La narrazione della guerra tra Russia ed Ucraina nei media occidentali ha ormai assunto il carattere della voce di parte, unica e monolitica, il cui scopo sembra essere soltanto quello tipico degli schieramenti militari e del compattamento del fronte interno, con la demonizzazione acritica del nemico e con la santificazione della parte amica, fino ad arrivare all’inverosimile e al ridicolo, con la cancellazione della presenza di direttori d’orchestra, fotografi e  quant’altri dalle manifestazioni artistiche, e con l’allontanamento degli atleti dalle paralimpiadi  solo perché di nazionalità russa.

Certo la propaganda mainstream di casa nostra ha trovato terreno facile a partire dalla folle e criminale occupazione russa (e sottolineo “folle e criminale”). In questo modo trent’anni di espansionismo della Nato verso i confini della Russia, così come trent’anni di guerre americane e occidentali  altrettanto folli e criminali, (in Iraq, in Afghanistan, nella Bosnia, etc.), sono divenute questioni secondarie e condannate all’oblio, compreso le sofferenze, che si perpetuano ormai da generazioni, dei popoli palestinese e curdo, mentre i nostri schermi televisivi si riempiono giustamente (e sottolineo “giustamente”)  ma solamente, di quanto sono costretti oggi a subire gli ucraini, affermando di fatto la logica etnocentrica e razzista dei figli e dei figliastri. Esempio eclatante la Polonia che accoglie i profughi bianchi ed europei a centinaia di migliaia, ma respinge chi ha la pelle nera o viene da conflitti più lontani.

Si tratta, come si può ben vedere, di questioni e argomenti, per la verità, già ampiamente proposti e discussi nell’ambito della sinistra critica e non solo, e sui quali non tornerei, se non per sottolineare un aspetto che invece mi pare rimasto sotto traccia.

Se ci fate caso tutta la politica dell’informazione, nel suo tentativo di compattare le fila, si basa sulla  centralità della difesa del “mondo libero” contro il dittatore venuto da est. Su questa pretesa dell’occidente di essere il depositario esclusivo dei valori di libertà c’è molto da dire, e lo diremo in seguito. Ora però ci preme sottolineare come questa retorica, sulla quale l’occidente cerca di legittimare la sua presunzione di superiorità sul resto del pianeta dalla fine del secondo conflitto mondiale, finisce con l’essere un arma molto efficace per controllare  l’opinione pubblica, almeno entro i propri confini che vanno dall’Europa al Nord America. Mi pare molto significativo, a tal proposito, il fatto che un sondaggio realizzato alcuni mesi fa in Finlandia sulla possibilità di aderire alla NATO, che aveva ottenuto il 25% dei consensi, ripetuto dopo l’occupazione dell’Ucraina, ha visto i favorevoli risalire al 55% circa. Più in generale bisogna ammettere che se i paesi dell’est, dopo la fine del Patto di Varsavia, sono stati progressivamente fagocitati entro l’Alleanza Atlantica, non si può pensare che questo sia dovuto solo alle scelte di una classe dirigente interessata e opportunista, senza che ci fosse al contempo  un certo consenso anche da parte dell’opinione pubblica. Insomma è vero che nel comune sentire dei popoli dell’occidente la propria casa è considerata luogo di privilegi e di maggiori libertà.

Come si giustifica tutto questo? Per quanto possa sembrare paradossale per la cultura anticapitalista e libertaria alla quale appartengo, la risposta è che l’opinione media ha ragione: l’occidente è effettivamente il luogo dove i valori di libertà e i diritti umani si sono storicamente affermati, almeno nella forma in cui noi oggi li conosciamo. L’equivoco (e l’inganno) stanno piuttosto in altro, e specificatamente nell’idea che tutte le conquiste dei popoli e della convivenza civile nella nostra parte di mondo, sono da ascrivere all’ascesa e all’affermarsi del capitalismo, al punto che diritti e profitti sono spesso associati nella definizione del cosiddetto “modello occidentale”. Ma le cose non stanno così. 

Nella storia dell’occidente ci sono tre secoli di lotte, rivolte e rivoluzioni. Tre secoli di sofferenze e di sangue versato perché piccoli spazi di autonomia , di libera scelta, di autorganizzazione e di decisione dal basso si potessero affermare e poi riaffermare nel tempo. La storia dell’occidente è quella di una costante dinamica conflittuale che ha visto, da un lato l’affermarsi del dominio capitalista, dall’altro il consolidarsi di una tradizione libera e democratica di matrice popolare e proletaria capace di imporre (più o meno, secondo i momenti) contenuti di mediazione. 

In questo processo si è forgiato lo stesso capitalismo, affinando le sue stesse armi di dominio, anche passando per atroci dittature come quelle fascista e nazista, e poi ancora nel dopo guerra in Spagna e Grecia. Infine un certo livello di libertà e di diritti si è affermato come inevitabile, seppure spesso interpretato in un senso puramente formale e non sostanziale. Ciò  non significa che la repressione del dissenso sia scomparsa. Diciamo piuttosto che si è fatta più selettiva, affidata a polizia e magistratura quando necessario, ma poi anche a forme più subdole di soft power , di controllo sociale e di manipolazione delle coscienze. In un contesto che comunque è destinato a peggiorare, in considerazione del fatto che, nella logica neo liberista dominante, gli spazi di mediazione sociale si stanno assottigliando. Ma il modello capitalista occidentale ha fatto di più!: La (non)etica  capitalista si è appropriata della stessa idea di libertà, coniugandola nel senso egoistico dello Homo oeconomicus. L’individuo “imprenditore di se stesso”, in continua lotta col mondo per autoaffermarsi, o anche solo per sopravvivere. Una idea di libertà che guarda solo verso se stessi, invece di darsi come patrimonio comune, così come l’avevano concepita intere generazioni di nostri avi, in secoli di lotte per l’emancipazione.

Ma ciò che forse stride maggiormente con l’dea dell’occidente come “mondo libero”, è il volto imperiale, aggressivo e guerrafondaio, che ha caratterizzato la storia dell’Europa prima, e degli Stati Uniti poi, nei confronti dei popoli del resto del pianeta e in concomitanza con l’affermarsi del capitalismo. Dalla distruzione delle culture amerinde, a seguito della conquista, allo schiavismo, all’epoca coloniale dell’imperialismo ottocentesco, fino agli anni recenti in cui, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti si sono auto investiti del ruolo di polizia globale e difensori dei valori del “mondo libero”, ma in realtà portando guerra e distruzione in ogni angolo della terra.

Ciò che è veramente sorprendente nello scontro geopolitico è che la Cina, che nel suo modello di sviluppo capitalistico prevede per i suoi cittadini diritti e margini di libertà sicuramente inferiori agli standard occidentali, in realtà si muove nello spazio globale con molta più accortezza e circospezione degli USA, preferendo affermare la propria egemonia (almeno per ora) con accordi di collaborazione commerciale ed esportazione di tecnologie e progetti produttivi, lasciando ad altri carrarmati e portaerei, e facendo fare agli americani la figura della “tigre accerchiata”, aggressiva e guerrafondaia. Da questo punto di vista, l’attacco di Putin  all’Ucraina sembra pensato più in stile a “stelle e strisce”, che in stile cinese.

In conclusione: come dobbiamo comportarci per respingere la guerra e promuovere la pace?. Mi capita spesso discutendo nei social, anche con vecchi amici e compagni di tante battaglie, di sentirmi dire che parlare dei diritti negati e delle sofferenze per esempio dei curdi e dei palestinesi o delle colpe dell’occidente, è fuori tema, mentre quello che oggi conta è armare l’Ucraina per difendere la libertà e vincere la guerra contro l’aggressore. Niente di più errato. Se veramente vogliamo affermare i valori della pace, delle libertà e dei diritti umani come indisponibili e non negoziabili, e come nostro patrimonio storico, non identitario ma di “identità aperta”, e quindi in sostanza come valori meritevoli di riconoscimento universale, allora partecipare alla guerra significherebbe tradire noi stessi, significherebbe avere già perso.