Negli ultimi anni, nel panorama imprenditoriale internazionale, uno dei pochi punti fermi che aiutavano ad orientarci nella lettura dei trend era l’interessato ottimismo ad oltranza di Elon Musk. Ma quando anche il patron di Tesla comunica 10.000 licenziamenti, il blocco di nuove assunzioni e si lascia scappare un  ”ho una pessima sensazione sull’economia”, forse c’è da porsi qualche domanda.

Al Festival dell’Economia di Trento, invece, tirava aria da ballo sul Titanic. Perché dedicare tempo ed energie, in un momento come quello attuale, al rischio insito nelle criptovalute, è come interrogarsi sul ristorante in cui portare a cena la fidanzata, mentre si sta evacuando in fretta e furia da un palazzo in fiamme che minaccia di crollare. Certo, il ministro Giorgetti ci ha provato a riportare il dibattito con i piedi per terra, buttandola per così dire sul concreto e invitando tutti a focalizzarsi sul taglio del cuneo fiscale come vera priorità. Giusto. C’è un problema, però: con quali soldi lo si finanzia, se l’Ue ha già oggi bloccato ogni ulteriore scostamento o deficit? Si fa nuovo debito? Si taglia? E che cosa, visto che il dibattito del giorno verte sulla necessità di una vera tassazione delle rendite e dei patrimoni per aumentare i salari devastati dall’inflazione? La stessa inflazione, tra l’altro, che il 90% degli esperti presenti a Trento riteneva transitoria e assolutamente innocua. In alcuni casi, addirittura benefica per le ratio del debito pubblico e guai a fomentare la rincorsa delle retribuzioni, quello sì che sarebbe il vero pericolo (sigh). 

Anche perché mentre a Trento si cavalcano unicorni (o draghi?) e lungo lo Stivale si cerca di dimenticare per un week end debiti e bollette in scadenza, sui mercati prosegue la svendita del nostro debito arrivato nel frattempo ad aprile a 2760 mld in crescita di 3,5 mld rispetto a marzo e con un rapporto debito pubblico/PIL che crescerà sicuramente nel 2022 visto che il calo registrato nel 2021 – dal 155,3% del 2020 al 150,4% del 2021 – era dovuto ad una crescita del PIL al 6,6; mentre per il 2022 le stime più ottimistiche parlano di un +2,8% a fronte di un sicuro ulteriore e costante aumento dei rendimenti dei titoli di Stato (fonti ISTAT e Bankitalia).  Il Btp benchmark che chiude la giornata al 4 punti percentuale di rendimento, in netto aumento dal giorno precedente, conferma una tendenza che unisce speculazioni sui debiti sovrani da parte dei grandi traders internazionali e spasmodica ricerca di beni rifugio da parte dei risparmiatori grandi e piccoli.

 Il tutto, giova sottolinearlo, non solo con la Bce ancora in parte operativa, ma soprattutto con banche e assicurazioni impegnate in un patriottico quanto controvoglia ritorno del doom loop (acquisto massiccio di titoli di stato da parte delle banche di quel paese) per schermare lo schermabile anche a scapito delle proprie quotazioni in borsa (e la signora Lagarde che non mostra alcun segnale di rilancio di una qualche forma aggiornata di Quantitative Easing a protezione dei debiti sovrani). 

Inutile prendersi in giro, però. Manca poco all’insostenibilità del nostro debito. Il 3,5% era ritenuto pressoché da tutti il Rubicone da non varcare. E per quanto economisti e politici possano rassicurare, la realtà è quella della percezione di mercato: superato quel livello, la sell-off è assicurata. Automatica. E il debito si impenna.

Nei prossimi giorni, sia la Bce che la Fed si riuniranno e dovranno offrire risposte a un’inflazione ormai palesemente fuori controllo. E con un quadro bellico che, apparentemente, si sta dando un pò troppo per scontato. La reazione di solenne indifferenza delle valutazioni del petrolio alla notizia dell’aumento della produzione Opec per luglio e agosto parla chiaro rispetto a un quadro d’insieme che ormai mostra i connotati dell’uncharted territory.

Certo, a Trento si è avanzata la proposta di uscita di massa delle banche europee dalla Russia come geniale intuizione per piegare il Cremlino, ma la medesima fonte che si è resa protagonista della boutade, in cuor suo, probabilmente ogni sera – prima di addormentarsi – prega affinché i Level 3 degli istituti finanziari del Vecchio Continente non facciano crack al prossimo azzardo della Fed. 

Insomma, andrà tutto bene? Assolutamente no! E manca poco prima che il nostro rendimento sul decennale ponga fine a tutte le risse in seno al governo e spalanchi le porte all’unica via d’uscita percorribile. Ricorso al MES (fondo salva-stati) riformato, stracarico di condizionalità e garanzie. Perché chi pensava che far passare il DDL “Concorrenza” a tempo di record sarebbe bastato, probabilmente nei giorni scorsi era al mare o a Trento e non davanti a un terminale di negoziazione a guardare le montagne russe del nostro Btp. E con il Patto di stabilità sospeso per un altro anno, stavolta anche l’alibi dell’austerity tedesca rischia di non attecchire.