Mali, novembre 2020. Fresco di colpo di Stato, di una pandemia che molto subdolamente si sta facendo strada per i quartieri della capitale maliana, in questo Paese sembra quasi che divertirsi sia diventato proibito. Eppure, nei mercati dei quartieri popolari di Bamako, anche se per un fine settimana soltanto, la gente ha sorriso.

“Vogliamo portare la danza nelle varie regioni del Mali”, racconta Lassina Kone, direttore artistico del festival Fila Ni Kélé e fondatore della scuola di danza Don Sen Folo. Sorriso fiero di un giovane maliano che della danza, in Africa, ci ha fatto il suo mestiere. Il programma coinvolge otto coreografi provenienti da vari Paesi –  Francia, Paesi Bassi, Uganda, Senegal, Burkina Faso, Guadalupa – oltre che dal Mali. Filo conduttore, la danza contemporanea. 

“L’idea è quella di preparare e realizzare lo spettacolo nei mercati, dove la creazione lascia lo spazio classico delle sale chiuse e destinate ad un pubblico specifico, solitamente medio abbiente. Uscendo dagli spazi chiusi, statici, ci caliamo nel quotidiano. Vogliamo vedere l’effetto sul pubblico, che è un pubblico diverso rispetto a chi può permettersi di andare a vedere un balletto”, racconta Lassina. “Questi spettacoli li portiamo in giro nei mercati del Mali, mercati comuni, popolari, che generalmente non si combinano con l’arte”.

“E’ diverso vedere il prodotto finito, impacchettato e proposto su un palcoscenico, rispetto ad avere la possibilità di assistere al processo che porta alla creazione di un’opera. Perché noi ci alleniamo e concepiamo l’esibizione all’aperto, in mezzo alla gente. I nostri spettatori hanno la possibilità di vedere l’opera che si forma. In questo modo, alla bellezza dell’opera si unisce la bellezza della relazione che si crea tra pubblico e artisti. E’ far viaggiare con la mente i giovani che ci interessa, non il risultato finale, ma il processo”, spiega il direttore artistico.

E per constatare la veridicità delle sue parole, basta dare un’occhiata ai volti dei piccoli spettatori, decine e decine di bambini, incuriositi e divertiti; tra loro c’è chi già prova ad imitare i passi dei ballerini.

“Spesso non siamo considerati come dei lavoratori. La danza non è sempre riconosciuta come un mestiere. In Europa né tanto meno in Africa. Quando ne parlo con la gente, con i miei amici, familiari, si apre sempre un dibattito. Eppure noi ci impegniamo, fatichiamo, studiamo, come in qualsiasi altro lavoro. Guarda come sta sudando!”, dice Lassina indicando uno dei due ballerini, che sta danzando da ormai due ore, sotto il sole caldo delle nove.

Il 2020 per tutto il mondo sarà ricordato come un anno difficile. Ma in Mali, oltre al virus, c’è la fame, un vespaio di conflitti e tensioni, un’instabilità politica che non si sa dove porterà e tanta povertà. “In questo momento è importante sognare e il sogno non deve restare un lusso solo per chi sta bene. Con la danza portiamo un po’ di poesia e bellezza in questi posti miseri e depressi. Anche se per poche settimane, molti bambini sapranno che cos’è la danza, che esiste. Sicuramente si porranno delle domande e in un futuro se ne ricorderanno. Vogliamo inserire delle storie belle nelle loro memorie.”

Continua Lassina: “A Timbuctu, regione del Mali considerata off limits per la maggior parte degli operatori umanitari per il rischio terrorismo, la reazione della gente è stata incredibile. Ci guardavano come se fossimo dei matti. Alcuni anziani ci hanno detto che non avevano mai visto nulla del genere prima. E’ magia, è una piccola finestra che fa entrare un po’ di luce nella quotidianità di questa gente e aiuta a lenire le cicatrici lasciate da numerosi anni di guerra.”

Abdul Kinyenya Muyingo viene da Entebbe, Uganda. “Con la danza mi connetto alla vita e alla comunità. La danza tradizionale è apprezzata da tutti. Ma la danza contemporanea in Africa è nuova e ci tengo affinché sia conosciuta, perché con la contemporanea posso raccontare delle storie. La danza mi ha anche permesso di viaggiare ed apprezzare di più il mio Paese. Quando sono arrivato nel Sahel mi sono reso conto di quanto sia difficile la vita qui. Coltivare un campo richiede molta fatica per la scarsità d’acqua. In Uganda abbiamo tutto, è un Paese talmente ricco di risorse, il problema è che sono mal distribuite”.

Auguste Ouédraogo è un coreografo originario di Ouagadougou: “Nei miei progetti cerco di coinvolgere le donne, soprattutto in Burkina Faso, ma purtroppo dopo la formazione loro sono le prime ad abbandonare, perché le famiglie non accettano che ballino per strada, sotto gli occhi di tutti”. Samuel Djoulaye Coulibaly e Mariam Diabaté, diretti da Auguste, ballano insieme da tre anni. “Abbiamo imparato a danzare per strada, la polvere non ci fa nulla, balliamo e basta”, racconta Samuel. “La difficoltà più grande che ho incontrato quando ho deciso di seguire questa carriera è stata la mia famiglia. I miei genitori volevano che continuassi gli studi, ma gli ho fatto capire che questa passione era troppo forte per lasciarla. Adesso sono i primi ad assistere ai miei spettacoli”.

Va avanti Lassina Kone: “Dei tanti modelli che abbiamo di arte, cultura, danza, cinema, la maggior parte deriva dall’occidente. La sala, con le sue quattro mura. La forma artistica che noi portiamo per le strade è diversa, africana al 100%. La vita in Africa si svolge all’aria aperta, i galli ti buttano giù dal letto alle prime ore dell’alba e tutto si svolge in strada. E così è anche la nostra concezione della danza contemporanea. I movimenti e i passi che cerchiamo di riprodurre traggono spunto da ciò che osserviamo, dalla gente che passa, il colore del sole, la luce che cambia. Riflettiamo su tutti questi dettagli e li introduciamo nello spettacolo. A me non piace più ballare nelle sale ora, lo trovo limitante. Preferisco stare con la gente, in mezzo a loro. Amiamo coinvolgere le persone che, assieme ai rumori del mercato, diventano parte dell’opera”.

Alla fine di uno spettacolo, una signora dal pubblico, prima di prendere la strada verso casa, commenta: “E’ una forma di danza che non capisco, ma sono sicura che vuole comunicare qualcosa. Sì, sicuramente c’è un significato dietro questo ballo”.

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