Entra oggi nel Consiglio Metropolitano di Napoli il tema della “promozione” di Procida nella decina delle finaliste al titolo di «Capitale Italiana della Cultura» per il 2022, vale a dire tra le dieci città che, in tutta Italia, hanno superato le valutazioni e sono entrate a pieno diritto tra le dieci considerate meritevoli di rappresentare il patrimonio culturale italiano, di fregiarsi del prestigioso titolo di «capitale della cultura». Il riconoscimento non va semplicemente alla città in sé: è risaputo che centinaia di città, piccole, medie e grandi, di siti e luoghi della cultura, nel nostro Paese, potrebbero, per la ricchezza del patrimonio culturale che ospitano o per i significati culturali associati alle vicende storiche e sociali che li hanno visti protagonisti, portare il titolo di «capitale della cultura».

Il riconoscimento va alla città intesa come «paesaggio sociale e culturale» complessivo, quindi come insieme sia di risorse culturali del patrimonio, dei siti culturali e dei beni culturali, sia di risorse sociali, vale a dire del sistema delle relazioni sociali, delle comunità degli abitanti, del tessuto civico ed associativo che si mette in azione intorno a questo scopo, quindi come sinergia di luoghi e di comunità. Sotto tale profilo, bene ha fatto il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, in una recente dichiarazione, a ricordare che «in tutte le sue edizioni, la capitale della cultura ha innescato meccanismi virtuosi tra le realtà economiche e sociali dei territori. Non è un concorso di bellezza; viene premiata la città che riesce a sviluppare il progetto culturale più coinvolgente e aperto, innovativo e trasversale». Quella che viene premiata è una «proposta culturale»: una proposta di messa in rete, di fruizione del patrimonio culturale e di messa in moto di pratiche, esperienze, iniziative capaci di rappresentare motivi inediti ed innovativi di attraversamento e di interazione con i luoghi e con il paesaggio.

Procida si propone, dunque, come Capitale Italiana della Cultura; e il suo ingresso nella selezione finale è sicuramente motivo di rilievo, unica città in Campania ad accedere a questa “finale”, per l’intero Mezzogiorno, essendo tra le poche, con Bari, Taranto e Trapani, realtà del Sud a giungere a questa fase della designazione; ma, si può dire senza azzardo, per tutto il Paese, fatto non solo di luoghi del paesaggio di grande risonanza, ma anche di borghi, paesi e piccoli comuni, spesso sconosciuti, nondimeno sorprendenti. Come ha ricordato Agostino Riitano, direttore della candidatura di Procida a Capitale Italiana della Cultura, illustrando il tema della candidatura, «la Cultura non Isola», «l’isola per noi è il regno dei doppi e una prospettiva privilegiata per sperimentare le dualità del mondo contemporaneo: apertura/chiusura – accoglienza/esclusione – libertà/reclusione – legame/distanza». Anche la “visione” di Procida capitale della cultura si situa, infatti, nella proposta strategica sviluppata dall’intera Città Metropolitana di Napoli, vale a dire, per un verso, la promozione di itinerari culturali attraverso i quali connettere tutti i luoghi, grandi e piccoli, del territorio, e, per l’altro, la costruzione di una proposta di inclusione e di fruizione dei «luoghi culturali negli spazi aperti», particolarmente pertinente nella situazione attuale di contenimento degli spostamenti e di limitazione delle presenze per le note disposizioni nazionali e regionali di prevenzione del contagio.

Una nota costante della candidatura è, infatti, il protagonismo del territorio, insieme con l’intensa partecipazione delle realtà locali e delle comunità degli abitanti. La stessa prospettiva, come si ricorderà, del Manifesto della Città Metropolitana per gli Itinerari Culturali in Spazi Aperti, frutto di un percorso ampio e partecipato, di interlocuzione e condivisione con i comuni interessati e le realtà sociali e culturali del territorio, che ha portato alla individuazione di cinquanta itinerari culturali nel territorio metropolitano, da un lato ponendo le basi per una gestione aperta e solidale del bene culturale, dall’altro contribuendo ad alimentare la visione di una vera e propria «comunità di patrimonio», di una comunità degli abitanti e dei visitatori in grado di prendersi cura degli spazi e del territorio, di attraversare, lungo itinerari unificanti, il territorio in tutte le sue articolazioni, di riequilibrare gli spazi e gli impatti della fruizione socio-culturale. Come ricorda infatti la Convenzione di Faro del 2005, «una comunità di patrimonio è costituita da tutte le persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nel quadro di un’azione pubblica, trasmettere alle generazioni future».