Dopo una lunga gestazione, tra sedute plenaria e approfondimenti nei tavoli tematici appositamente costituitisi (“Lavoro\Reddito\Casa”, “Ambiente e Territorio”, “Beni Comuni”),venerdì 18 scorso si è tenuta la prima uscita pubblica dell’Osservatorio per il diritto alla città, con il battesimo di Ugo Mattei, presidente della Società di Mutuo soccorso “Generazioni Future”, invitato ad intervenire in un’assemblea online partecipata, seguita con discreto successo anche da una nutrita presenza sul canale social aperto dal nuovo soggetto.

Ricordiamo che l’idea dell’Osservatorio è sorta a seguito della manifestazione di protesta tenutasi, nei giorni immediatamente dopo la catastrofica alluvione del 15 luglio, davanti l’antistante piazza di Palazzo delle Aquile, dove ha sede il Municipio. Nel corso di quel presidio – mercoledì 22\7 –  è emersa la proposta di costituire un osservatorio cittadino per intervenire dal basso e fare incontrare la cittadinanza sui temi della vivibilità sociale ed ambientale, per “elaborare insieme un progetto per la città alternativo al modello dominante di sviluppo”, proponendo al contempo “azioni concrete per la messa in sicurezza dei territori e migliorare la qualità della vita di tutti”.

Così come avevamo anticipato nella nostra rubrica, in merito agli incontri preparatori ancora in  fase costituenda, l’ipotesi dell’Osservatorio poneva la necessità di coniugare la salvaguardia ambientale e bisogni sociali dentro una prospettiva di resilienza, a partire dalla rimozione di tutti quelle condizionalità economiche degenerative che sistematicamente causano quei cosiddetti “fenomeni naturali” che minacciano l’equilibrio ecologico e la struttura sociale, stressando il tessuto urbano nella sua complessità che è ridotto ai limiti della sostenibile vivibilità.

Sin dai primi incontri veniva delineata un’impostazione metodologica olistica che vedeva la questione ambientale direttamente correlata alla qualità della vita, in connessione anche agli spazi del paesaggio urbano. Sostanzialmente l’impatto della pressione antropica sull’ecosistema e la sua riduzione veniva ripensato sulla base di un ragionamento che unisce le tematiche sociali con quelle ambientali “che si danno dentro la città e che mettono in relazione tutti i cittadini”.

A nostro avviso, si sta cercando di sviluppare una pratica politica originale adeguata alla configurazione plurale dei nuovi movimenti anticapitalistici, sperimentando contestualmente processi organizzativi dal basso, capaci di sostenere le lotte sociali destinate a crescere per via del fenomeno di marginalizzazione delle condizioni esistenziali della parte maggioritaria della società. Cioè, quella parte sociale le cui fila – se così rimarranno le cose – saranno destinate ad ingrossarsi, non tanto per gli effetti “automatici” che deriverebbero dalla causa epidemiologica in corso, ma per l’incompatibilità fondamentale del sistema economico dominante che non sa guardare oltre l’accumulazione capitalistica.

Insomma sembra avanzare una nuova forma di conflittualità organizzata sintetizzabile in un sindacalismo sociale diffuso,  capace però di superare le peculiarità soggettive agenti nei vari ambiti della società. Entro questo quadro, crediamo, si muovono anche le stesse intuizioni dell’Osservatorio palermitano, in relazione alle riletture delle questioni ecologiste. Differenziandosi dall’associazionismo ambientalista tradizionale (ancorato più alla razionalizzazione oggettiva dell’esistente) l’Osservatorio per il Diritto alla Città spinge verso l’orientamento di una visione olistica che marca nettamente l’incompatibilità della società della cura con le dinamiche del ibero mercato.

A grandi linee, questa è la sintesi del percorso elaborato nel lungo dibattito propedeutico seguito in questo esperimento palermitano che si è incarnato in una pratica organizzativa spiccatamente orizzontale: un modello nel quale la forma della politica e la sostanza del conflitto si manifestano senza tatticismi o transizione alcuna; mediazioni e cesure sono immanenti al processo dal basso; un comune agire costituente di forme partecipative di democrazia diretta, a cominciare dalla gestione dei beni comuni, fuori dalle logiche gerarchiche e proprietarie sia del Pubblico sia del Privato.

È da tale metodologica progettualità che l’Osservatorio ha maturato la convinzione di assumere nella concezione olistica dei Beni Comuni  il suo paradigma fondativo sulla critica del sistema capitalistico contemporaneo, determinatosi nella  dimensione totalizzante della valorizzazione estrattività, combinata con l’estensione “a raggiera”  delle sue piattaforme di sorveglianza. Sulla chiave di lettura paradigmatica  dei beni comuni, così come hanno riferito i portavoce dei tavoli di lavori, intervenendo al dibattito dell’assemblea costituente dell’Osservatorio per il “Diritto al Città”, c’è stata un’assoluta convergenza: sia le questioni ecologiste – suolo, clima, paesaggio, ambiente e territorio, etc. – sia le questioni sociali  e culturali – reddito, casa, salute, istruzione e formazione, tutela del patrimonio culturale e via di seguito – fanno parte di un unicum imprescindibile per una società della cura e della solidarietà, così come hanno un unico antagonista: la macchina estrattiva del capitale.

Insomma, non è stato un caso l’aver invitato Ugo Mattei a presenziare alla prima uscita pubblica ufficiale, con il quale si è trovata una chiave tematica condivisa e una sintonia politica su molti dei punti trattati nella relazione dell’esimio giurista, adesso fra i fondatori di “Generazioni Future”, soggetto in cui si è convertito il Comitato “Stefano Rodotà”, promotore dell’iniziativa di legge popolare sui Beni comuni, depositata alla Camera dei Deputati nell’autunno 2019. Si è registrata una convergenza di fondo tale da esplicitare l’invito all’Osservatorio di Palermo di partecipare attivamente all’ espansione della Rete dei Beni comuni che si è costituita a livello nazionale, alla quale hanno aderito numerose realtà associative. Ma in particolare il contributo di Mattei si è rilevato d’una utilità straordinaria con riferimento alla vicenda dei regolamenti municipali sui beni comuni, materia nella quale ha accumulato una esperienza anche da amministratore, essendo stato Assessore al Comune di Chieri – la seconda municipalità, dopo quella di Bologna, ad aver approvato un Regolamento in materia – ed in ultimo per aver ispirato il Regolamento approvato dal Comune di Torino, noto per la valenza giuridicamente ancor più avanzato rispetto a quelli posti in essere in altre realtà metropolitane.

Quello della regolamentazione amministrativa sulla gestione dei beni comuni è un tema d’attualità, tornato a galla in questo ultimo scorcio di consiliatura al Comune di Palermo, con la riesumazione di un vecchio testo, addirittura – sembra – depositato mentre era ancora in carica il precedente Consiglio comunale. La stessa consiliatura non tenne conto di una “bozza” prodotta dal Forum Beni Comuni (costituito tra il 2014\2015 da decine di associazioni e comitati ) che prefigurava i lineamenti regolamentari per la gestione del patrimonio comune anche attraverso la riscoperta degli usi civici.

Fu un grande esperienza di partecipazione dal basso aperta alla cittadinanza e alla quale intervennero attivamente diversi consiglieri comunali. Epperò di questa ipotesi, presentata in una gremita aula consiliare, nessuno poi volle tenerne conto. Per fortuna oggi l’Osservatorio pensa di ripartire da quel testo, da mettere a punto con l’ulteriore evoluzione normativa maturata in altre grandi città come Napoli oltre che Torino, per entrare in un dibattito serio con la cittadinanza, proponendo uno schema alternativo sia dal punto di vista metodologico che da quello dei contenuti. Infatti, la riproposizione sic et simpliciter del disegno in discussione alla IV Commissione ci sembra oramai obsoleto ed inemendabile.

Quel che appare decisivo nell’approccio dell’Osservatorio è che la metodologia adottata nella genesi di un Regolamento per i Beni Comuni sia elemento caratterizzante di ciò che è l’essenza stessa della finalità filosofia che si vuole concretare. Ecco perché dalla discussione costituente è emersa una opposizione netta alle iniziative istituzionali che mirano ad una normazione disciplinare sostanzialmente residuale  ed integrativa, in cui l’azione burocratica della pubblica amministrazione rimane in posizione dominante. Si rivendica, invece, un’autonomia civica capace di esercitare pratiche di autogoverno diretto nelle forme e nelle modalità riconducibili a forme concrete di sperimentazione di cittadinanza attiva, concorrente con gli stessi enti territoriali istituzionali: non bastano più le consulte prive di potestà decisionali utili soltanto al sollazzo politico di  piccoli o grandi sovrani illuminati.

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