Egregio dott. De Matteis, Questore di Torino,

in un’intervista su La Stampa di qualche giorno fa lei ha dichiarato: “Troppi violenti tra gli stranieri, i miei agenti sempre più a rischio”.

Ha definito i migranti, violenti e irrispettosi, ponendo l’accento sulla necessità di procedere con i rimpatri, servendo di fatto la palla all’assessore alla Sicurezza e all’Immigrazione della Regione Piemonte Fabrizio Ricca che ha definito le sue parole un grido di allarme. “Se un uomo dello Stato dice chiaramente, nero su bianco, che l’immigrazione clandestina fornisce soldati violenti e pericolosi alle file della criminalità è inaccettabile che non gli si dia ascolto”, ha dichiarato.

Ma non è finita qui, perché sotto l’articolo della Stampa e delle altre testate che hanno riportato la notizia si è scatenata la macchina dell’odio e la caccia al nemico. “Mandiamoli a casa / sono tutti delinquenti / bisogna rimpatriare chiunque non abbia un lavoro fisso / vengono a casa nostra a delinquere / a casa loro subito / se non li mandiamo via comanderanno loro e diventeremo stranieri a casa nostra”, sono alcuni dei commenti postati, che attaccano chiunque cerchi di esprimersi diversamente dal coro o, almeno, non tanto di pancia ma riportando la complessità della questione.

Come la signora che ha scritto: “Via i clandestini non Bianchi”, e alla domanda se esistano clandestini bianchi, purtroppo ha confermato che chiunque non sia Italiano è un “non bianco”.

Tutto questo ci ha spinto a scrivere a lei e alle Istituzioni italiane, raccontando la storia di chi dalla sua terra è emigrato e si è trovato clandestino. La storia di chi in Italia ha dovuto lottare stringendo i denti e sputando sangue per quel pezzo di carta che spesso viene negato. La storia di chi in Italia è nata/o, è cresciuta/o in un ghetto e ha dovuto vivere senza cittadinanza.

Quella di chi ogni giorno viene discriminata/o dai poliziotti, maltrattata/o e spesso anche picchiata/o o strangolata/o (Black Lives Matter).

Ma soprattutto di chi malgrado tutto questo, ha amato questa Torino e in essa ha costruito e creato grande cose.

Le sue dichiarazioni sono una personale libera opinione basata su una lettura discriminatoria, perché esistono dati che spiegano i motivi per cui molte persone di origine straniera finiscono in carcere a differenza di una persona bianca italiana. Dati che confermano un vero scandalo nella questura di Torino, soprattutto dal punto di vista umano. Dati che raccontano abusi di potere delle forze dell’ordine.

E soprattutto il suo articolo su La Stampa, ci ricorda che esiste un dato solo, quello che va sempre a calpestare gli ultimi, facendo sì che il nemico sia sempre quello più fragile, quello con meno diritti, che spesso viene utilizzato per avere consensi, o giustificare azioni di pessimo gusto.

Ricordiamo che il nostro paese vive su stereotipi e pregiudizi che generalizzano e ci rendono tutti mafiosi agli occhi del mondo… Ma noi siamo altro, non nascondiamo che la mafia esiste, ma allo stesso tempo facciamo presente al mondo tutto ciò che ci rende unici, meravigliosi.

Sappiamo che in questo nostro paese esistono persone non italiane che delinquono, ma altre rendono questo paese ancora più bello. Quindi il problema non è essere Italiani o meno, qui si tratta di cittadini e cittadine che attendono azioni concrete per una convivenza pacifica e una vita dignitosa senza doversi nascondere né delinquere. Fermiamo le disuguaglianze sociali: la regolarizzazione di chi vive ai margini senza documenti è dare una vita dignitosa! Chi ne ha avuto la possibilità ama questo paese e lo arricchisce in tutti i sensi.

Abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio.

Senza dimenticare un fondamento importante, quello di essere umani.

Bisogna portare più attenzione agli investimenti del territorio, creare situazioni di dialogo, rompere le frontiere del vicinato, aprire laboratori di quartiere, sportelli del cittadino, mescolare le culture, inquinare gli untori dell’odio con le storie e i vissuti, le speranze, i desideri di vivere una vita nell’onestà quotidiana del consumare un caffè al bar.

Spesso chi emigra non sa nulla di ciò che lo attende dall’altra parte del mare: nessuno nasce delinquente e spesso mai vorrebbe intraprendere quella strada.

Chissà se un giorno l’umanità vincerà, se l’unione ci renderà più forti.

Restiamo umani.

Ayoub Moussaid, portavoce della Rete 21 marzo – mano nella mano contro il razzismo