Due soldati dell’esercito del Myanmar, noto anche come Tatmadaw, hanno confessato dettagliatamente le atrocità commesse dalle rispettive unità di fanteria contro la popolazione civile Rohingya in Myanmar. Secondo un rapporto dell’organizzazione thailandese per i diritti umani Fortify Rights, Myo Win Tun appartenente al Battaglione di fanteria leggera 565 e Zaw Naing Tun del 353 si trovano all’Aia, presso la Corte penale internazionale (CPI) e sono stati interrogati. Le sconvolgenti confessioni dei due militari testimoniano, dal punto di vista degli autori dei crimini, ciò che da anni sappiamo sia da parte delle vittime sia di una commissione indipendente di esperti dell’ONU: nel 2016 e nel 2017, il governo del Myanmar ha condotto una campagna di genocidio concertata contro i Rohingya. Secondo l’Associazione per i popoli minacciati (APM) queste dichiarazioni devono portare rapidamente ad un’accusa contro i responsabili dell’esercito e del governo davanti alla CPI.

Nelle loro dettagliate confessioni, i due militari avevano ammesso il loro diretto coinvolgimento in 180 omicidi di Rohingya. Hanno anche fornito i nomi e i gradi dei comandanti che avevano ordinato l’uccisione, lo stupro e l’incendio di innumerevoli villaggi rohingya. I soldati appartenevano a diverse unità. Hanno ricevuto l’ordine indipendente di uccidere tutti i Rohingya che hanno incontrato nei villaggi. Possiamo supporre che molte altre unità Tatmadaw abbiano ricevuto lo stesso ordine e lo abbiano eseguito nello stesso modo. Le dichiarazioni dei due soldati sono considerate autentiche. Sono state trovate due fosse comuni, di cui avevano descritto i luoghi.

La Corte Penale Internazionale di solito persegue sospettati di alto rango accusati dei crimini più gravi come genocidio o crimini contro l’umanità – non soldati comuni. L’ammissione dei due militari sotto custodia del tribunale può inviare un segnale e incoraggiare altri colpevoli in Myanmar a testimoniare anche davanti a un tribunale internazionale. La CPI ha un programma di protezione dei testimoni, anche per i cosiddetti “testimoni interni”, disciplinato dall’articolo 68, comma 1 e dall’articolo 43, comma 6 dello statuto del tribunale. Le accuse di genocidio contro i Rohingya erano state sostenute un anno fa dal Gambia. La settimana scorsa, i Paesi Bassi e il Canada hanno annunciato il loro sostegno legale per questa procedura, indicata come “preoccupazione di tutta l’umanità”.

Ora più che mai, l’Unione Europea deve insistere per un cambiamento in Myanmar. La campagna per il genocidio è stata preceduta da decenni di repressione, privazione dei diritti e propaganda d’odio. Solo la condanna internazionale dei crimini e sanzioni nei confronti dei responsabili può cambiare la situazione. Solo quando ai Rohingya verranno garantiti giustizia e sicurezza, la sofferenza di quel popolo potrà finire. Solo allora potranno tornare a casa le centinaia di migliaia di profughi internati in campi disumani. Solo allora il Myanmar potrà aprire un nuovo e più pacifico capitolo della sua storia.