di Gideon Levy,

Haaretz, 14 gennaio 2021.

Se il film di Mohammad Bakri “Jenin, Jenin” non può essere proiettato in Israele, anche ogni telegiornale dovrà essere bandito. In quasi ogni trasmissione c’è più propaganda, calunnia, esagerazione, repressione psicologica e menzogne ​​che nel film meraviglioso, genuino e straziante di Bakri. L’ho visto di nuovo martedì. I ricordi del campo profughi di Jenin riaffiorano, insieme alle atrocità, alle lacrime, al dolore e al disastro, nonché ai crimini dell’esercito israeliano.

Va quindi ringraziato il gruppo di soldati riservisti israeliani sensibili alla loro onorata reputazione che negli anni hanno perseguitato Bakri. Grazie a loro, il film di Bakri è vivo e vegeto da 20 anni e ora sta riscuotendo un nuovo successo. Dopo la decisione del tribunale distrettuale di Lod di lunedì, c’è stato un forte aumento degli spettatori di “Jenin, Jenin” sul sito web del Palestine Film Institute.

Va ringraziata anche la giudice del tribunale distrettuale di Lod, Halit Silash, che ha pronunciato quella decisione oscura, primitiva, draconiana e antidemocratica. Grazie a lei, la situazione si è rivelata in tutta la sua bruttezza: un tribunale israeliano vieta la proiezione di un documentario. La giudice Silash ha l’obbligo della verità e sa cosa è successo e cosa non è successo nel campo profughi di Jenin nel 2002.

C’è anche un significato simbolico per l’ubicazione del suo tribunale. Lod –o Lydda, come era conosciuta prima della nascita di Israele– conosce bene due o tre cose quanto a massacri, pulizia etnica, discriminazione ed espropriazione. Ora a Lod c’è anche una giudice che zittisce le persone e si arrende alla versione dei soldati che hanno partecipato a un’incursione criminale e che, nella loro grande impudenza, hanno osato fare una causa per diffamazione.

Questo dice tutto: nessuno dei soldati che hanno partecipato al raid a Jenin ha dovuto affrontare un processo per i crimini commessi. È stata solo la persona che li ha documentati – che ha dato una telecamera e un microfono al dolore e alla sofferenza – ad essere messa alla gogna. Israele inoltre non ha mai pagato alcun risarcimento a nessuno dei residenti del campo dei quali ha distrutto le vite e le case. È stato solo Bakri a dover pagare un risarcimento, a un soldato che compare per tre secondi nel film.

La giudice Silash è stata abbastanza brava a stabilire i parametri di questa distorta moralità israeliana e dovrebbe essere ringraziata per questo. Ma il ringraziamento più grande deve andare a Bakri, un artista coraggioso e nobile, che ha pagato un prezzo insopportabilmente alto per il suo film. Verrà il giorno in cui “Jenin, Jenin” sarà mostrato in ogni scuola come una lezione obbligatoria di educazione civica e storia israeliana.

Bakri andò a Jenin per ascoltare il dolore che esplodeva da tutti coloro che parlavano. Potrebbe esserci stata un’esagerazione da parte di alcuni di loro, forse persino bugie. Ma l’ironia è che, grazie a loro, siamo stati esposti alla verità. Se non fosse stato per lo scandalo del film, la verità non sarebbe venuta sotto i riflettori. Invece è esplosa in ogni scena, così come i crimini di guerra dimostrati, di cui nessuno ha parlato, né la giudice di Lod né i soldati riservisti in cerca di giustizia.

Le immagini della terrificante distruzione del campo erano una bugia? I resoconti del bombardamento dell’ospedale da parte dell’esercito israeliano –un crimine di guerra– erano diffamatori? Le lacrime non erano autentiche? L’incredibile sofferenza di esseri umani che sono stati rifugiati due o tre volte era una notizia falsa?

I bambini che frugavano tra le rovine di quelle che erano state le loro case erano un prodotto dell’immaginazione? Il medico che ha assistito alla morte di suo figlio era un attore? Le macerie erano un set di Hollywood?

Ma come possiamo paragonare tutto questo alle sofferenze di colui che ha intentato il caso giudiziario, il tenente colonnello della riserva Nissim Magnaji, che ora riceverà un risarcimento? Dopotutto, martedì, il quotidiano Yedioth Ahronoth ha raccontato che i soldati israeliani avevano distribuito cibo ai bambini del campo dopo aver demolito le loro case.

Non c’era nessun crimine di guerra menzionato nel film che l’esercito non avesse commesso a Jenin, prima di Jenin o dopo Jenin. L’esercito non ha sparato fatalmente a Ibrahim Abu-Turia, un amputato di ambedue le gambe su una sedia a rotelle alla barriera di confine a Gaza? L’esercito non ha ucciso 344 bambini a Gaza durante l’Operazione Piombo Fuso alla fine del 2008 e inizio 2009, o 549 bambini nell’operazione Margine di Protezione nel 2014? Non erano crimini di guerra?

Ogni volta che i media israeliani riferiscono dell’occupazione, non fanno quasi mai denunce. E quando le fanno, si basano su bugie, mezze verità e propaganda generate dal portavoce dell’esercito israeliano e dai coloni. D’ora in poi sarà possibile citare in giudizio i media per diffamazione, per diffamazione della verità e anche per vietarne la diffusione. La giudice Silash approverebbe.

Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina

DI SEGUITO IL DOCUMENTARIO VIETATO DA ISDRAELE

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