Il clamoroso gesto dell’attore Will Smith che ha colpito con uno schiaffo il comico Chris Rock reo di avere pronunciato una battuta sulla moglie, l’attrice Jada Pinkett, durante la cerimonia degli Oscar, ci induce ad alcune riflessioni, al di là del mero fatto di cronaca. 

Siamo spesso abituati a considerare il concetto di “onore” come un codice residuale, una “spia” del passato che ci racconta storie di uomini e donne, di società e regole in un sistema di valori fortemente diversificato, pur all’interno di una sostanziale omogeneità. Numerosi studi storici e antropologici ci hanno narrato le varie sfaccettature che esso acquista, nel tempo, in vari contesti, come violenza o vendetta, ma anche come coraggio, protezione, difesa del patrimonio, del prestigio, della famiglia, dello status sociale e del potere acquisiti. Ed è grazie a questi canoni che il concetto dell’onore troverà ampio spazio proprio nei codici di sistemi criminali, come la mafia o la camorra, che attorno ad essi costruiscono una loro “letteratura”, più o meno romanzata e che affonda le radici nello stereotipo del mafioso come “uomo d’onore”, il cui valore di difesa del clan criminale e/o familiare risulta essenziale per il suo prestigio sociale. 

Se l’onore appartiene fondamentalmente agli uomini, è pur vero che le donne ne sono spesso custodi, come di frequente avviene nelle famiglie più tradizionalmente mafiose all’interno delle quali la figura di madre e moglie acquista un proprio ruolo grazie alla salvaguardia di questi valori. Gli uomini, destinati per nascita a difendere il proprio onore, creano attorno alle donne un circuito protettivo in grado di respingere ogni attacco esterno: togliere l’onore ad una donna significa infatti colpire non solo e non tanto lei, quanto il prestigio dell’intero nucleo familiare. Il confine tra onore e disonore è talmente labile che il rifiuto da parte di alcune donne, inserite in contesti mafiosi, di seguire o addirittura trasmettere ai propri figli i valori tradizionali familiari non può che essere considerato un vero e proprio oltraggio da condannare e reprimere talvolta con estrema ferocia, proprio come atto dimostrativo di difesa del codice morale e sociale del clan familiare. 

Ma è soprattutto il corpo delle donne che deve essere difeso da attacchi e offese, dal semplice sguardo a gesti, battute o veri e propri atti di violenza fisica che reclamano una vendetta in grado di ristabilire, simbolicamente, un equilibrio sociale e una risistemazione dei ruoli gerarchici garantiti dalla onorabilità sessuale e dal prestigio maschile nella famiglia e nella società. Ed è per questo che lo stupro si configura, fino al 1996, come un crimine contro la morale pubblica e non contro la persona che subisce una violenza sessuale. 

Possiamo considerare l’onore un concetto interclassista? Sicuramente i reati a difesa dell’onore offeso, dalle risse alle vendette agli omicidi, hanno trovato una propria collocazione all’interno di comportamenti che vengono manipolati e giustificati in contesti sociali diversi, non necessariamente un privilegio dei ceti ai vertici della scala sociale. 

Qualcuno è in grado di evidenziare sostanziali differenze tra un pugno sferrato all’uscita di una discoteca da un ragazzo che difende la sua donna da una battuta o da uno sguardo di troppo di un altro ragazzo e lo schiaffo di Will Smith al malcapitato e avventato comico? O dal “tieni il nome di mia moglie fuori dalla tua fottuta bocca” pronunciato dall’attore tornato a sedersi dopo il gesto plateale, da un “tieni gli occhi lontani dalla mia ragazza” forse pronunciato dal ragazzo di cui sopra? Qualcuno saprebbe notare una qualche differenza tra lo sguardo stupito o mortificato? Turbato dal gesto, vogliamo sperare, dell’attrice Jada Pinkett Smith, “Sua moglie”, da quello della ragazza dell’ipotetico compagno che ha solo difeso la “Sua compagna” da un qualcosa che riteneva oltraggioso per lei e, di conseguenza, per il suo onore?  

Nel tentativo estremo di giustificare quanto avvenuto, Smith, con un farneticante discorso per il ritiro del premio come miglior attore, si lancia in una strenua difesa della “Sua famiglia” perché l’amore, si sa, “ti fa fare cose folli”. Forse ti fa anche picchiare o uccidere la persona che credi di amare, solo perché lei non ti ama più o si è semplicemente stufata di essere considerata un essere debole da difendere e da proteggere come un animale in gabbia. 

Certo non è il caso del democratico, intelligente, famoso e pluripremiato interprete che ha solo difeso, come in molti si sono affrettati a commentare, una moglie malata e non in grado di difendersi da sola (non ci è dato saperlo purtroppo), da una battuta stupida e fuori luogo dello scemo del villaggio. Ma il DNA di una società patriarcale e maschilista ha giocato un brutto scherzo a Will Smith!