Ieri in piazza Castello Non Una di Meno ha tenuto il presidio settimanale per ricordare le donne vittime di violenza di genere.

Le manifestanti hanno scritto per terra con i gessetti i nomi delle donne uccise e nomi dei loro assassini.

Si è svolto poi un flashmob in cui le esponenti di Non Una di Meno hanno lanciato lo sciopero femminista transfemminista del’8 marzo componendo la scritta  “8M sciopero” con oggetti che le donne usano quotidianamente.

E’ poi partito un corteo alla volta di c.so Marconi dove domenica scorsa è stata accoltellata una studentessa per mano di un giovane ex studente, la ragazza è tutt’ora ricoverata in ospedale.

In c.so Marconi sono poi stati letti al megafono i nomi delle donne uccise, come sono morte, e i nomi dei loro assassini: un momento molto toccante.

E’ stato poi scritto per terra un messaggio indirizzato alla studentessa vittima dell’accoltellamento: “Se toccano una toccano tutte sorella non sei sola”

Alcuni passaggi salienti degli interventi al microfono:

Continuano a raccontarci che la violenza maschile sulle donne è episodica, occasionale e la stampa ci ricama sopra con mille titoli accattivanti, a metà tra un romanzetto rosa e un noir un po’ scabroso.

Questa narrazione tossica provoca danni immensi, come la doppia vittimizzazione delle donne che hanno subito violenza.
Lo stesso accade nelle questure, dove le donne non vengono magari credute e rimandate a casa, o nei tribunali dove diventano loro le imputate per la violenza subita.

Rivittimizzare significa ritenere una donna non attendibile o responsabile di ciò che ha subito, una bugiarda perchè la sua parola vale comunque sempre meno di quella di un uomo.

Complici di tutto ciò sono i media e i giornali, che ripropongono costantemente una narrazione di donne dai profili inattendibili, di donne che avevano magari esasperato il marito, che non corrispondevano a sufficienza amori troppo profondi, o che se ne andavano in giro in minigonna e poi si lamentavano dello stupro.

Donne che qualcosa avevano comunque fatto, perché si sa, con certi comportamenti una un po’ se la va anche a cercare.

Le parole dei giornalisti ci ammazzano una seconda volta:
“Uccisa per troppo amore” ; “Il gigante buono uccide”; “O mia o di nessuno”; “Raptus di passione”: eccolo il linguaggio criminale che narra il femminicidio.

Non esiste uccidere per “troppo amore”, per “troppa gelosia”, “perché sentimentalmente delusi” o “affettivamente bisognosi della presenza della compagna”;
Chi uccide, chi stupra, chi molesta, chi picchia non è “un gigante buono”, “un fidanzatino deluso” o “un marito che aveva perso il lavoro, quindi triste e sconsolato”.

In questi mesi di quarantena la violenza sulle donne è aumentata esponenzialmente, i femminicidi sono stati tantissimi, uno alla settimana, e le richieste di aiuto sempre più difficili.
Anche in questo caso la narrazione del fenomeno è stata disgustosa: NO, quelle donne non sono state uccise perché il marito era “sofferente alle restrizioni del virus”, per le difficoltà dovute alla “convivenza forzata”, per l’”ansia da pandemia”.

Chi uccide è un uomo che ha deciso che la donna che aveva accanto era “roba sua” e che sua sarebbe dovuta sempre rimanere, volente o nolente, per sempre.
È un uomo che ritiene di poterle dire che il suo posto è quello che ha deciso lui per lei.

Breve intervista a due esponenti di NUDM Torino