Lo abbiamo già scritto, la drammatica vicenda di Wissem Abdel Latif, 26 anni, ha scosso, come fu per la morte di Moussa Balde, 23 anni, l’opinione pubblica

La storia di Wissem è storia di ordinaria “tunisinità”: arrivo, nave quarantena, CPR, Palermo (così ci risulta), decollo charter per il rimpatrio, in manette, come denunciato dal Garante Nazionale. Una macchina costosa e perfettamente oliata: un giro di giostra e via.

Questa non è solo storia di CPR, questo è un aspetto più ampio e finora forse non trattato: è una morte “di respingimento”, noi, di fatto, li stiamo uccidendo. Lo stiamo facendo in Libia, nel Mediterraneo, ai confini con la Croazia, ai confini con la Polonia e nella nostra “civilissima” Italia. Questi sono i risultati delle politiche europee e italiane sulle migrazioni.

Nei CPR il “compenso” pro-capite riconosciuto agli Enti gestori per ogni migrante detenuto è mediamente superiore di oltre 10 euro alla ridicola somma riconosciuta ai centri di accoglienza, che avviano all’integrazione i richiedenti asilo.

Questa morte rappresenta un altro insidioso squarcio di verità su un sistema che si basa su carte, procedure, firme, nomi storpiati che cambiano di documento in documento: cosa manca? Manca la cosa fondamentale: mancano loro, le persone, gli esseri umani.

E quindi Wissem dalla nave quarantena si è visto titolare di una richiesta di rimpatrio immediato da parte dell’Autorità, “Dottoreeeee, c’è da firmare”, e quindi pronto per il “trattamento” che gli spetta: una detenzione a fini di rimpatrio all’inferno, il CPR. Trattenimento prontamente convalidato da un mero Giudice di pace. Ci risulta da fonte attendibile che a Milano uno di questi giudici fotocopiasse le sentenze con i nomi in bianco. 300 secondi e via. 300 secondi: questa, secondo studi indipendenti, è la media del tempo delle udienze di convalida e proroga delle detenzioni nei CPR.

Il CPR di Roma funziona secondo standard minimi previsti, l’Azienda sanitaria è intervenuta tramite il Dipartimento di Salute Mentale, anche questa, circostanza tutta da chiarire. Wissem, schiacciato da questa catena di montaggio per indesiderati, muore.

Wissem non era un “pericoloso pregiudicato”, era solo un ragazzo tunisino, eppure, anche lui, è morto nelle mani di uno Stato che non lo voleva. Morte per “arresto cardiaco”,  chiunque muore per arresto cardiaco, si muore perché il cuore si ferma, ma il perché il cuore del ragazzo tunisino si sia fermato, ovvero la reale causa della morte, resta tutt’ora da chiarire.

Il Ministero dell’Interno, che gestisce “fattivamente” le politiche sull’immigrazione è davvero nell’occhio del ciclone, la storia di Wissem, avvenuta nella Capitale, è un aspetto estremamente insidioso, come lo è la storia che ha travolto l’ex Prefetto Michele Di Bari, che, come tale, era funzionario del Viminale.

Squarci di verità che stanno minando l’ossessivo silenzio istituzionale che permette alle istituzioni di tentare di muoversi “agevolmente” nelle pieghe di supposti e purtroppo, talvolta reali, vuoti normativi.  Ma le norme non prevedono la violazione del diritto alla richiesta d’asilo, il diritto della persona migrante di essere scrupolosamente, e comprensibilmente per lui, informata su diritto e modalità di richiesta di protezione internazionale.

Purtroppo, in assenza di competenze, soldi, e contatti in Italia, i richiedenti non fanno ricorsi e lo Stato agisce “indisturbato”. Inascoltate le raccomandazioni del Garante Nazionale delle persone private della libertà personale.

Il CPR di Torino è travolto da un’inchiesta giudiziaria, vedremo se la Procura di Roma eserciterà fino in fondo la propria indipendenza dagli altri poteri dello Stato facendo piena luce su responsabilità dirette e indirette.

La questione sta diventando rilevante anche in Tunisia, partner di un accordo bilaterale di rimpatrio che permette questa efficiente e oliata macchina dei respingimenti. E’ possibile che la triste morte di Wissem possa rappresentare il “granello di sabbia” che inceppa la “macchina”.

Se non avverranno cambiamenti radicali, le morti continueranno, così come la vergogna di essere italiani.