvicinandosi al centro del disastro gli Hibakujumoku iniziano a diminuire. La temperatura del suolo, nel luogo dove ci trovavamo, alle 8.15 del 6 agosto 1945 aveva superato i 4000°C, molto probabilmente aveva raggiunto i 6000°C. Il console mi aveva appena portato a vedere l’ombra (letteralmente) impressa sulle scale della Sumitomo Bank Company, lasciata dalla vaporizzazione della signora Mitsuno Ochi, all’epoca di 42 anni, sorpresa dall’esplosione mentre era in attesa dell’apertura della banca”.

Fin dagli inizi del conflitto in Ucraina uno dei miei più forti timore è stato quello del nucleare. Chi come me ha vissuto l’esperienza di Chernobyl teme sempre un incidente. Tant’è che solo nel 2010 organizzai proprio nel bresciano a Salò una mostra fotografica dal titolo “Cartoline da Chernobyl”. Eppure anche li la Natura mi ha/ci ha sorpreso. Sempre dal libro di Mancuso “La città di Pripyat, inclusa nell’area dell’alienazione, sorgeva a tre chilometri dal reattore esploso. Era una città di 50.000 abitanti, in cui viveva la maggioranza dei lavoratori della centrale. Fu completamente evacuata subito dopo l’incidente. Ho avuto modo recentemente di vedere un dettagliatissimo reportage fotografico sullo stato di quella città ai nostri giorni. Sono immagini che lasciano increduli: trent’anni dopo il disastro Pripyat é ricoperta dalle piante. Una specie di Angkor Wat ucraina. Pioppi sui tetti degli edifici, betulle nei terrazzi dei palazzi, l’asfalto divelto dai cespugli, enormi strade a sei corsie trasformate in fiumi di verde. Nel 2009 un team dell’Accademia delle scienze di Slovacchia, guidato dal professor Martin Hajduch, si spinse fin dentro la città di Pripyat per un esperimento i cui risultati fecero molto discutere. Il team seminò nella città una certa quantità di soia e ne mise a confronto la crescita c le performance produttive con quelle di un equivalente gruppo di piante coltivate ad oltre 100 km dall’area contaminata. I risultati furono che le piante di soia all’interno della città di Pripyat crescevano molto di più consumando in proporzione meno acqua. Sebbene i risultati in quesitone possano essere sottoposti a critiche, in parte legate alle difficoltà di comparare crescite in luoghi così diversi (a prescindere dalle radiazioni) é indubbio che le piante abbiano sviluppato nel corso della loro storia straordinarie capacità di resistenza alle avversità”.

21 settembre 2021, Giornata Mondiale dedicata alla Pace. Ti aspetti che si parli di pace, e ti ritrovi una nuova minaccia nucleare. Nulla ci ha insegnato l’olocausto atomico giapponese? Nulla ci ha insegnato Chernobyl? E che dire di quel 26 settembre 1983 dove solo grazie al coraggio di un essere umano (Stanislav Petrov) si evitò la catastrofe? Ma proprio non si riesce a dare senso alla vita?

Il prossimo 2 ottobre (Giornata Mondiale dedicata alla Nonviolenza) sapremo da quale città partirà e arriverà la Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, che inizierà il 2/10/2024. Fin dalla sua prima edizione il gruppo di persone che si ha visitato tutti i continenti ha raccolto l’appello unanime di eliminare tutte le testate atomiche. Con la seconda edizione ha cercato di far conoscere e far comprendere l’importanza del Trattato di Proibizioni delle armi nucleari (approvato in sede Onu il 7/7/2017 ed entrato in vigore il 22/1/2021). Tutti noi continueremo a impegnarci durante il cammino che porterà alle Terza edizione perché il TPNW sia sempre di più approvato e ratificato, in quegli stati come l’Italia non è ancora stato fatto; che si arrivi a evitare di nuovo la forte minaccia di oggi. La Natura sicuramente avrà la capacità di andare oltre, noi esseri umani NO!