Nel 1968 nella fascia trasformata del ragusano si producono 2.160.000 quintali di ortofrutta sui 2.999.200 quintali prodotti a livello nazionale: si tratta (ISTAT 1969) dell’89% della produzione regionale e del 72 % di quella nazionale. Dieci anni dopo la provincia, con oltre 20.000 serre, produce ancora il 50% del prodotto nazionale, negli anni ’90 il 47% e i 2/3 di quella siciliana. Il solo mercato Fanello di Vittoria commercializzava 2 milioni di quintali di ortofrutta l’anno. Dati recenti gli attribuiscono un volume d’affari di oltre 600 milioni di euro l’anno, con merce movimentata quotidianamente da oltre 400 tir che partono per il Nord Italia e l’Europa; attorno ad esso ruotano più di 500 operatori, 3.000 produttori e circa 65 commissionari ortofrutticoli(cfr. Bascietto, 2003), che ne fanno uno dei primi mercati d’Italia per volume d’affari.

Secondo dati del 1997(SSN, Ragusa in cifre,1998) nei comuni della fascia trasformata erano attive 8.014 imprese agricole su un totale provinciale di 10.186; quelle attive in “ambiente protetto” occupavano complessivamente 7.350 ettari, per 1.600.000 quintali di pomodori, 720.000, di melanzane, 504.000 di peperoni, 350.000 du zucchine, ecc., cui vanno aggiunti i 571 ettari di coltivazione floricole. Ma dietro i pomodori si celano tante peculiarità: speculazioni, sfruttamento della manodopera, schiacciamento dei più piccoli da parte dei grossi proprietari, nocività e danni alla salute dei lavoratori addetti. Le serre nel primo ventennio occupano all’incirca 10.000 persone, rappresentando un settore all’avanguardia per lo sviluppo economico del Sud-Est siciliano, oltre che un forte freno all’emigrazione verso il Nord e l’estero, le cui condizioni di lavoro sono messe a dura prova: una forte incidenza di infortuni anche mortali dovuta all’esposizione alle alte temperature in estate e all’umidità nonché all’uso di fitofarmaci e diserbanti, si affianca ad una nuova schiavitù operaia, particolarmente aggressiva verso i braccianti e i compartecipanti, occupati con orari lunghissimi e redditi sempre più bassi. In questo periodo le rivendicazioni delle categorie vertono soprattutto sulla possibilità di ottenere prestiti e contributi in termini più rapidi, sui controlli alla salute, sul non essere sopraffatti dalle eccessive spese di gestione e produzione.

La vita nelle serre diventa dura, difficile: molti lavoratori dopo pochi anni sono fuori uso, mentre il settore vive un’espansione senza precedenti. Così negli anni ’70 arrivano tunisini e marocchini, disposti ad accettarne le dure condizioni di lavoro, agevolati da una ancora diffusa parcellizzazione della produzione; alcuni braccianti immigrati riescono a diventare piccoli proprietari acquistando o affittando le serre, vengono raggiunti dalle famiglie, si integrano nelle comunità locali e le loro condizioni economiche tendono a somigliare a quelle dei proletari autoctoni. Oggi circa la metà degli occupati in agricoltura in Sicilia sono stranieri, in gran numero rumeni e tunisini; staccati gli albanesi. Nelle serre, dove la manodopera non italiana si aggira attorno alle 20.000 unità, dal 2007 la concorrenza dei rumeni, che accettavano 10/15 euro al giorno, s’imponeva sui maghrebini, che avevano conquistato i 25/30 euro e cominciavano ad assestarsi in quanto a diritti riconosciuti, pur rimanendo tutti ancorati a ritmi di sfruttamento molto alti: per quelle cifre si era costretti a stare nella serra anche 12/14 ore. I rumeni, inoltre, essendo comunitari, non creano problemi di permessi di soggiorno, e vengono gestiti con maggiore tranquillità da padroni e padroncini: il lavoro nero si aggira sul 60%, ed è affiancato da quello “grigio”, che vede dichiarare solo la quantità di giornate sufficienti a poter godere della disoccupazione, la quale, si trasforma in un’elargizione padronale. Nella fascia trasformata si assiste ad un grande business di illegalità sulle spalle dei braccianti, in cui entrano in gioco caporali, padroni senza scrupoli, e un sottobosco di soggetti indispensabili ad assicurare la copertura al sistema.

 

l’estratto fa parte del contributo pubblicato nel volume collettaneo AA.VV., La fascia trasformata del ragusano. Diritti dei lavoratori, migranti, agromafie e salute pubblica, Sicilia PuntoL edizioni,  2021