L’Utopia è il titolo del celebre romanzo di Thomas More, nome italianizzato con Tommaso Moro, fu un umanista di grande fama, ma anche scrittore, politico e filosofo. Per la sua opera, pubblicata nel 1516, prese ispirazione dalla Repubblica di Platone, lo scritto è anch’esso in forma dialogica dove l’autore descrive il viaggio del protagonista verso un’isola che non esiste abitata da una società ideale dove la cultura domina e regola la vita degli uomini. Un luogo dove regna la pace, quanto sarebbe bello!

Utopia è un neologismo creato da Tommaso Moro, una parola che sta a significare il non-luogo, quindi un posto che non esiste nella realtà ma che si può soltanto immaginare. Con questo termine Moro ci ha detto che possiamo immaginare la perfezione senza poterla raggiungere, apparentemente nulla di nuovo, il mondo ideale esisteva già grazie a Platone a cui lui stesso si è ispirato, un Mondo delle idee quello del filosofo greco capace di essere modello per le nostre vite. E allora cosa possiamo trarre da questa parola che poi nella storia politica e sociale abbiamo altre volte incontrato? Quando, ad esempio, qualcuno lotta per la pace nel mondo si dice: “Ma dai, è un’utopia!”. Lo si sostiene in base all’esperienza, la concordia tra gli uomini non è mai resistita a lungo e se qualche Nazione e Continente è riuscito ad ottenerla, dopo un certo numero di anni una guerra, grande o piccola dentro o fuori le mura, è sempre scoppiata fornendo la prova che la pace non dura per sempre. Gli esseri umani sono litigiosi e conflittuali, lo sono per natura.

L’uguaglianza tra gli uomini, e non sto parlando dell’esperienza marxista, fu presente negli intenti della Rivoluzione francese del 1789 che dichiarava: LibertéEgalitéFraternitéEgalitè, uguaglianza, davanti alla legge per cui vennero abolite le differenze e ognuno contribuiva alle spese dello stato in proporzione a quanto possedeva. Quindi vennero meno i privilegi, ma eliminarli si è rivelata, nel tempo, un’utopia… Potrei continuare con altri esempi, ma otterrei solo un elenco di situazioni simili, non ci resta che considerare ancora una volta le previsioni del filosofo Giambattista Vico che, con un’intuizione lungimirante, ci avvertì come la storia sia un avvicendarsi di corsi e ricorsi. Tutto ritorna, le guerre sono in cima a questo triste alternarsi ciclico e, ahimè, inesorabile.

Dobbiamo allora arrenderci alla sconfitta? Assolutamente no! L’utopia, al di là del romanzo di Moro, è un non-luogo immaginabile, è un sogno, è un desiderio umano spinto dal bisogno di giustizia, di pace, di fratellanza, di nonviolenza: lavorare per questi grandi ideali è credere nel sogno e sappiamo quanto i sogni sappiano condurci nei luoghi più desiderabili, ma possediamo anche le prove di quanto essi si possano a volte realizzare. Bisogna crederci senza mai arrendersi, è il faticoso costo da pagare per giungere alle mete. Dobbiamo però fare un doveroso distinguo: c’è molta differenza tra il sogno di diventare scrittore, musicista o scienziato, queste sono possibilità legate certamente alle occasioni fortunate ma che necessitano di studio e preparazione, sono obiettivi in cui la persona deve impegnarsi e dare il meglio di sé; completamente diverso è sognare la pace. La pace nel mondo è un grande progetto utopico, sappiamo fin dall’inizio che sarà un momento transitorio e che non dipende solo dall’impegno di chi si adopera, ma riuscire nell’intento di mantenerla per un certo numero di anni è però una affermazione sull’istinto di morte che ci vuole annientare. La pace, con il suo temporaneo esistere grazie ai sostenitori attivi, quelli che non vivono solo di parole e di bandiere, ma operano quotidianamente per i fatti, ci regala anni di bassa conflittualità e salva le vite di tanti innocenti.