Un altro incontro ieri alla scuola Holden, un incontro dal titolo suggestivo, evocativo

Una parafrasi di un verso del Talmud che ci mette di fronte ad una scelta etica molto precisa e ne suggerisce la naturale risposta: per salvare il mondo, e gli scienziati ci dicono quanto sia in pericolo, dobbiamo anche salvare vite.

Hanno partecipato:
Luciano Scalettari – presidente ResQ
Sabika Shah Povia – giornalista
Marta Bernardini – M-Hope, programma rifugiati e migranti della Fcei
Paola Barretta – coordinatrice Carta di Roma
Federica Tourn (moderatrice) – giornalista, già coordinatrice di Riforma.it

Scalettari ha raccontato la storia della genesi di ResQ, un’associazione nata da un piccolo gruppo di persone, persone della società civile, professionisti di varia natura, che hanno cominciato a pensare di acquistare una nave e di salvare vite nel Mediterraneo.

“Eravamo nella fase forse più ‘cattivista’ del governo, si parlava di chiudere, di respingere”, poi c’è stata la pandemia, un’ulteriore difficoltà che i fondatori di ResQ hanno incontrato.

“Quando abbiamo annunciato la nascita di ResQ in una conferenza stampa a Milano, abbiamo avuto una risposta superiore ad ogni aspettativa, siamo arrivati a 500 associati in due settimane, abbiamo ricevuto circa 1.000 mail. Tutto questo ci ha fatto capire che quest’idea fosse molto più condivisa di quanto pensassimo”

ResQ è partita per il suo primo viaggio di salvataggio il 7 agosto 2021, ha salvato complessivamente 166 persone. Sono state proiettate alcune sequenze delle immagini di salvataggio.

Il Presidente della Onlus ha anche affrontato il tema della guardia costiera libica, è stata proiettata una clip video che documenta un intervento dei libici, che in virtù della maggior velocità della propria motovedetta hanno raggiunto un “barcone” di persone migranti prima della ResQ.

Il video è davvero inquietante: il capitano della ResQ chiama la vedetta della GC Libica dicendo: “Sapete che siete in zona sar (di competenza, n.d.r.) maltese?” La risposta è: “Andate via”. Il video continua mostrando le immagini dei militari libici che caricano a bordo le persone, anche un bambino: impossibile non provare, nel vedere quelle immagini, un’angoscia che letteralmente “stritola” lo stomaco.

Scalettari ha anche raccontato che quando si è trattato di individuare un “luogo sicuro” (come definito dalla Convenzione Sar di Amburgo del 1979)  per poter sbarcare i naufraghi salvati, Malta, che era lo Stato più vicino alla ResQ in quel momento, ha inviato una risposta “standard” che diceva che la questione non era di loro competenza, di rivolgersi al proprio Stato di bandiera (di registrazione della nave, n.d.r.) o in subordine alle Autorità italiane, essendo la Onlus registrata in Italia.

La ResQ ha sbarcato i naufraghi il 18 agosto nel porto di Augusta in Sicilia.

Marta Bernardini: “M-Hope dal 2014 ha istituito un osservatorio permanente a Lampedusa, in questi anni  ho visto moltissimi cambiamenti: i flussi non sono mai uguali,  cambiano le rotte, cambiano  le persone che arrivano, cambiano le condizioni nelle quali versano le persone che arrivano. Possiamo dire che oggi l’emergenza non siano gli sbarchi, ma le persone che muoiono in mare, la condizione delle persone migranti in Libia”.

A Lampedusa, ha continuato Bernardini, a luglio sono arrivati 60.000 turisti, e 6.000 persone migranti: nonostante Lampedusa sia il principale punto di arrivo degli sbarchi in giro per l’isola non si vede una persona migrante sbarcata, inoltre l’isola è un luogo di transito, le persone sbarcate vengono portate nei centri siciliani.

“Parlare quindi di emergenza, di pressione o di collasso è stridente rispetto a quello che abbiamo potuto osservare”.

“Il precipitare della situazione in Tunisia ha portato molte persone a partire, famiglie con bambini, anche con animali domestici, abbiamo sentito commenti negativi anche su questo aspetto: o le persone ci crollano davanti per fame, senza vestiti, debilitati, oppure non sono abbastanza disperate per colpirci. Queste persone semplicemente migrano, sono persone che portano via tutto quello che hanno: se tu non hai più modo di ritornare, non porti tutto via con te?”.

Anche Bernardini ha posto l’accento su quelli che sono nei fatti respingimenti a protezione dei confini europei, in particolare italiani, operati dalle vedette libiche: 5.000 persone (circa il 60% delle partenze) sono state riportate in Libia, che come ha ricordato Scalettari non rientra nei “luoghi sicuri” definiti dal Diritto Internazionale.

Chi sbarca a Lampedusa è devastato dal viaggio, ha continuato l’operatrice di M-Hope, e chi proviene dalla Libia porta sul proprio corpo evidenti segni di tortura.

“Noi parliamo di mare spinato, di mare reso spinato e letale dalle leggi, questo ci ha portato a sviluppare e realizzare un progetto di corridoi umanitari. I corridoi umanitari sono un modo per far arrivare legalmente e in sicurezza le persone. In questo momento il corridoio che abbiamo attivato riguarda il Libano; abbiamo anche sottoscritto con l’UNHCR un protocollo di evacuazione dalla Libia e si sta cominciando a negoziare su possibili soluzioni riguardanti l’Afghanistan. Facciamo tutto nell’ambito delle leggi europee, se delle piccole chiese, la società civile, ha indicato una strada percorribile, questa può tranquillamente essere percorsa anche dai Governi”.

“Quindi: sui corridoi umanitari bene, ma non benissimo, ci dovrebbe essere una risposta politica, non concessioni a singhiozzo, ma uno sguardo complessivo dell’Europa sulle migrazioni”

Federica Tourn ha posto l’accento sull’incremento degli stanziamenti di bilancio di Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere esterne europee, passati nel periodo 2005-2018 da 6 a 288 milioni di euro.

Sabika Shah Povia ha citato il rapporto 2020 dell’Associazione Carta di Roma che evidenzia il calo di attenzione da parte della galassia dell’informazione nei confronti della migrazione, dovuti alla pandemia, ma di un ritorno a livello lessicale, del termine “clandestino”.

La giornalista continua sottolineando che dai dati dell’osservazione del 2020, e che riguardano anche l’anno in corso, si osserva la quasi scomparsa di ciò che attiene all’accoglienza: “Nelle trasmissioni di prima serata e sulle prime pagine dei giornali l’accoglienza occupa circa il 4% dell’agenda contro oltre il 70% dell’dell’attenzione sui flussi migratori. Nei telegiornali in prima serata abbiamo contato in un anno solo 5 notizie che hanno tematizzato in modo specifico e puntuale i corridoi umanitari”.

“Riguardo all’attenzione che viene data ai flussi migratori la cornice prevalente, anche in un calo generale di notizie (sull’immigrazione, n.d.r.), tende ad essere allarmistica. Chi arriva via mare non viene intervistato, e chi si occupa di salvataggi rimane sullo sfondo perché ad essere centrale è la politica”

“Le persone salvate vengono collocate in una situazione di allarme che concentra l’attenzione sulla ripartizione, su chi andrà dove, il salvataggio diventa quindi un’occasione per parlare d’altro”.

Negli anni spiega Sabika Shah Povia si è osservato un effettivo calo dell’uso della parola “clandestino”: chiamare clandestini le persone che stanno cercando di raggiungere l’Europa è sbagliato, come diceva Giovanni Bellu, l’ex Presidente della Carta di Roma: “Chiamare clandestini tutti quelli che sono in mare è come chiamare ladri tutti quelli che sono al supermercato finché non arrivano alla cassa.”

Tuttavia, sottolinea l’esponente della Carta di Roma, tutte le volte che si avvicina un’elezione i politici utilizzano questo termine per fare campagna elettorale e i giornali la riportano, si osserva quindi un aumento dell’uso di questa parola  – nonostante ci sia una maggior consapevolezza diffusa nelle redazioni del fatto che sia un termine improprio – motivo per il quale questa parola non sparisce mai del tutto.

Ha poi raccontato l’evolversi della parola chiave maggiormente utilizzata nell’arco dell’anno nel periodo che va da 2014 al 2020.

Il 3 ottobre 2013 ci fu un naufragio al largo di Lampedusa in cui morirono 368 persone partite dalla Libia due giorni prima: nel 2014 la parola più usata fu “Mare Nostrum”.

L’anno dopo, Alan “Kurdi”, bimbo siriano di 3 anni, venne rinvenuto senza vita sulla spiaggia turca di Bodrum: la parola chiave per il 2015 fu “Europa”: cominciava a diffondersi l’idea che l’immigrazione fosse un problema che riguardava l’UE.

Si è cominciato quindi a parlare di quote, di redistribuzione delle persone migranti giunte in Europa, immediatamente i paesi dell’est dell’Unione si oppongono con forza, ecco che la parola dell’anno del 2016 è “muri”: in soli 2 anni si è passati dal principio di accoglienza, di “mai più morti in mare” che ha determinato “Mare Nostrum”, a “muri”.

Entrano quindi in campo le Organizzazioni non governative e ONG diventa la parola chiave del 2017.

Ma nel 2018 la parola chiave più usata è “Salvini”, quindi il racconto mediatico sulle migrazioni si è mano a mano politicizzato.

Nel 2019 la parola chiave rimane Salvini ma dopo il 29 giugno, data dell’attracco di Sea Watch 3 al porto di Lampedusa, “Carola”, il nome proprio della Capitana della nave Rackete, diventa una parola chiave altrettanto utilizzata.

Nel 2020 la parola più utilizzata dai media è “virus” quindi l’anno scorso il tema migratorio è passato in secondo piano, “E’ come se avessimo sempre bisogno di un nemico invisibile da combattere” spiega la giornalista, “prima era il migrante – lo abbiamo deciso noi – e poi è stato il virus”.

Tuttavia come il problema pandemico è parso mitigarsi, il tema migratorio ha cominciato a passare di nuovo in primo piano con la veicolazione di un messaggio che abbiamo già visto: il migrante untore che porta malattie, nel passato il colera, l’ebola, ora il coronavirus.

“Nel 2018 il primo sbarco che Salvini ha gestito è stato quello dell’Aquarius, è il momento in cui lui twitta la frase ‘Chiudiamo i porti’: in base a quel tweet, senza che fosse stato firmato e ufficializzato nulla – tra l’altro avrebbe dovuto firmare Toninelli – l’Aquarius non ebbe il permesso di sbarco in Italia”.

Successivamente, a dicembre, continua Sabika Shah Povia, Salvini twitta “porti chiusi”, e questo indica il livello di manipolazione mediatica: aveva promesso “chiudiamo i porti” per poi dimostrare che aveva mantenuto la promessa. Ma legislativamente non era cambiato nulla.

Molto spesso le persone migranti vengono raccontate come vittime, in un ruolo passivo, molto raramente si da loro modo di essere attive nei dibattiti televisivi, questo avviene anche sui giornali.

Ad esempio in televisione i politici ad oggi  sono circa il 40% delle voci, le persone migranti, quindi i protagonisti del fenomeno delle migrazioni, il 7%.