L’idea di trasformare l’ex-lebbrosario di Alito, nella regione dei Lango in Uganda, in un istituto scolastico è un vecchio sogno del missionario comboniano p. Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira. Il progetto mette in rete diversi attori: la Diocesi di Lira che mette a disposizione le strutture e i terreni, l’ong Cooperazione e Sviluppo a cui è affidato il compito di implementare il progetto e i donatori (VSO, alcuni soggetti privati e IPSIA del Trentino).

Un progetto pilota lungo quasi 3 anni: tempo prestabilito per far partire una scuola professionale, ma non una scuola professionale come siamo abituati a pensarla in Occidente. Una scuola invece più semplice, ma molto efficace: solo un anno di studio e tanta applicazione sul campo. Per riuscire a formare in così poco tempo dei buoni agricoltori serve innanzitutto la volontà degli studenti di imparare. Ma occorre anche dedizione da parte degli insegnanti, esperienze dimostrative che impressionino i novelli contadini, applicazioni immediate di ciò che si è visto in teoria per mettere alla prova ciò che si è acquisito, consulenze a distanza una volta che la frequenza scolastica è terminata per far sì che il patrimonio di conoscenze accumulato non vada disperso.

Un sistema di procedure non distante da quelle utilizzate nel dopoguerra anche da noi per trasformare l’agricoltura di sussistenza in agricoltura di produzione, come ad esempio fecero i Club 3P in Trentino e in Italia sul modello americano.

Non solo lezioni, quindi, ma soprattutto pratica… e non solo agricoltura, ma anche nozioni di imprenditorialità, perché la scuola è in “agribusiness”. Il “business”, inteso come “imprenditorialità” è uno degli elementi chiave di questa scuola: elemento innovativo e importante che spesso manca in Africa (ma non solo!), e assolutamente necessario per far partire nuove aziende familiari e dare impulso allo sviluppo economico di quell’area a vocazione rurale.

Un altro elemento chiave di questo progetto è la “responsabilità”. Responsabilità nel cercare di dare un futuro ai giovani con un progetto significativo, delle associazioni, della Chiesa diocesana, ma anche responsabilità della comunità.

Infatti gli studenti in questa scuola non si possono iscrivere a questi corsi solo per loro spontanea volontà. Sono invece studenti che vengono scelti dai capi-villaggio e “inviati” alla scuola, con la promessa che “restituiranno” quanto hanno imparato una volta tornati alla propria capanna, alle altre persone del proprio villaggio. Una scuola che a sua volta diventerà scuola per altri che invece non hanno avuto la fortuna di poterla frequentare.

Responsabilità quindi degli studenti, ad apprendere e a loro volta insegnare ciò che hanno appreso per creare tante piccole realtà contadine, per migliorare le coltivazioni dei propri vicini.

Una responsabilità che viene da lontano, da quando don Vittorione, il fondatore di Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo – aveva appoggiato la nascita del lebbrosario, e che ora invece è richiesta alla rete di associazioni coinvolte per dare un futuro ai giovani del posto ed evitare la loro fuga nella capitale (con tutti i rischi connessi di infilarsi nei vortici della criminalità). Il governo ha individuato il settore agricolo come il pilastro dell’economia ugandese date le enormi risorse naturali del paese, ciò nonostante l’impegno dei giovani in agricoltura è in declino, perché non considerato come un business redditizio. L’Uganda è uno degli stati con la popolazione più giovane al mondo (oltre il 78% della popolazione sotto i 30 anni) e con il tasso più alto di disoccupazione giovanile dell’Africa sub-sahariana.

Per cercare di aiutare i giovani agricoltori, si è quindi dato inizio, all’interno dell’istituto scolastico, anche ad una cooperativa di raccolta e prima lavorazione: un modo per riuscire a spuntare prezzi migliori sul mercato, sia nel caso della vendita dei prodotti che per l’acquisto del materiale necessario. Un progetto completo che ha subito attirato l’attenzione dei funzionari delle varie Agenzie delle Nazioni Unite che sono più volte venuti in visita alla scuola.

IPSIA del Trentino, grazie ai fondi della Cooperazione allo Sviluppo della Provincia Autonoma di Trento, ha potuto sostenere la ristrutturazione di buona parte del lebbrosario (due aule, i dormitori maschili e femminili – perché come spesso succede in queste aree remote le scuole funzionano anche da collegio -, la cucina, i bagni, il pozzo per l’acqua, l’impianto fotovoltaico, ecc…) ma anche l’acquisto di materiale scolastico, di strumentazione agricola, il supporto di un responsabile espatriato del progetto e da ultimo l’invio di un trattore dall’Italia.

Da quando gli studenti sono potuti entrare in questo istituto fino a quando – per via del COVID che anche in Africa sta mietendo vittime e bloccando l’economia – le lezioni (che ovviamente qui si possono fare solo in presenza) sono state sospese, oltre 300 ragazze e ragazzi di quelle comunità sono stati formati nella scuola in agribusiness di Alito.

Anche oggi le attività sono molto ridotte a causa della pandemia ma gli studenti che sono passati da questo istituto hanno già cominciato a lavorare la terra in proprio e i “semi di conoscenza e intraprendenza” che sono stati seminati in questi pochi anni passati stanno già portando frutto nei loro villaggi di appartenenza.

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