La civiltà industriale è un fenomeno incompatibile con il Sistema più grande di cui fa parte, cioè con il Sistema Biologico Terrestre, o con l’Ecosfera, o con la Terra stessa. Sostenibili sono soltanto i processi che non alterano il funzionamento del Sistema più grande di cui fanno parte. Quasi nessun processo della nostra civiltà ha questa caratteristica. Quindi la civiltà industriale (se volete, la “crescita”) ne ha per poco.

Il Covid-19 potrebbe essere il fattore scatenante della sua fine. Già si comincia a sospettare che i vaccini non faranno terminare la pandemia, infatti le mutazioni del virus sono rapidissime: fra poco qualche virus mutato si farà la doccia con il vaccino. Le somministrazioni a macchia di leopardo non fanno che favorire le mutazioni.

Il Covid-19 ha tutta l’aria di un mezzo con cui la Terra, che è un Organismo, cerca di difendersi dal suo male, la crescita economica, che sta distruggendo la Vita, alterandone pesantemente i cicli essenziali. Che il Grande Organismo sia cosciente o no, a questi effetti non ha alcuna importanza. Anche noi non siamo coscienti di quanto il nostro sistema immunitario sta facendo per tenerci in vita.

Le autorità hanno chiuso le scuole, vietato le conferenze, gli scambi di idee, i ritrovi, la convivialità, gli scambi culturali, gli incontri piacevoli, i cinema, gli sport amatoriali, le passeggiate nei boschi: tutto ciò che è cultura, o divertimento.

E se provassimo invece a riaprire tutto ciò che “diverte” e ci rende la vita piacevole? Proviamo a riaprire tutto, soprattutto le scuole, e chiudere invece le fabbriche, le grandi industrie, e tutto ciò che è “produzione”, o che sa di competizione, graduatorie, primati, partite, campionati, corse a ”chi arriva prima”: tutta roba che è rimasta in piena attività. Il campionato di calcio non si può fermare, le scuole invece si possono chiudere!! Poi destineremo i vari “ristori” e gli aiuti di ogni genere ai dipendenti delle fabbriche chiuse. Ci sarà anche da ripristinare: far tornare verdi le aree dove giacevano le grandi industrie, Porto Marghera, Mantova, Gioia Tauro, Piombino, Taranto, la ex-Fiat e così via. Proviamo a de-industrializzare l’Italia. Chiudiamo le multinazionali. Abbandoniamo l’economia. Se calano le macchine, tanto meglio. Chissà, magari siamo più contenti,…e il virus si calma. La scienza “ufficiale”, cioè quella che viene divulgata, troverà da ridire, ma quella scienza ha una grave limitazione: è ancora cartesiana, riconosce reale soltanto la materia.

Facciamo rivivere la cultura e proviamo a uscire progressivamente dalla civiltà industriale, magari potremmo essere un grande esempio per tutto il mondo. Faremo a meno del “mercato globale”, della competizione, poi anche del denaro stesso. Così torneremo “alla normalità”, che è quella degli ultimi milioni di anni, non quella degli ultimi due secoli, o degli ultimi decenni. Potremmo anche cambiare quell’articolo uno, che diventerebbe “L’Italia è una  Repubblica fondata sul Mondo Naturale”.

Questo elenco di utopie è terminato. Ma oggi solo nell’utopia sta la speranza.

Un articolo dello scienziato italiano Adriano Buzzati-Traverso (1913-1983), pubblicato sul Corriere della Sera circa 50 anni fa, finiva così:

  Il periodo di rapida crescita della popolazione e dell’industria prevalso negli ultimi secoli, invece di venir considerato come condizione naturale e capace di durare indefinitamente, apparirà come una delle fasi più anormali nella storia dell’umanità.

 

Guido Dalla Casa, Febbraio 2021