La tragedia di giovedì 22 aprile, in cui almeno 130 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo, è una strage annunciata, come ormai purtroppo succede da molti anni nell’indignazione immediata di tuttə e nella successiva altrettanto totale indifferenza e assenza di volontà di intraprendere azioni concrete volte ad evitare queste stragi.

Da un lato assistiamo, da parte dei governi europei, ad una politica securitaria dei flussi migratori che impedisce l’accesso alla Fortezza Europa attraverso canali legali e sicuri, di fatto consegnando i migranti nelle mani dei trafficanti (vedi accordi con Turchia e Libia). Dall’altro c’è il progressivo ritiro dal Mediterraneo delle navi dei governi europei e l’assenza di un sistema di coordinamento dei soccorsi.

Dal 2014, più di 20.000 uomini, donne e bambinə sono morti o scomparsi nel Mediterraneo centrale, confermando il suo triste primato di rotta migratoria più letale al mondo. Nessuno degli accordi e provvedimenti adottati dagli Stati, dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum, è mai riuscito a far diminuire il tasso di mortalità. Le ONG hanno cercato di colmare questo vuoto ma le ripetute campagne di delegittimazione e criminalizzazione, passando dalla politica dei porti chiusi (Salvini) a quella dei blocchi amministrativi di molte unità (Lamorgese), ha di fatto reso sempre più difficili le operazione di salvataggio in mare. Il soccorso in mare non è solo un diritto del naufrago ma anche un obbligo giuridico degli stati, sancito dal diritto internazionale marittimo.

L’accordo con la Turchia nel 2016, che blocca la rotta balcanica, e quello tra l’Italia e il Governo Libico del 2017, sono due veri e propri atti di guerra contro le persone migranti. Lo sono per il numero dei morti che hanno portato con sé e perché hanno decretato politicamente la prevalenza delle frontiere sulla vita e sulla libertà di movimento. A fronte di oltre 40.000 morti nel Mediterraneo, dei quali almeno la metà negli ultimi 5 anni, sosteniamo che il controllo delle frontiere non può essere considerata prioritario rispetto al salvare vite umane, come ha sentenziato anche la Corte di Cassazione nel caso di Carola Rackete, riconoscendo la preminenza della tutela della vita e dell’accesso alla protezione su quella dei confini.

In cambio del sostegno economico e tecnico alla Libia si è delegato il soccorso in mare alla famigerata Guardia Costiera Libica, collusa con i trafficanti libici e assolutamente incompetente, con la conseguenza che le persone migranti, invece di essere soccorse e condotte in un porto sicuro, come vorrebbe la normativa marittima internazionale, vengono riportate dalle autorità libiche in Libia. Qui esse sono vittime di detenzioni arbitrarie, violenze e abusi di ogni genere, ampiamente documentati. Si stima che dal 2017 più di 55.000 persone siano state intercettate e riportate nei centri di detenzione libici.

Noi attivisti e attiviste di Torino per Moria, rete nata all’indomani dell’incendio a Lesvos nel settembre 2020, per sostenere con beni di prima necessità le persone bloccate nell’isola e sensibilizzare Torino su quella tragica situazione, non possiamo stare a guardare senza indignarci profondamente per le morti, gli abusi e le torture inflitte alle persone migranti bloccate sulla Rotta Balcanica e nei lager libici e per le morti nel Mediterraneo. Chiediamo che vengano completamente riviste le leggi che regolano gli ingressi in Europa, che siano a nord – Balkan Route – o a sud – Mediterraneo centrale, e vengano cancellati gli accordi stipulati con Libia e Turchia che hanno come unico obiettivo di fermare, ad ogni costo, le persone migranti, anche a scapito della vita.

Noi di Torino per Moria respingiamo con forza e sdegno la politica europea di “difesa delle frontiere”, a scapito del principio di giustizia e della salvaguardia della vita umana in mare o in terra e della dignità della persona, da riconoscere quale che sia il suo stato giuridico e il luogo in cui si trovi.

 Rete Torino per Moria