Il dibattito su questo tema è molto acceso e non mette d’accordo i militanti e, tantomeno gli storici e i ricercatori che studiano quel periodo complesso di radicalità delle masse e di poteri occulti volti a limitarne l’azione in modo autoritario e repressivo. Di questo ne parliamo con la storica Claudia Cernigoi, ricercatrice dei gruppi Diecifebbraio e Resistenza Storica e tra le fondatrici di Radio Città Trieste Canale 89, la prima radio libera politicamente impegnata a sinistra alla fine degli anni Settanta. È stata tra i fondatori di Radio Onda Libera nel 1980, ha collaborato per diversi anni con l’emittente radiofonica bilingue “Radio Opčine” di Trieste ed ha diretto per alcuni anni “il Movimento”, periodico del Movimento dei Finanzieri democratici. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1990 dirige il periodico triestino “La Nuova Alabarda”. Il suo ambito di ricerca verte sulla Seconda Guerra Mondiale, il neofascismo, la strategia della tensione e la storia del confine orientale. È stata tra le consulenti storici per la difesa di Oskar Piškulić nel cosiddetto “Processo per le Foibe” di Roma.

Dove possiamo collocare l’inizio della “strategia della tensione”?

Dipende da cosa si intende con questo termine. Taluni collocano l’inizio della strategia della tensione già con la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), perché si è trattato del primo atto terroristico che vide manovalanza fascista e criminalità comune usate da poteri forti (la mafia e la massoneria, ma con la protezione di apparati statali) per colpire i lavoratori in lotta per i propri diritti (i contadini che volevano la riforma agraria).

Per quanto riguarda invece il periodo degli anni ’60 e ’70, la nascita del cosiddetto “partito del golpe” (ossia manovre ad alto livello tra neofascisti, organizzazioni occulte e settori istituzionali) viene individuata nel convegno dell’Istituto Pollio del maggio 1965 a Roma, che fu organizzato da un centro studi militari emanazione del Ministero della Difesa, finanziato dalla sezione REI del Sifar (il servizio segreto militare), con interventi di neofascisti, agenti dei Servizi ed alti ufficiali dell’Esercito, e la cui finalità era di organizzare la lotta al comunismo.

Qual è stato, in Italia, il ruolo della rete Stay Behind e di Gladio, organizzazione paramilitare presieduta da Cossiga che armonizzava i rapporti tra Cia e servizi segreti italiani? 

L’effettivo ruolo della Gladio negli eventi italiani non è mai stato chiarito. A sentire i loro rappresentanti, pare si trattasse di una sorta di dopolavoro che giocava a giochi di ruolo, mentre erano pronti a difendere la patria da un’invasione comunista di truppe del Patto di Varsavia (considerando che insistono nel dire che erano solo i 662 i cui nomi furono resi noti, riesce difficile credere che avrebbero potuto fare molto in un caso del genere). È abbastanza inquietante leggere (nei documenti resi noti) delle loro esercitazioni e simulazioni, alcune delle quali descrivono esattamente fatti poi realmente avvenuti, come l’attentato all’oleodotto transalpino di Trieste del 4/8/72 (rivendicato da Settembre Nero) o gli scontri, sempre a Trieste, dell’ottobre 1966 in segno di protesta per la chiusura dei cantieri, che sono descritti nell’Operazione Delfino (si veda questo articolo di approfondimento: https://www.diecifebbraio.info/2016/10/trieste-1966-la-rivolta-dei-cantieri-e-loperazione-delfino/ ). Secondo la mia opinione i membri della Gladio hanno lavorato molto nell’ombra, ma penso che più che la Gladio, nella strategia della tensione abbia avuto un ruolo importante un’altra struttura occulta, quella detta l’Anello, voluta dal generale Mario Roatta (criminale di guerra) e la cui esistenza rimase sconosciuta fino agli anni ’90 (su questo servizio consiglio la lettura del libro di Stefania Limiti “L’anello della repubblica”, edito da Chiarelettere).

C’è chi dice, soprattutto nella banalizzazione del mainstream e nell’intellettualismo degenerato, che parlare di Gladio è “complottismo”. Tu cosa risponderesti?

Ogni volta che si vuole screditare qualche ricerca “scomoda” si tira fuori il “complottismo”. La Gladio è stata una struttura occulta, per quanto poi la magistratura abbia dichiarato che i suoi organizzatori e componenti non commisero alcun reato, non si può non stigmatizzare il fatto che in una democrazia non dovrebbero esserci strutture occulte, soprattutto non si può ignorare che nei piani della Gladio c’era anche la perfetta organizzazione per l’internamento dei comunisti nell’eventualità di un colpo di mano da parte di settori atlantici, in piena violazione dei dettami costituzionali.

La Strage di Piazza Fontana e l’omicidio di Pinelli possono essere considerati gli episodi scatenanti della lotta armata, o ci furono altri fattori?

Se è vero, da un lato, che dopo piazza Fontana e l’omicidio di Pinelli (ma forse di più a causa del timore – non peregrino, soprattutto dopo i fatti cileni – di un golpe autoritario), alcuni militanti della sinistra ritennero il caso di armarsi per autodifesa, io non penso però che siano stati questi i fattori scatenanti della lotta armata, che fu comunque un episodio limitato (almeno fino a metà degli anni ’70) rispetto alla grandezza dei movimenti di lotta di quel periodo. Le prime Brigate Rosse erano costituite da poche decine di persone, e le motivazioni da loro addotte per passare alla lotta armata non erano collegabili a fatti specifici come le stragi fasciste o di stato, ma in base alla valutazione che con le lotte sociali ed istituzionali non si sarebbero raggiunti i risultati auspicati.

Vi furono, a mio parere, due diversi momenti di sviluppo dei gruppi armati di sinistra (o sedicenti tali): le prime BR (fino alla messa fuori gioco del nucleo fondativo, cioè Renato Curcio, Mara Cagol e Alberto Franceschini tra il 1974 ed il 1975) avevano messo in atto per lo più azioni dimostrative, senza spargimento di sangue (anche il rapimento del giudice Sossi della primavera del 1974 si era concluso senza vittime) ed irruzioni in varie sedi della reazione (come i Comitati di resistenza democratica del golpista monarchico e piduista Edgardo Sogno), allo scopo di prelevare documenti per smascherare le attività eversive di talune organizzazioni; fu con la gestione Moretti (subentrato dopo gli arresti di Curcio e Franceschini e l’uccisione di Mara Cagol) che le BR fecero il salto di qualità, passando ad azioni violente; e sempre dopo il 1976 entrarono in attività altri organismi armati, come Prima linea (composta in parte da fuoriusciti di Lotta continua) ed altri gruppi minori, alcuni derivati da settori dell’Autonomia operaia. Ma ritengo che questi non avessero alcun progetto politico (come invece avevano avuto le BR all’inizio), e fossero, quantomeno quelli operanti verso la fine degli anni ’70, il prodotto della crisi della politica della nuova sinistra, e della fine dei movimenti, in uno sfogo armato privo di prospettiva (ciò vale secondo me anche per i NAR, di estrema destra, che vissero lo stesso tipo di crisi).

Personalmente ritengo inoltre che molti dei dirigenti e militanti di questi gruppi furono eterodiretti; so che questa interpretazione viene anche tacciata di “complottismo”, ma le analisi di uno studioso serio come Sergio Flamigni (che viene considerato appunto un “complottista” da parte del reducismo del partito armato) pongono una serie di dubbi di non poco conto: limitandoci a parlare dell’agguato di via Fani, non è possibile che i sostenitori del brigatismo morettiano, in perfetta armonia con le istituzioni statali, continuino ad asserire che alla sparatoria presero parte solo i pochi militanti già identificati, negando addirittura che si fosse sparato dai due lati della strada (fatti smentiti dalle perizie). Il solo motivo per questa negazione dell’evidenza è che si voglia celare il fatto che sul posto si era trovato chi non avrebbe dovuto esserci, e la cui presenza, se riconosciuta, smentirebbe il mito creato negli anni della BR come di una organizzazione di militanti spontanei e non compromessi.

C’è molta confusione sugli “anni di piombo” e porta molti a definire il terrorismo stragista neofascista e la lotta armata di estrema sinistra come facce della stessa medaglia. Ma è davvero così? Cosa li differenziava?

Sono cose completamente diverse, sia nelle modalità che nei fini. Innanzitutto perché le bombe nelle piazze, sui treni, nelle banche, sono atti di puro terrorismo, finalizzati a creare il terrore nella popolazione colpendo a casaccio, mentre le azioni delle BR e anche di PL erano rivolte contro obiettivi mirati, quindi non si può parlare di “terrorismo” per queste seconde (a prescindere da ogni considerazione etica sulla condanna degli omicidi, siano pur essi “politici”, in una situazione che non era di guerra civile, e non entrando nel merito delle scelte di questi obiettivi, come il fatto di sequestrare Moro, la cui eliminazione faceva comodo più alla Nato che non ai comunisti, oppure l’omicidio del giudice Alessandrini da parte di Prima Linea, considerando che Alessandrini stava indagando sui neofascisti). Anche i NAR avevano obiettivi “mirati”, però non si trattava di personalità di livello, uccidevano i comuni militanti di sinistra oppure agenti di polizia, spesso oltretutto sbagliando bersaglio; oppure scappava il morto nel corso di rapine per autofinanziamento o per acquisizione di armi: quello che fu definito “spontaneismo armato”, cioè l’attività dei NAR, non era altro che un ammazzare per ammazzare, senza alcun progetto politico.

A sinistra, circa 5.000 prigionieri politici spacciati per “delinquenti abituali”, mentre a destra pochissimi hanno pagato per i loro crimini e molti sono rimasti impuniti. Perché questo trattamento diverso?

Sono rimasti impuniti sostanzialmente i “pezzi grossi” del terrorismo neofascista, quelli che avevano delle coperture che se fossero emerse avrebbero creato un terremoto politico non accettabile dalle istituzioni dello stato. Solo dagli anni ’90, con le inchieste del giudice Guido Salvini, si è iniziato ad identificare i veri responsabili dello stragismo (Piazza Fontana, Brescia), ma ormai chi non era morto era già stato scagionato in precedenza (Freda e Ventura) e non poteva più essere giudicato. Altri hanno goduto della prescrizione in base ad attenuanti che invece non sono state riconosciute ai “rossi”. La “giustizia” italiana è sempre stata molto più severa nei confronti dei militanti di sinistra che non dei neofascisti. Perché? In assenza di prove, si possono solo formulare ipotesi: e la prima ipotesi che viene in mente è che sono stati puniti coloro che hanno compiuto determinate azioni in accordo o con la protezione di settori inconfessabili delle istituzioni. Ma, appunto, non ho prove, come diceva Pasolini.

È giusto, come disse Erri De Luca, dire che in quel periodo in Italia ci fu una “guerra civile” che necessita di contestualizzazione?

Non sono d’accordo. Non si può dichiarare una “guerra civile” unilateralmente. È vero che taluni apparati dello stato erano coinvolti in azioni al di là della legge, finalizzate tutte ad impedire che il PCI (che rappresentava un quarto dell’elettorato italiano) potesse andare al governo; è vero che proteste civili venivano regolarmente represse nel sangue, e che per un periodo ci fu il rischio reale di un colpo di stato autoritario. Ma furono le centinaia di migliaia di persone che si riversavano in piazza dopo ogni attacco criminale (attentati fascisti o repressioni poliziesche) che fecero sì che tale situazione di destabilizzazione non si trasformasse in una guerra civile. Dopo piazza Fontana i fascisti avevano in progetto una grossa manifestazione nazionale, per spingere il governo a dichiarare lo stato d’emergenza in modo da giungere ad una svolta autoritaria: ma di fronte alla risposta di massa di condanna della strage, che si verificò in tutta Italia, il ministro Rumor non solo non dichiarò lo stato d’emergenza, ma addirittura vietò la manifestazione missina. Fu questa forza popolare, quella che fu definita la “forza della democrazia”, che impedì la guerra civile in Italia.

Ed inoltre, la maggior parte di gruppi armati si sviluppò dopo la fine di questo periodo di crisi; le stragi ed i progetti golpisti terminarono sostanzialmente nel 1974, dopo il fallimento del golpe bianco di Sogno e l’attentato all’Italicus, quindi in un momento in cui tale scelta non era (a mio parere) giustificabile per motivi di autodifesa; fu per lo più, come accennato prima, una scelta dei singoli militanti dettata dal convincimento di avere perso ogni altra possibilità di lotta. O forse (e qui mi aspetto un’accusa di complottismo) dovremmo riflettere su quanto disse il generale Vito Miceli, già dirigente del SID (il Servizio che aveva sostituito il Sifar) destituito e messo sotto inchiesta per le manovre illecite del servizio, ad un magistrato che lo interrogava (ottobre 1974): “ora non sentirete più parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri”.

Dopo la spettacolarizzazione dell’arresto di Cesare Battisti nel gennaio 2019, ora l’Operazione “Ombre Rosse” con l’arresto di sette ex-militanti della lotta armata. Si tratta di giustizia o vendetta? Cosa ne pensi?

Ovviamente non si tratta di giustizia, la giustizia non contempla questo tipo di spettacolarizzazione, di montatura giornalistica: oltretutto gli arresti non sono definitivi, devono ancora essere iniziate le pratiche di estradizione, e bisogna vedere se nel frattempo non scatterà qualche altra prescrizione, intanto gli arrestati sono stati rilasciati e sono rimasti in Francia, nel più perfetto silenzio dopo lo strombazzamento mediatico dei giorni degli arresti. Mi sembra che si tratti del solito gioco sugli “opposti estremismi”: poco prima si era proceduto ad incriminare un altro neofascista per la strage di Bologna, è per questo che era necessario colpire anche “a sinistra”, sbattere altri mostri in prima pagina, stavolta “rossi” invece che “neri”.

Ritengo che a distanza di tanto tempo ci sono reati che dovrebbero essere ormai prescritti (per un omicidio “normale” non si fanno ormai più di dieci anni di prigione, qui ci troviamo di fronte a condanne ventennali comminate per “concorso morale”), inoltre (non conosco le posizioni specifiche degli altri arrestati e quindi non mi pronuncio su di loro) trovo scandalosa la situazione di Giorgio Pietrostefani, condannato come mandante dell’omicidio Calabresi in base alle sole accuse di un “pentito” che, pur avendo confessato di avere guidato l’auto per portare l’esecutore sul luogo dell’attentato, è stato prosciolto perche per lui è scattata la prescrizione a distanza di 25 anni dal fatto, mentre per Pietrostefani, 47 anni dopo, non sembra essere prevista alcuna prescrizione.

E non mi stanco di ripetere che la sentenza per l’omicidio Calabresi che ha condannato come mandanti i vertici di LC e un militante come esecutore, è una sentenza che, essendosi basata su prove inesistenti e sulle dichiarazioni contraddittorie di un “pentito”, non ha assolutamente fatto giustizia, non solo perché sono stati condannati degli innocenti, ma perché ha impedito che si scoprissero i veri motivi dell’uccisione del commissario. Quando Calabresi fu ucciso, era in corso un procedimento da lui intentato contro il giornale Lotta Continua, per diffamazione, in quanto lo si accusava di essere responsabile della morte di Pino Pinelli. L’attentato contro di lui ha avuto luogo in un momento in cui il commissario, sentendosi abbandonato dai suoi vertici, stava per fare delle affermazioni che avrebbero potuto chiarire la questione Pinelli, ma non solo: all’epoca aveva in carico altre indagini che riguardavano la morte di Feltrinelli sotto un traliccio di Segrate, alla quale aveva collegato una questione di traffici d’armi tra la Svizzera ed il confine orientale italiano. Una frase di Pietro Valpreda (nel corso della trasmissione Rai “La notte della repubblica) definisce molto bene tutto ciò: “Mentre con Calabresi vivo potevano forse emergere alcune responsabilità, Calabresi morto diventava una pietra tombale”. Gli ultimi ad avere interesse alla morte di Calabresi, morte che avrebbe giocoforza interrotto anche il procedimento penale in corso, erano i vertici di Lotta Continua, che avevano fatto di tutto per farsi portare in tribunale in modo da costringere il commissario a raccontare cosa fosse veramente successo.

In questo contesto, l’accanimento contro Pietrostefani mi sembra davvero fuori luogo.