Il “secolo breve”, così lo storico Eric Hobsbawm definiva il ‘900, si è trasformato improvvisamente in un “secolo lungo”. È una guerra novecentesca quella che si combatte in Ucraina, una guerra di missili, carri armati, raid aerei che si abbattono non solo su obiettivi militari strategici e sull’esercito ucraino, ma sulle città e sulla popolazione civile con l’intento di fiaccarne la resistenza. 

Una strategia precisa, adottata in tutte le guerre del ‘900 studiate sui nostri manuali di storia. Una lunga scia di violenze che dalle guerre mondiali, se vogliamo rimanere fedeli alla cronologia di Hobsbawm, ci fa rivivere gli ultimi scenari di atrocità delle milizie serbo-bosniache nella guerra dei Balcani, i genocidi in Ruanda, la guerra civile in Siria.  

Guardando le immagini di distruzione totale, di violenze perpetrate sulla popolazione civile non si poteva certo essere così ingenui da non considerare che anche la sistematica pratica degli stupri sulle donne non venisse ripresa come potente arma di guerra.  Perché il messaggio che si vuole dare è forte, potente, più delle bombe e della guerra guerreggiata, è un messaggio di profanazione, di annientamento simbolico del corpo femminile e, con esso, dell’intera comunità, non solo familiare, a cui questo corpo appartiene. 

E come gli edifici, le case, le macchine e tutto ciò che può essere distrutto in una guerra, i corpi delle donne diventano l’oggetto-simbolo di una società patriarcale che li possiede e custodisce gelosamente. Violare il corpo di una donna vuol dire penetrare nel più profondo dei dogmi della violenza patriarcale, quello della trasmissione del patrimonio genetico, familiare, culturale, sociale della comunità che si vuole colpire. 

Così come le donne italiane, greche, belghe, russe, tedesche, coreane, filippine, cinesi durante le guerre mondiali, così come le donne bosniache, nigeriane, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo, anche alle donne ucraine è toccato rivivere l’orrore degli stupri di guerra, delle violenze nel corpo e nell’anima, delle gravidanze e dei figli i cui padri, i conquistatori, vogliono mostrare, generandoli, tutta la loro potenza maschile e razziale. 

Historia magistra vitae, «la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità», le parole di Cicerone sulla funzione benefica ed educatrice della Storia hanno un amaro sapore per tutte noi e possono essere facilmente capovolte nel loro significato, quando riguardano le donne: la storia è una cattiva maestra che continua a perpetrare i crimini contro il genere femminile, messaggera di violenze e abusi che permangono intatti nella memoria, dall’antichità ai giorni nostri.