Si è chiuso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, ora venticinquenne, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per “curatore” nell’ambito della cosiddetta Blue Whale Challenge e per aver costretto, tramite i social, una dodicenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. Una sorte di iniziazione che a volte si conclude con l’invito al suicidio. A deciderlo è stato il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone.

Questa è la notizia, essa evoca la riflessione su un gioco che a prima vista può apparire come un rito di passaggio, tipica attività che conduce dall’adolescenza all’età adulta e che si ripete dalla notte dei tempi. Nel medioevo i Templari ne sono un esempio, essi dovevano sopportare riti di iniziazione fisici e spirituali come fame, freddo, sottomissione assoluta fino all’oltraggio dei simboli religiosi e giurare obbedienza al Gran Maestro. L’iniziazione è infatti l’insieme dei riti e delle cerimonie con i quali si sancisce il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status a un altro che nella società attuale è rappresentata dall’Esame di Maturità, dal matrimonio e fino a qualche anno fa dalla Leva obbligatoria. Facendo un lungo salto temporale fino all’antica Sparta, il rito vero e proprio avveniva dopo un’educazione rigida quando si era già nell’età adulta e si esplicava con un allontanamento dal gruppo di formazione, periodo in cui i giovani dovevano vivere da soli senza alcun equipaggiamento e in zone selvagge. Una dura prova, per noi forse discutibile, ma mirata al rafforzamento di sé finalizzato alla consapevolezza delle proprie risorse.

Le prove di coraggio sanciscono, per quanto riguarda i giovani, allo status di adulto e rappresentano simbolicamente la fine dell’accudimento familiare; le prove rappresentano quindi l’indipendenza del ragazzo o della ragazza, in concreto sono l’acquisizione di una buona consapevolezza, quella si essere in grado a badare a se stessi. Il Blue Whale Challenge è invece un pericoloso tentativo di sottomissione totale, di lavaggio del cervello per condurre una giovane vita a dipendere, questa volta dalla follia di chi gioca sulla pelle altrui. Non mi soffermo ad analizzare la mente di questi dannosi personaggi, preferisco dare un suggerimento ai giovani e ai loro genitori. Ripescando dalla mia infanzia, desidero ricordare un insegnamento primario: “Non accettare le caramelle dagli sconosciuti”. Non me lo sono mai scordato e piuttosto che limitarsi a raccontare questo terribile fatto di cronaca, sarebbe utile ricordare il grande valore metaforico di questa frase. Le caramelle sono dolci e attraenti, ti viene voglia di mangiarle senza tregua, ma se non conosci chi te le sta donando non fidarti, potrebbero contenere il veleno, lo stesso della mela di Biancaneve. Forse non si tratta di un veleno immediatamente mortale, ma di una sostanza che a poco a poco ti conduce nel baratro.

Se lo insegnassimo come le tabelline, se entrasse in testa ai ragazzi come una poesia imparata a memoria, sarebbe il primo passo per non cadere vittime sacrificali di un rito capace solo di distruggere la buona considerazione di sé e la vita stessa. Il passato e i suoi insegnamenti non vanno frettolosamente accantonati, ma rivalutati quando sanno trasmettere con immediatezza il modo di cavarsela e di sopravvivere nella giungla sociale.