La vicenda ci è stata comunicata “in tempo reale” dallo sportello “Prendocasa”, uno sportello di assistenza per le persone in emergenza abitativa

G. e P. sono sfrattati, questa mattina si è presentato alla porta l’ufficiale giudiziario insieme al fabbro, una situazione nella quale nessuno di noi vorrebbe trovarsi.

G. e P. fanno parte delle persone nella “zona grigia”, coloro che hanno un reddito ma che non è sufficiente per pagare l’affitto, le bollette, il cibo, i vestiti. Persone che non hanno un reddito che garantisca loro una vita minimamente dignitosa.

Sono seguiti dai servizi sociali del distretto nord-ovest, la cui sede è in via Valdellatorre 138. A seguito dello sfratto la soluzione prospettata dai servizi sociali è il dormitorio per entrambi, ovvero una soluzione disperante, ma non solo: la separazione. I dormitori sono suddivisi tra maschili e femminili, G. e P. non sono sposati, ma sono una coppia.

Dopo una lunga e a tratti aspra interlocuzione alla fine si addiviene ad una soluzione meno deprivante, ovvero una stanza, per entrambi, in una struttura per le emergenze abitative, tra l’altro avendo un minimo di reddito potrebbero contribuire ad una seppur minima pigione.

E una storia tra mille, ma che abbiamo deciso di raccontare per evidenziare quelli che sono gli aspetti di una vera e propria drammatica piaga sociale preesistente che il Covid ha reso parossistica: l’emergenza abitativa, le sue conseguenze e la sua gestione.

In un discorso più generale c’è, come più volte abbiamo denunciato, una tanto “rassegnata”, quanto francamente vergognosa, carenza di edilizia popolare, figlia di un altrettanto vergognoso smantellamento del welfare che, oggi lo vediamo, induce l’acqua alla gola a milioni di famiglie, vittime di una precarietà economica figlia di una forbice sociale che vede responsabilità politiche assolutamente bipartisan.

Da ciò che possiamo vedere, purtroppo, l’informazione mainstream, pur magari occupandosi di fatti di cronaca, difficilmente fa riferimento alle radici dei problemi. Eppure il fatto di cronaca è semplicemente l’epilogo di situazioni che sono vittime di scelte, o non-scelte, politiche

Ricordiamo che nelle disponibilità di Cassa Depositi e Prestiti “ci sarebbero” 2,5 miliardi di euro di fondi ex GESCAL, che, in base a quanto denunciano le associazioni, sarebbero spariti, o meglio: sarebbero stati “ritrovati” solo 900 milioni. Questi 2,5 miliardi , se destinati con criterio all’emergenza abitativa, potrebbero risolvere il problema a livello nazionale.

Ma non solo, sempre secondo le denunce delle associazioni che continuano a fare ricerca sul problema, risultano quantità ingenti di appartamenti di proprietà di grossi gruppi, spesso acquisiti da mutui in sofferenza, che non vengono affittati, né venduti: verrebbero utilizzati come garanzia patrimoniale per operazioni finanziarie speculative. Questo tra l’altro ha l’effetto di “drogare” sia il mercato immobiliare che il prezzo degli affitti.

C’è poi un altro aspetto: quello che riguarda la gestione del post-sfratto da parte dei servizi sociali di Torino. Questa vicenda ha avuto per queste persone, nel disastro esistenziale del perdere la casa, una soluzione non  a rischio di esclusione sociale: rischio concreto che si prospetta quando si finisce in un dormitorio, simbolo implacabile della sconfitta. Un gorgo dal quale è difficilissimo uscire e riguadagnare il reinserimento sociale.

La precarietà socio-economica alla quale sono condannate milioni di persone, che impedisce loro di vivere con un minimo di dignità, è una condizione che incide profondamente nella salute sia fisica che mentale. Il risparmiare in welfare fa spendere in servizio sanitario nazionale. Inoltre il rischio di esclusione sociale può indurre ad un arrendersi che conduce nella zona degli esclusi, una strada quasi sempre senza ritorno, ma in taluni casi può indurre ad intraprendere strade “devianti”: la disperazione è una pessima compagna di vita. Una situazione diffusa di malessere e precarietà non fa altro che rendere molteplici e molto più a portata di mano queste strade.

Il fatto che per G. e P. si sia arrivati ad una soluzione meno drammatica solo a seguito di una interlocuzione serrata pone degli interrogativi. Innanzitutto è difficile non pensare che da parte dei servizi sociali non ci sia un criterio protocollato “al ribasso”, l’adozioni di soluzioni “semplici” a problemi che per le persone in difficoltà sono vere e proprie tragedie.

Siamo tuttavia indotti a pensare che questo possa dipendere da una carenza di personale e dotazione economica. Che gli uffici preposti, oberati di emergenze, cerchino di far fronte con soluzioni routinarie per evitare di affondare nella tempesta di una situazione che si fa sempre più drammatica.

Non resta che auspicare fortemente un processo di riforma dei servizi sociali torinesi che riguarda in primo luogo la consistenza delle dotazioni e la quantità di personale. Più in generale, naturalmente, sono ormai ineludibili serie politiche di edilizia popolare e di welfare.