Il 25 agosto 2017 l’esercito di Myanmar lanciò una violenta operazione contro la popolazione rohingya dello stato di Rakhine, rendendosi responsabile di gravi crimini di diritto internazionale, dell’incendio di interi villaggi e della fuga di centinaia di migliaia di persone in Bangladesh.

“Questo anniversario ci ricorda in modo inquietante che non un alto grado dell’esercito di Myanmar è stato incriminato per quella spaventosa campagna di violenza contro i rohingya”, ha dichiarato Ming Yu Hah, vicedirettrice delle campagne sull’Asia di Amnesty International.

“Amnesty International è solidale con i rohingya che restano nello stato di Rakhine e con circa un milione di rifugiati in Bangladesh. Una vera giustizia è fondamentale per porre fine all’impunità che domina in Myanmar da molti anni”, ha aggiunto Ming Yu Hah.

Cinque anni dopo, i rohingya rimasti nello stato di Rakhine non hanno la libertà di movimento e sono privati di altri diritti fondamentali, come l’accesso adeguato a cibo, cure mediche e istruzione, cui va aggiunta l’insicurezza causata dal colpo di stato del febbraio 2021. Nelle zone di confine del Bangladesh, i rifugiati rohingya vivono in un limbo, non potendo tornare in sicurezza in Myanmar e non potendo vivere in pace nei campi per rifugiati del Bangladesh, dove la violenza è in aumento.

“Nei campi per rifugiati la vita è molto difficile. Non sappiamo come poter tornare nelle nostre case e non siamo sicuri neanche qui. La nostra gente perde la vita a causa delle bande criminali che operano nei campi, a causa di calamità ambientali o intraprendendo viaggi pericolosi per migrare in altri stati”, ha dichiarato ad Amnesty San Thai Shin, un rifugiato rohingya del campo di Cox’s Bazar, in Bangladesh.

Dal punto di vista della giustizia internazionale, osserva Amnesty International, qualcosa si muove. Nel luglio 2022 la Corte internazionale di giustizia ha respinto le obiezioni avanzate da Myanmar e si è dichiarata competente per andare avanti nel procedimento avviato nel 2019 dallo stato del Gambia contro il governo di Myanmar ai sensi della Convenzione sul genocidio.

Anche il Tribunale penale internazionale sta indagando sui crimini commessi nel 2016 e nel 2017 contro i rohingya. Sebbene Myanmar non abbia ratificato lo Statuto del Tribunale, questo sta esaminando denunce di crimini commessi in Bangladesh e in altri stati. Amnesty International ha sollecitato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a deferire al Tribunale l’intera situazione di Myanmar in modo che possa essere svolta un’indagine su tutti i crimini commessi all’interno di Myanmar.

Un’altra indagine, sulla base della giurisdizione universale – il principio che autorizza le autorità nazionali a indagare su crimini di diritto internazionale commessi altrove – sta andando avanti in Argentina. I promotori, l’Organizzazione birmana dei rohingya del Regno Unito, sperano che i più alti gradi dell’esercito di Myanmar siano chiamati a rispondere dei crimini commessi contro i rohingya.

Queste azioni giudiziarie dovrebbero essere accompagnate da ulteriori iniziative da parte della giustizia nazionale di altri stati.

“Anche l’Associazione degli stati del sudest asiatico dovrebbe giocare un ruolo più determinato e decisivo, schierandosi dalla parte dei rohingya e premendo per l’accertamento delle responsabilità”, ha commentato Ming Yu Hah.

Ulteriori informazioni 

Nell’agosto 2017 l’esercito di Myanmar lanciò operazioni militari vaste e sistematiche contro i villaggi rohingya, rendendosi responsabile di esecuzioni extragiudiziali, distruzione di proprietà e aggressioni sessuali. Oltre 740.000 uomini, donne e bambini rohingya fuggirono dallo stato di Rakhine verso il confinante Bangladesh. Secondo le forze armate, prima dell’avvio delle operazioni militari c’era stata una serie di attacchi armati contro posti di blocco della polizia.

 

Considerando anche la violenza subita nei decenni precedenti, si stima che circa un milione di rifugiati rohingya viva attualmente in Bangladesh. Di molte delle loro abitazioni non è rimasta alcuna traccia.

 

La Missione di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite su Myanmar ha già chiesto che il generale Min Aung Hlaing e ulteriori alti gradi dell’esercito di Myanmar siano indagati e processati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Il generale Min Aung Hlaing ha assunto il ruolo di presidente del Consiglio di amministrazione dello stato dopo il golpe del febbraio 2021.