Il Carcere delle Vallette è, per la cittadinanza attiva torinese, motivo di grande preoccupazione

Più di 400 firme sono state raccolte all’interno della sezione femminile del Lorusso e Cotugno per sollecitare la liberazione anticipata speciale.

Le donne in stato di restrizione della libertà personale all’interno dell’istituto penitenziario torinese raccontano che da due anni stanno cercando un dialogo con le Istituzioni  affinché sia applicata la normativa che prevede la liberazione anticipata speciale: una misura premiale che consiste in una riduzione di pena di 45 giorni per ogni semestre di pena espiata, ed è concedibile dal Magistrato di sorveglianza, a quanti, condannati a pena detentiva, abbiano dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione.

Le donne detenute denunciano che stanno continuando a portare avanti una lotta nonviolenta,  la Ministra Cartabia, in visita al Lorusso lo scorso marzo, non ha visitato il blocco femminile, circostanza per la quale si dichiarano fortemente amareggiate.

Le Mamme in Piazza hanno da tempo costruito un rapporto umano, empatico, improntato alla sorellanza, con le donne all’interno del carcere torinese, verso le quali continuano, tramite costante rapporto epistolare, un’azione di sostegno alla vita certamente non facile tra le mura della casa circondariale. Si sono fatte promotrici di questa petizione.

Sono molti gli argomenti di cui gruppi, comitati, sigle, della cittadinanza attiva torinese si stanno occupando, partono dall’individuazione di esigenze, di solidarietà, di ricerca di coesione sociale quanto mai oggi  ineludibili.

E accorato l’appello delle detenute che si chiedono: “Se le rivolte e le proteste sono da condannare… ma anche gli inviti al dialogo non vengono accolti… come dobbiamo fare per esprimerci? Vi assicuriamo – continua lo scritto – che se uno cambia vita lo fa da solo, non è certo grazie alla detenzione così concepita. “.

E inequivocabile il richiamo alla funzione rieducativa della pena, molto disattesa e non solo nella nostra città. Tuttavia qualcosa sembra muoversi, i Garanti Nazionale e territoriali su questo punto sono molto attivi, Lo Russo ha fatto dichiarazioni incoraggianti, certo la rieducazione è un pilastro della sicurezza dei cittadini, il motivo è di tutta evidenza: una persona riabilitata non tornerà a delinquere.

I detenuti sono vittime di stigma, la riabilitazione, molti denunciano, è notevolmente più difficoltosa del dovuto, ostacolata dai molteplici problemi del sistema penale italiano, di cui il carcere delle Vallette è la pecora nera, la speranza di molti è che possa non esserlo più il prima possibile.

“La vergogna è dover pagare un debito con la giustizia in luoghi in cui la legge stessa non viene rispettata!” continuano le donne nella lettera.

Viene toccato un punto che ci vede molto sensibili. Il fatto che lo Stato da una parte non rispetti le leggi e dall’altra pretenda che il cittadino le rispetti, è una profonda ingiustizia, un deprecabile atto discriminatorio. E’ una questione denunciata dalle associazioni che si occupano del sistema penale, ma che attiene anche ad altri ambiti della detenzione, quella amministrativa, esercitata nei centri per i rimpatri – anche in questo caso le denunce sono incessanti – ancora meno normati, soggetti ancor di più ad un non punibile arbitrio.

E’ una questione tra l’altro estremamente diseducativa che inficia profondamente proprio l’aspetto riabilitativo, inevitabilmente basato anche sul coinvolgimento in un ambiente di buone regole, di valori, di rettitudine.

“La vergogna sta nel considerare le carceri come un non luogo, anzi in cui mischiare persone sane e persone con problemi psichiatrici e pensare che tutto venga gestito dai detenuti o dai poliziotti, e i medici dove sono? La salvaguardia della salute non è per tutti?”

Sono domande le cui risposte evidentemente non arrivano, è un problema sistemico grave, consumato sulla pelle delle persone.