1.Le più recenti indagini della magistratura, e la pervasiva campagna mediatica che queste hanno alimentato, confermano, malgrado precedenti archiviazioni, come, per impedire i soccorsi operati dalle imbarcazioni inviate dalla società civile nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, si sia giunti a ritenere che la mera presenza delle navi umanitarie costituisse non solo un fattore di attrazione per le partenze dei migranti dalle coste libiche e tunisine, ma una sorta di “agevolazione” dell’immigrazione illegale, come se i soccorsi in acque internazionali non fossero altro che “consegne concordate”. Mentre le autorità europee, a partire dal 2018, hanno ritirato progressivamente tutti gli assetti navali impegnati in quella zona ormai attribuita alla responsabilità di una fantomatica “Libia”, l’Italia, e di conseguenza anche Malta, non hanno più operato in attività di ricerca  e salvataggio come si era verificato sino al 2018  nelle zone SAR di propria competenza. Soprattutto dopo il caso Gregoretti nel 2019, i vertici politici e militari italiani hanno limitato alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) l’operatività dei mezzi di soccorso della Guardia costiera e delle unità navali della Marina militare e della guardia di finanza, prima impegnate in acque internazionali anche a poche decine di miglia dalle coste africane. Gli accordi bilaterali intercorsi nel 2017,come il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2 febbraio 2017, e la istituzione di una fittizia zona SAR “libica”, hanno costituito gli schermi formali dietro i quali si è nascosta la sostanziale delega delle attività di intercettazione in acque internazionali alle autorità libiche.

I governi, con i media loro vicini, fanno scomparire le informazioni sui fatti reali che avvengono nel Mediterraneo e nelle regioni nordafricane. Non c’è più traccia dell’importante Dossier della Guardia costiera italiana, pubblicato nel 2018, che documentava le importanti attività di ricerca e soccorso effettuate in sinergia con le ONG dalle autorità italiane, dal 2014 al 2017, nel Mediterraneo centrale. I comunicati ufficiali dei ministeri, della Marina militare e della Guardia costiera, dettagliatissimi quando si riferisce del “fermo amministrativo” delle navi delle ONG, sono del tutto lacunosi quando si tratta di dichiarare cosa è successo nelle operazioni di ricerca e soccorso in alto mare, nelle acque internazionali. Per molte notizie occorre risalire alla stampa locale ed ai giornalisti ancora indipendenti. Proprio nei confronti di chi è stato testimone dei gravissimi abusi commessi ai danni dei migranti in Libia, e del sostanziale abbandono in mare subito da coloro che riuscivano a fuggire da quel paese, si è innescata una attività di indagine con decine di intercettazioni telefonche per fatti privi di rilevanza penale, in violazione delle garanzie previste dalla legge per il diritto di cronaca e per i diritti di difesa. Appare evidente quali possono essere i bersagli e gli obiettivi di queste attività. Mentre si stanno creando cortine fumogene attorno ai procedimenti penali che riguardano chi ha abbandonato persone in mare o chiuso i porti italiani. Come afferma Matteo de Bellis, ricercatore presso Amnesty International, in una dichiarazione rilasciata a VICE News:“Gli europei non possono incaricare una nave di soccorso di sbarcare in Libia – è illegale – quindi hanno creato un sistema in base al quale gran parte del coordinamento dei respingimenti viene svolto dagli europei , con risorse europee, ma usando i libici come una cortina fumogena legale. È accettabile che gli stati dell’UE ingannino il diritto internazionale e rimandino le persone alla tortura senza essere responsabili?“

Non si tratta di questioni che risalgono ad un tempo remoto, e le Convenzioni internazionali da rispettare non sono mutate neppure oggi. Secondo il rapporto dell’OIM “COVID-19 Control Measures, Gap in SaR Capacity Increases Concern About ‘Invisible Shipwrecks’ del 12 maggio 2020, “Le misure attuate dai governi in risposta a COVID-19, tra cui chiusure di porti, ritardi nello sbarco e la ridotta presenza di navi di ricerca e salvataggio sulla rotta sempre più trafficata del Mediterraneo centrale, stanno sollevando serie preoccupazioni sul destino delle navi in pericolo e le cosiddette ” naufragi invisibili “. “Stiamo assistendo a un costante aumento del numero di navi sull’acqua di cui siamo a conoscenza e l’assenza di operazioni di ricerca e salvataggio statali e guidate da ONG rende difficile sapere tutto ciò che sta accadendo in mare”, ha affermato Frank Laczko, direttore del Global Data Migration Data and Analysis Center di IOM. “La risposta a COVID-19 ha avuto un impatto decisivo sulla nostra capacità di raccogliere dati precisi. La rotta del Mediterraneo centrale rimane la più pericolosa rotta di migrazione marittima sulla terra e, nel contesto attuale, sono cresciuti i rischi che naufragi invisibili lontani dalla percezione della comunità internazionale ”.

 

2.Il 17 giugno 2020 quattro organizzazioni non governative (Alarm Phone,  Borderline-Europe, Mediterranea Saving Humans e Sea-Watch) hanno presentato  il  rapporto  Remote control: the EU-Libya collaboration in mass interceptions of migrants in the Central Mediterraneanche evidenzia come le azioni intraprese dalle unità di sorveglianza aerea dell’UE, in collaborazione con le autorità libiche, stiano facilitando le intercettazioni e i respingimenti di massa dei migranti. Il rapporto ricostruisce in particolare alcuni eventi di ricerca e salvataggio conclusisi con intercettazioni e respingimenti verso la Libia. Numerosi rapporti internazionali provenienti dalle Nazioni Unite, da Statewatch, da Amnesty International confermano intanto gli abusi commessi dalla sedicente Guardia costiera “libica” e la situazione di abusi sistematici commessi in Libia ai danni dei migranti intrappolati nei centri di detenzione.

La zona di ricerca e salvataggio SAR  attribuita alla Libia nel 2018 si sta rivelando sempre di più come una zona di morte,  E spetterebbe alle Nazioni Unite, che pure definiscono con l’UNHCR  la Libia come un paese “non sicuro”, verso cui non devono essere effettuati respingimenti, intervenire sull’IMO (Organizzazione internazionale del mare) con sede a Londra,  che pure risulta essere organizzazione delle stesse Nazioni Unite,  per porre fine alla finzione della cosiddetta zona SAR (di ricerca e salvataggio) libica, di una Libia che non esiste come entità territoriale unica, con organi di governo centrale e con autorità marittime di coordinamento unificati.  Non si può consentire  che gli interventi della sedicente Guardia Costiera Libica,  che altri definiscono di “salvataggio”, si concludono sempre con vittime in mare e con la scomparsa dei naufraghi non appena sbarcati in porto. Perché di fatto queste persone, ricondotte a terra con modalità spesso violente, sono di nuovo cedute alle stesse milizie  e alle stesse bande di trafficanti  da cui sono fuggiti. E questo i governi europei non possono ignorarlo. Come non si può ignorare che la Libia non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, né dà effettiva attuazione ad analoghi strumenti convenzionali previsti a livello regionale in Africa (OUA). L’8 gennaio 2020, Joseph Borrell, Alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare ha negato che siano mai state fornite informazioni da Frontex alla Guardia costiera libica nell’ambito delle operazioni di sorveglianza previste dal regolamento UE (n. 656/2014) ed effettuate dagli Stati membri alle loro frontiere esterne in cooperazione con l’Agenzia.  “Ciò si è verificato tuttavia nell’ambito dell’Eurosur Fusion Service — Multipurpose Aerial Surveillance (MAS)”, ha ammesso il commissario Borrell. “Durante l’attività di sorveglianza aerea MAS nell’area di pre-frontiera – dal 2017 sino al 20 novembre 2019, quando Frontex ha individuato situazioni di pericolo nella regione SAR libica, l’Agenzia informato in 42 casi il Centro di coordinamento delle ricerche dello Stato membro più vicino, EUNavFOR MED così come le autorità libiche”. Josep Borrell ha pure negato lo scambio d’informazioni sulle attività di sorveglianza marittima tra l’(ex) missione militare UE “Sophia” e la Guardia Costiera libica.

 

3. Secondo un recente Rapporto di Esperti delle Nazioni Unite“I civili in Libia, inclusi migranti e richiedenti asilo, continuano a subire violazioni del diritto internazionale umanitario diffuso e del diritto internazionale dei diritti umani e abusi dei diritti umani. I gruppi terroristici designati sono rimasti attivi in Libia, sebbene con attività ridotte. I loro atti di violenza continuano ad avere un effetto dirompente sulla stabilità e sulla sicurezza del Paese”. Come riporta l’agenzia NOVA, “Il rapporto finale del Gruppo di esperti sulla Libia ha cercato di fare luce sulla rete di contrabbando di carburante e di esseri umani nella città di Zawiya, dominata dalla cosiddetta Brigata al Nasr. Tale attività si sarebbe intensificata durante la seconda metà del 2020, quando la domanda mondiale di carburanti per il trasporto marittimo è diminuita a causa della pandemia di coronavirus e i prezzi di mercato sono calati. Il rapporto menziona anche l’arresto di Abd al Rahman al Milad, noto come “Bija”, nell’ottobre 2020, spiegando tuttavia di non aver ricevuto dettagli sulle indagini. “Le circostanze che circondano l’arresto mostrano una competizione di interessi all’interno dei servizi di sicurezza del Governo di accordo nazionale, a scapito dell’attuazione della legge. L’arresto è stato seguito da una reazione del procuratore militare, che ha richiesto il trasferimento del comandante della Guardia costiera libica sotto la sua autorità. Al momento della stesura del presente rapporto, l’ubicazione di Al Milad non è conosciuta”. Il report degli esperti Onu afferma che le infrastrutture delle reti di contrabbando di Zuwara e Abu Kamash sono ancora intatte e non hanno perso la capacità di effettuare operazioni di esportazione illegali. Di fatto, malgrado le missioni internazionali che si succedono in Libia, la situazione sul terreno, ed in mare, è ancora caratterizzata da una grande incertezza, data anche dalla presenza di numerose milizie straniere e dal ruolo altalenante delle diplomazie europee, dopo che la Turchia ha stabilito una forte presenza militare a difesa del governo di Tripoli. La prospettiva di una pacificazione reale sul territorio, che possa garantire il rispetto dei diritti umani delle persone migranti, e degli stessi libici, appare ancora lontana. E per i giornalisti, come per i migranti e per la stessa popolazione libica, quando le milizie decidono di colpire non c’è scampo.