1. Si è conclusa nel migliore dei modi l’operazione di ricerca e salvataggio (SAR) di 350 migranti soccorsi nella notte tra venerdì 19 e sabato 20 novembre scorsi, al limite della zona SAR italiana, con l’intervento di diverse unità della Guardia costiera, di un aereo ATR 42 della stessa Guardia costiera, di quattro navi commerciali e di un velivolo di Frontex. Una operazione tenuta nascosta per molte ore, e della quale sono arrivate le prime notizie per la tenace attività di informazione di Sergio Scandura di Radio Radicale, e soltanto con un giorno di ritardo da un comunicato dei comandi della Marina militare. Si è così appreso che la nave CP 940 Dattilo della Guardia costiera italiana ha imbarcato ieri i naufraghi, con trasbordi dalle motovedette più piccole, dirigendo poi verso Porto Empedocle, dove sono stati sbarcati i 350 naufraghi, in prevalenza siriani ed egiziani, soccorsi in acque internazionali ai limiti della zona SAR italiana. Altre 70 persone sono state soccorse nello stesso giorno in acque internazionali da una motovedetta della Guardia costiera e sbarcate nel porto sicuro di Lampedusa.

Sembra quasi che le autorità di governo italiane, ed i vertici delle centrali militari di coordinamento SAR non vogliano fare sapere agli italiani che le nostre unità navali hanno condotto una operazione di salvataggio esemplare, nel pieno rispetto degli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali, con un livello di professionalità che ci riporta agli anni trascorsi tra la strage di Lampedusa (2013) ed il Codice Minniti (2017), quando le unità della Marina militare italiana e della Guardia costiera, schierate nel Mediterraneo centrale anche dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, hanno contribuito a salvare la vita di decine di migliaia di persone. Come peraltro facevano anche le imbarcazioni e gli equipaggi delle navi delle ONG, coordinate in quel periodo dalla Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC). Prima che si scatenasse la campagna di criminalizzazione che ha avuto il suo culmine nei procedimenti penali aperti nei loro confronti, oggi quasi tutti archiviati, e nella propagazione di fake news dirette a spargere paura per una incombente invasione, che ha sconvolto il sentimento diffuso degli italiani, e che ancora oggi continua a produrre discorsi d’odio e strumentalizzazioni elettorali.

Si potrebbe pensare che questa reticenza e questi ritardi nel rendere noti gli eventi di soccorso (SAR) in acque internazionali, nei quali i nostri mezzi hanno salvato e poi sbarcato a terra in un porto sicuro centinaia di persone, siano condizionati dall’esigenza di non fornire altra benzina da gettare sul fuoco delle campagne d’opinione anti-migranti, materia assai sensibile in vista delle prossime scadenze elettorali. Di certo, con il passare dei mesi, soprattutto dopo la sospensione (dallo scorso agosto) dei fermi amministrativi delle navi delle ONG, a partire dal rispetto delle Convenzioni internazionali richiamate dal nuovo Piano SAR nazionale 2020, anche in luogo dell’applicazione più rigida del Decreto interministeriale n.150 del 7 aprile 2020, che ancora si richiamava al decreto sicurezza bis di Salvini, emerge in modo sempre più netto come l’ex ministro dell’interno, con i divieti di sbarco inflitti alle imbarcazioni delle ONG, anche contro pronunce di sospensiva emesse dai tribunali amministrativi, abbia violato regole internazionali e normative interne. A fronte delle prassi del ministero dell’interno, progressivamente adottate dopo l’uscita di Salvini dal Viminale, anche se il Decreto immigrazione e sicurezza n.130/2020 non ha modificato l’impianto di base del Decreto sicurezza bis n.53/2019 di Salvini, le navi delle ONG ricevono, seppure tardivamente, l’indicazione di un porto di sbarco sicuro. Sarà ben difficile che il ministro Lamorgese venga a testimoniare a Palermo nel processo sul caso Open Arms, confermando la politica dei “porti chiusi” su cui il suo predecessore al Viminale ha costruito, con divieti di ingresso arbitrari, i successi elettorali della Lega.

 

2. Il Piano Nazionale SAR 2020, oltre a ribadire gli obblighi di soccorso a carico dello Stato, in ottemperanza al Manuale IAMSAR (Manuale Internazionale di Ricerca e Soccorso Aero Marittimo) ed alle Convenzioni internazionali, stabilisce a carico delle autorità marittime precisi obblighi di fornire informazioni dopo operazioni di ricerca e salvataggio in mare. Il capitolo 7 del piano disciplina “i rapporti con gli organi di informazione”. Le notizie relative agli eventi SAR, a seconda della dimensione e della ubicazione dell’evento, devono essere “fornite direttamente dal titolare dell’U.C.G. (nella prima situazione operativa), ovvero dal Direttore Marittimo o dall’Ufficiale addetto alle relazioni esterne (nella seconda situazione operativa), ovvero dal Capo del 3° Reparto “Piani e operazioni” e dal Capo Ufficio Comunicazione del Comando Generale, o da persona delegata da quest’ultimo (nella terza situazione operativa), tenendo sempre adeguatamente aggiornata la catena gerarchica e acquisendo le previste autorizzazioni come da “Linee guida in materia di comunicazione istituzionale e relazioni esterne”. Tutto ciò al fine di diffondere notizie che abbiano caratteristica di univocità e di ufficialità”. Secondo i punti 710 n. 4 e 5 del Piano, le notizie fornite devono essere “date con tempestività, regolarità e cadenza fissa, possibilmente giornaliera” e risultare “concise, accurate, complete e coerenti”.

Un obbligo che peraltro esisteva già prima tanto che fino al 2018 i comunicati stampa erano assai frequenti e circostanziati e il Corpo delle Capitanerie di Porto pubblicava ogni anno un dettagliato rapporto delle operazioni SAR condotte in alto mare, dando conto anche del ruolo delle Organizzazioni non governative. Dopo il 2018, si potrebbe dire a partire dalla criminalizzazione dei soccorsi in mare, questo Rapporto non è stato più pubblicato, e sono sempre più rari i comunicati sui soccorsi operati, soprattutto se in acque internazionali, dove peraltro non si tengono più operative le navi della Guardia costiera italiana, che prima pattugliavano anche l’alto mare, ai limiti delle vasta zone SAR riconosciute a Malta ed al governo di Tripoli, un governo provvisorio che ancora oggi non ha il pieno controllo di tutte le coste libiche. Oggi si apprende solo dall’OIM il numero delle persone intercettate in acque internazionali e riportate in Libia, alla fine di quest’anno potrebbero essere più di 30.000 esseri umani, così come il numero di chi non è riuscito a completare la traversata ed ha fatto naufragio, già più di 1300 anime.. Persone, non soltanto numeri, di cui la grande informazione sembra ormai disinteressarsi, se non ci sono ragioni per fare propaganda elettorale.

Eppure, malgrado questo preciso obbligo di informazione, sembrano scomparsi nel nulla, nell’indifferenza generale, i dieci cadaveri sbarcati dalla Geo Barents ancorata dal 19 novembre di fronte al porto di Messina, dopo una operazione di soccorso in acque internazionali nella notte tra il 15 ed il 16 novembre, a seguito della quale la nave norvegese ha dovuto attendere oltre tre giorni prima di ricevere dal Ministero dell’interno la indicazione di un porto di sbarco sicuro. Le ultime scarne notizie, sul completamento del soccorso operato dalla Geo Barents, risalgono a venerdì 19 novembre soccorso, poi più nulla, mentre i sopravvissuti sono stati fatti sbarcare con una motovedetta della Guardia costiera e trasferiti a bordo della nave quarantena GNV Allegra ormeggiata nel porto di Messina, e la Geo Barents rimane costretta all’ancora in stato di quarantena di fronte alla costa di Messina ( località Pace),ma fuori dal porto. Dalla stessa fonte locale si è appreso soltanto che per fare posto  agli adulti trasferiti dalla Geo Barents sulla nave quarantena GNV Allegra, da quest’ultima nave sono stati sbarcati “136 migranti di varie nazionalità che hanno appena completato il periodo di quarantena e che verranno trasferiti in Centri di Accoglienza Straordinaria ubicati in Provincia di Agrigento (80 persone), nella Regione Abruzzo (29 migranti) e Umbria (25)”. Si è poi appreso, soltanto da Sergio Scandura di Radio radicale, che le salme delle 10 persone che hanno perso la vita si trovano presso l’obitorio comunale di Messina e potranno avere una degna sepoltura. Non si ha invece notizia di indagini aperte dalla magistratura.

Le notizie sull’accoglienza dei naufraghi a terra e le procedure di sorveglianza sanitaria (quarantena) sono sistematicamente coperte da un velo di silenzio. La nave quarantena GNV Allegra sabato 20 novembre è uscita di mattina dal porto di Messina ed è stata trasferita ad Augusta dove è giunta nel pomeriggio di ieri. Tutto questo non lo ha scritto nessuno, ma si ricava dalle rilevazioni grafiche del sistema Marine Traffic. Anche dare conto delle misure di prima accoglienza in favore di naufraghi soccorsi in acque internazionali, e per di più da una “odiata” ONG, evidentemente, in tempi di pandemia, ha una valenza politica ancora più forte che in passato. Anche queste persone sembrano destinate a scomparire nel nulla, all’interno di un sistema di accoglienza che dopo la ventata demolitoria del primo decreto sicurezza Salvini del 2018 non si è ancora ripreso, malgrado il Decreto immigrazione n.130 del 2020, e fatica a rispondere alle attuali esigenze di prima accoglienza.

 

3. Si nascondono anche i cadaveri dei naufragi sempre più frequenti a nord delle coste libiche. Non si comprende come si continui a riconoscere una zona SAR “libica” quando è ormai evidente come, al di là delle numerose intercettazioni, i libici non riescano a garantire una vera attività di ricerca e salvataggio. E neppure lo sbarco in un porto sicuro. Sembrano scomparire nel nulla le persone riportate a terra, come le vittime sempre più frequenti delle traversate del Mediterraneo centrale che non vengono soccorse dalle ONG, oggi in numero molto limitato, ed attardate da procedure di quarantena che neppure le ordinanze di sospensiva dei tribunali sembrano interrompere del tutto. Secondo quanto dichiarato sabato 20 novembre su Twitter da Safa Msehli, portavoce dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim),“oltre 75 migranti sono annegati mercoledì scorso dopo essere partiti dalla Libia, secondo le testimonianze di 15 sopravvissuti salvati dai pescatori e portati a Zuara. Questo è il costo dell’inazione…”. Così come non si è saputo nulla dopo l’ennesimo attacco dei libici ad una nave delle ONG, la Sea Watch 4. Come ha reso noto la stessa Ong tedesca: «La motovedetta ha intimato illegalmente alla nostra nave di lasciare la zona nonostante ci trovassimo in acque internazionali fuori dalla giurisdizione libica». Ancora in queste ore la nave rimane impegnata in attività di soccorso tra la zona SAR libica e la zona SAR maltese, nella totale assenza di mezzi di soccorso inviati dagli stati costieri. Non si sa neppure quando la ONG che oggi ha completato un altro soccorso ed ha 368 naufraghi a bordo, riuscirà ad ottenere un porto sicuro di sbarco (POS) dalle autorità maltesi o italiane e cosa stia davvero succedendo nelle ore in cui scriviamo. Anche le ONG dovrebbero aumentare il loro impegno nel fornire informazioni tempestive, ed utilizzare canali diversi da Twitter, con una più diretta chiamata di responsabilità nei confronti degli organi di informazione e delle autorità politiche. I percorsi di solidarietà si rafforzano a partire da una comunicazione immediata ed accessibile, magari direttamente in lingua italiana.

Dietro le “responsabilità dell’Unione europea” che si invocano di frequente, e che trovano conferma nel sostegno che gli assetti aerei dell’agenzia Frontex garantiscono alle autorità libiche che poi intercettano i migranti in acque internazionali, con le conseguenti torture ed estorsioni ormai note a tutti, non si può nascondere la responsabilità dei governi e dei vertici militari nazionali. Che, anche quando sono costretti ad intervenire dal lavoro di denuncia dei pochi giornalisti indipendenti che si occupano ancora di questa materia, fanno di tutto per nascondere la dinamica degli eventi, la dimensione tragica dei naufragi, e le responsabilità istituzionali. Fino al punto di tacere sullo sbarco di cadaveri in un nostro porto, o ad omettere qualsiasi notizia sui periodici naufragi di centinaia di persone in quella zona SAR (ricerca e salvataggio) indebitamente riconosciuta al governo di Tripoli, dopo il Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli, firmato da Gentiloni del 2017, prorogato fino ad oggi con un voto bipartisan, per consentire le intercettazioni in acque internazionali e per ridurre il numero degli “sbarchi” in Italia, non certo per salvaguardare la vita umana in mare.

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